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Uno, dieci, centomila Ryan Murphy

Nell’era dei grandi showrunner, diventati in poco più di un decennio le figure più potenti di Hollywood, nessuno si è dimostrato più poliedrico, intelligente e resiliente di Ryan Murphy, colui che con i suoi alti e bassi si è imposto come il Re Mida della televisione contemporanea. Laddove i suoi colleghi più noti, dalla potentissima Shonda Rhimes a Julie Plec, passando per il re dei procedural Dick Wolf e il signore dei supereroi Greg Berlanti, sembrano essere ormai incatenati a produrre successi appartenenti a un genere fisso, anche quando questa in realtà è più una percezione del pubblico che la realtà dei fatti, lo stesso non si può dire di Ryan Murphy. Nella sua ventennale carriera televisiva il creatore tra gli altri di Glee e American Horror Story ha infatti messo la firma sui progetti più disparati, tanto che, nonostante come vedremo resti l’attenzione a alcune tematiche trasversali, non sono molti i tratti che accomunano le produzioni da lui portate in scena.

Autore e regista oltre che produttore e showrunner, Ryan Murphy è stato protagonista di una scalata al successo quasi senza pari e ha costruito in soli vent’anni un impero impressionante, culminato per altro con la sigla di un contratto da 300 milioni di dollari con Netflix per la creazione di contenuti originali. Un contratto impressionante, che sembra aver dato inizio a una nuova era per il creatore di Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story, il quale non pare aver alcun limite quando si tratta di dare sfogo alla sua bulimia produttiva.

Glee (640×360)

Dal teen drama all’horror, dalle serie storiche ai procedural, dal true crime al political drama, nessuno a Hollywood sembra capace della stessa versatilità di un uomo nato dal nulla e capace di conquistare in pochi anni l’industria della televisione.

Infatti, se è vero che la sua primissima serie tv Popular non ha avuto un grande successo, a partire dalla creazione di Nip/Tuck nel 2003 Ryan Murphy si è progressivamente conquistato una nicchia sempre più ampia di appassionati spettatori. La cinica satira di Nip/Tuck, così amara da non poter piacere a tutti seppur apprezzata dalla critica, ha presto lasciato spazio alla follia sopra le righe di Glee, una delle serie più rivoluzionarie nella storia della televisione, un teen drama con una forte componente musical destinato a cambiare per sempre alcune regole fino a quel momento inamovibili della televisione e a diventare un fenomeno di culto immediato, lanciando definitivamente il mito di Ryan Murphy. L’eccentricità e la sensibilità di Glee, una serie che ha saputo far sentire a casa intere generazioni di adolescenti (ed ex-adolescenti) che pensavano di essere destinati a una vita di solitudine, ha mostrato al mondo intero il punto di vista degli emarginati, una prospettiva che Murphy ama particolarmente e che ha poi portato avanti in modo diametralmente opposto anche nel suo successo immediatamente successivo: American Horror Story.

American Horror Story (640×360)

American Horror Story, la serie horror per eccellenza nonché la produzione che ha rilanciato il formato delle serie antologiche, ha consacrato il mito di Murphy oltre a Glee e per la prima volta ha mostrato come dietro il genio creativo di quello sconosciuto di Indianapolis si nascondesse una miniera d’oro di idee, sebbene non tutte ugualmente spendibili nel mercato televisivo. Quello delle storie americane è un franchise che in seguito è stato esplorato a fondo, con la creazione di American Crime Story prima, quella di American Horror Stories poi e quella ancora in cantiere di American Love Story e American Sports Story, entrambe attualmente in lavorazione su FX. Perché in fondo, se c’è qualcuno che è stato in grado si descrivere le contraddizioni, le glorie e gli orrori, i successi e i fallimenti che incarnano gli ideali degli Stati Uniti d’America, quello è proprio Ryan Murphy, colui che nella sua scalata al successo non si è certo risparmiato alcuni passi falsi.

