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10 Serie Tv incentrate sul “caso del giorno” che non invecchieranno mai

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6) Con The Mentalist torna in scena un altro impavido detective della storia

Una scena di The Mentalist

The Mentalist è costruito attorno a una figura che, pur nella sua eccezionalità, incarna una delle fantasie più durature della narrativa. Si trattra, pertanto, del detective che vede oltre l’evidenza, che legge le persone come libri aperti, che usa l’intuito come arma per ristabilire l’equilibrio nel caos. Patrick Jane, interpretato da Simon Baker, è più che un protagonista, tanto da essere una presenza carismatica, malinconica, affilata come un bisturi e leggera come un sorriso. La sua capacità di osservare e decifrare il mondo umano non ha età, perché risponde al bisogno primordiale di capire, scoprire, dare un senso al comportamento altrui.

A prima vista, The Mentalist segue una formula familiare con un caso a settimana, un team investigativo, un crimine da risolvere. Ma ciò che la rende unica e sempre attuale, è il modo in cui questa struttura viene animata dalla figura di Jane, per l’appunto. Ex medium televisivo truffaldino, convertito all’investigazione dopo la brutale uccisione della moglie e della figlia, egli non è né poliziotto né profiler. Piuttosto è un illusionista pentito, un uomo che ha usato il potere della suggestione per guadagno personale e ora cerca di riscattarsi aiutando gli altri.

Tanto che la bellezza eterna serie, sta proprio in questo paradosso, secondo cui un uomo che ha vissuto di menzogne, si impegna a cercare la verità. Il suo metodo non è scientifico, ma profondamente umano. Egli osserva tic nervosi, incongruenze verbali, piccoli dettagli che tradiscono emozioni, motivazioni, colpe. Jane non ha bisogno di gadget o laboratori, ha occhi, orecchie e una mente acutissima. In un’epoca in cui molte serie investigative puntano sulla tecnologia, The Mentalist rimane fresca proprio perché si affida a qualcosa di intramontabile: l’intelligenza emotiva e la capacità di ascolto.

Si aggiunge la componente drammatica della caccia al serial killer Red John

È un arco narrativo orizzontale che dà spessore alla serie e aggiunge una tensione costante alla leggerezza apparente dei singoli episodi. Red John non è solo un nemico, ma un’ossessione, un trauma irrisolto, l’ombra che Jane si porta dietro. Questo elemento dà alla serie una profondità psicologica che la rende più di un semplice crime, nonché una storia di vendetta, di lutto, di redenzione.

E poi c’è l’alchimia con Teresa Lisbon (Robin Tunney), che evolve con naturalezza, senza mai forzature. Il loro rapporto, costruito con pazienza, rispetto, ironia e una lenta apertura reciproca, è una delle relazioni più genuine e meno stereotipate della serialità crime. Non è una love story scontata, ma una dinamica di fiducia tra due persone che si aiutano a rimettere insieme i propri pezzi rotti. The Mentalist (qui i motivi per amare la serie), pertanto, rimane giovane perché non si fonda solo su omicidi e risoluzioni brillanti, ma su una riflessione costante e discreta sull’animo umano.

E lo fa con leggerezza, con classe, con uno stile visivo pulito e con un protagonista che è impossibile dimenticare. Finché ci saranno misteri da svelare, tra le parole e i silenzi delle persone, la serie tv procedurale continuerà ad avere qualcosa da insegnare. Perché non è solo una storia su chi commette i crimini, ma su chi ha la rara capacità e il coraggio di guardarli in faccia.

7) Adrian Monk rende la “sua” Serie Tv procedurale un viaggio nell’interiorità

Detective Monk è una delle migliori serie tv procedurali

Monk è una storia profondamente umana mascherata da procedurale, una celebrazione dell’intelligenza fragile, del dolore che diventa talento e della lotta quotidiana contro le proprie paure. Adrian Monk, con tutte le sue manie, le fobie e le ossessioni, è uno dei personaggi più originali e toccanti mai creati per la televisione. E proprio per questo, continua a parlare al pubblico, anno dopo anno, con una forza che non dipende né dalla tecnologia, né dalla moda narrativa del momento, ma da qualcosa di molto più duraturo: l’empatia.

Monk è un ex detective della polizia di San Francisco, geniale ma tormentato da un disturbo ossessivo-compulsivo che si è aggravato dopo la tragica morte della moglie Trudy. Da quel momento, la sua vita è sospesa tra un passato che non riesce a lasciar andare e un presente fatto di ansia, rituali, paure irrazionali. Eppure, proprio quelle ossessioni che lo limitano nella vita quotidiana, lo rendono un investigatore straordinario. Nota dettagli che sfuggono a chiunque altro e ragiona con una logica così acuta da sembrare quasi soprannaturale.

Ma ciò che rende la serie tv procedurale così eterna, è il suo tono unico, capace di mescolare commedia, dramma e mistero con una delicatezza rara. Si ride, spesso, ma si ride con affetto, mai con cattiveria. Ogni episodio ci fa entrare nel complesso mondo di Monk e, invece di allontanarci, ci avvicina. Perché chiunque, in fondo, conosce la sensazione di essere inadeguato, di sentirsi fuori posto, di dover affrontare qualcosa di più grande di sé. Monk diventa allora un eroe per tutti quelli che lottano con l’invisibile, con i fantasmi interiori, con la memoria del dolore.

La formula “caso della settimana” non è mai il vero motore della serie

Ciò che coinvolge, è il modo in cui il protagonista affronta ogni nuovo enigma con metodo e paranoia, ma anche con una voglia disperata di riconnettersi al mondo. E proprio questa tensione, tra isolamento e desiderio di normalità, è ciò che lo rende eterno. Non c’è episodio in cui non si avverta quanto gli manchi la moglie, quanto gli costi ogni interazione sociale, quanto sia faticoso anche solo uscire di casa. Ma nonostante tutto, continua.

Tony Shalhoub, pertanto, regala a Monk un’anima che nessun algoritmo potrà mai replicare. Il suo sguardo smarrito, i gesti ripetitivi, la voce incerta, ogni dettaglio è calibrato con rispetto, mai ridicolizzato. È un personaggio che rimane, perché non è solo scritto bene, ma vissuto fino in fondo. Dunque, lo show parla anche di perdita e guarigione, di come si possa continuare a cercare la verità anche quando tutto dentro di noi urla di fermarsi. È un racconto sull’amore che resiste oltre la morte, sulla fedeltà assoluta, sulla possibilità di fare qualcosa di utile anche quando si è spezzati. E questo tipo di storia non ha scadenza. È universale e intramontabile. Proprio come Monk.

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