Infatti, se è vero che i successi di Murphy superano di gran lunga i suoi fallimenti e che spesso è stato paragonato al Re Mida delle serie tv, il suo curriculum è in realtà tutt’altro che perfetto. Pensiamo a Scream Queens, parodia del genere horror diventata nota come la serie tv più trash di tutti i tempi e cancellata dopo appena due stagioni, o ancora a The New Normal, il maldestro tentativo di Ryan Murphy di imporsi anche nel mondo delle sitcom (a oggi il suo vero tallone d’Achille), ma anche al rapido declino in termini di qualità a cui sono andate in contro le stesse Glee e American Horror Story dopo qualche stagione, o alla tiepidissima accoglienza riservata alla miniserie Halston e a The Politician, una dramedy politica brillante e in pieno stile camp, che tuttavia è rimasta molto più di nicchia di quanto lo showrunner non inizialmente avesse sperato.

ryan murphy
Pose (640×360)

Eppure, i fallimenti più o meno plateali di Ryan Murphy non hanno minimamente intaccato la sua fama e la sua ascesa all’Olimpo di Hollywood, nel quale ormai risiede stabilmente e dal quale nell’ultimo anno è riuscito a produrre quella che è stata la più grande sorpresa in assoluto del catalogo Netflix, ossia la miniserie true crime Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story. Questa produzione, che vede protagonista quello stesso Evan Peters che già aveva prestato il volto ad alcuni dei personaggi più iconici delle serie di Murphy (da American Horror Story a Pose), ha ribadito ancora una volta quanto l’uomo che è riuscito a creare serie tv di successo di ogni genere sia ancora capace di tirare fuori dal suo cilindro alcuni tra i conigli più spettacolari di Hollywood. Perché, che sia per lodarla, per polemizzare, discutere o anche solo per tentare di capirne il successo, milioni di persone si sono sedute ancora una volta a guardare l’ennesima gallina dalle uova d’oro prodotta da un uomo che sa sempre come far parlare di sé, spaziando tra generi, temi e decenni con una facilità impressionante.

Certo, pur nella sua estrema versatilità e poliedricità nel trattare i generi televisivi più disparati, ci sono alcuni punti fissi inamovibili nelle produzioni targate Ryan Murphy. Forse il più evidente tra i tratti che accomunano serie così diverse tra loro come possono essere Glee, American Horror Story, The Politician o Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story è l’enorme spazio riservato a figure che la storia o la società avrebbero altrimenti messo in un angolo: gli emarginati. Il tema del diverso, dell’esclusione della società, della solitudine e dell’accettazione ricopre una posizione centrale in ognuna delle produzioni di Murphy, che con toni e prospettive diversi dipingono le conseguenze estreme a cui può portare il sentirsi un emarginato. Vi sono ovviamente differenze enormi nella messa in scena di questa tematica, che spesso dipendono soprattutto dal genere della produzione in questione, eppure l’esplorazione dell’universo a cui appartengono gli emarginati rimane forse uno dei pochi punti fissi in una carriera estremamente versatile come quella del creatore di Glee.

ryan murphy
Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story (640×360)

L’altro, evidentissimo, pilastro delle produzioni targate Ryan Murphy è l’utilizzo pressoché ovunque dei suoi attori feticcio, una schiera di interpreti di grande talento che lo showrunner sembra voler costantemente impiegare in tutti i suoi film e serie tv. Oltre al già citato Evan Peters e al talentuosissimo Darren Criss, non possiamo che citare tra gli altri l’immensa Sarah Paulson, ma anche Emma Roberts, Billie Lourd, Lea Michele, Angela Bassett, Angelica Ross, Dylan McDermott, Finn Wittrock e la sempre perfetta Jessica Lange, tutti attori che hanno preso parte a diversi dei prodotti di Murphy e che sembrano essere sempre la sua prima scelta quando si tratta di trovare i protagonisti di nuove produzioni seriali.

Tuttavia, per quanto la presenza così massiccia di attori ricorrenti sembri poter rappresentare una contraddizione all’interno dell’opera di un uomo che sembra essere allergico alle ripetizioni e perennemente alla ricerca di nuovi stimoli, la verità è che questa sua precisa scelta creativa, questo costante riutilizzo degli stessi volti, non ha fatto che alimentare in qualche modo il mito di Ryan Murphy, con alcune delle stelle più note del panorama televisivo attuale che devono la propria (ritrovata) fama proprio a colui che ha deciso di farne le proprie muse. L’enorme potere di Murphy è allora riassumibile perfettamente qui, nella sua capacità di plasmare storie diverse e all’apparenza incompatibili imprimendo loro un marchio di fabbrica inconfondibile e facendo in modo che chiunque ne faccia parte riesca in qualche modo a distinguersi, a imporsi in un mondo competitivo come quello di Hollywood. Tra successi clamorosi e silenziosi fallimenti, Ryan Murphy è senza dubbio il volto più sfaccettato e significativo della televisione contemporanea, un uomo il cui mito è ancora solo agli inizi.

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