Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » SERIE TV » 7 Serie Tv non troppo famose in Italia che sono una scarica di adrenalina pura

7 Serie Tv non troppo famose in Italia che sono una scarica di adrenalina pura

Dal crime al noir, dal thriller allo spionistico e persino l’horror, tutte hanno come caratteristica comune il colpo di scena, magari tatticamente sistemato alla fine della puntata in modo da obbligarti a guardarne una nuova subito dopo, o restare con l’acquolina in bocca e l’adrenalina che scorre ferocemente sperando che la settimana scorra in fretta.
Il genere richiama un sacco di pubblico e per questo motivo le case di produzione ne sfornano una quantità incredibile. Difficile dire quanta percentuale di mercato occupino ma i cataloghi di Netflix e Prime Video ne hanno davvero una vasta scelta. Per tanti anni gli americani l’hanno fatta da padrone: CIA e FBI in primis ma poi via via scendendo di gradino in gradino tutti i dipartimenti di polizia e non solo, sono stati un enorme vaso dentro il quale pescare a piene mani e ricavarne avventure capaci di divertirci ma soprattutto di sorprenderci. Ultimamente però, forse complice una sorta di ripetitività nel rappresentare sempre lo stesso genere di protagonista con quelle caratteristiche che ormai sono diventati cliché, si può tranquillamente affermare che qualcosa è cambiato. Altre nazioni hanno scoperto la capacità e i mezzi non solo economici per poter raccontare storie avvincenti, davvero ricche di colpi di scena. Molto spesso questi piccoli gioielli vengo però ignorati.
Ecco dunque sette serie tv, tra le tantissime, che sono una vera scarica di adrenalina e che vi hanno tenute nascoste ma che noi di Hall of Series abbiamo visto, amato e che consigliamo di guardare. A partire da Occupied.

1 – Occupied

adrenalina

Basata su una idea originale di Jo Nesbø, famoso scrittore autore bestsellers da milioni di copie in tutto il mondo, Occupied (ne abbiamo già parlato qui a suo tempo) racconta la politica norvegese ad alti livelli. In un futuro distopico non troppo lontano, il Primo Ministro norvegese è intenzionato a chiudere i rubinetti di gas e petrolio che riforniscono l’Europa, preferendo ai vecchi e più inquinanti combustibili una energia pulita ricavata dalle centrali al torio, elemento radioattivo di cui la Norvegia è naturalmente ricca.
Questa scelta però è mal vista dall’Unione Europea che, ritrovandosi praticamente senza energia, sottobanco, chiede aiuto alla Russia la quale non ci pensa due volte a invadere il ricchissimo paese scandinavo. L’invasione russa, inizialmente pacifica ma via via sempre più violenta, è possibile anche grazie al fatto che gli Stati Uniti, raggiunta l’indipendenza energetica, hanno abbandonano la NATO.
Occupied, serie col più alto budget mai speso in Norvegia, sviluppa le sue trame su diversi piani bene intrecciati tra loro. In Occupied ci sono i politici democraticamente eletti che vengono, con cattive maniere, costretti a rivedere i loro piani per evitare guai peggiori. Ci sono le ingerenze di stati esteri che appaiono come bulli in un cortile della scuola, capaci di modificare l’agenda politica di uno stato sovrano secondo le loro intenzioni e necessità. Ci sono i servizi segreti, così come le forze armate, fedeli ma forse solo fino a un certo punto. C’è la stampa, libera di pubblicare quello che più ritiene giusto e disposta a pagarne le conseguenze. Infine c’è il popolo che alla lunga si organizza contro l’invasore perché stufo di vedere una classe dirigente democraticamente eletta incapace di farsi rispettare.
In Occupied i colpi di scena ideati dagli autori cercano di diventare sempre più complessi col passare delle puntate risultando però un po’ facilmente riconoscibili e, in certi casi, già visti altrove. Ciò nonostante le due stagioni finora trasmesse in Italia di Occupied (attualmente la si può trovare su Netflix) sono interessanti e gradevoli con personaggi ben caratterizzati (sopra tutti spicca Ingeborga Dapkūnaitė, la glaciale ambasciatrice russa a Oslo, moglie di Brad Pitt in Sette anni in Tibet).

2 – Fauda

The West Wing

In arabo significa “caos”, e caotica, oltre che incredibilmente ben girata, è questa seria israeliana, vincitrice di diversi premi, composta attualmente da tre stagioni e distribuita da Netflix, che racconta di alcuni membri di una particolare unità d’élite dell’esercito israeliano. Disorientante, sporca, violenta, traumatica, Fauda ci porta nella vita folle e angosciante dei soldati appartenenti al “Mista’arvim” unità antiterrorismo i cui membri hanno una peculiarità: agiscono sotto copertura nei territori occupati, infiltrati tra la popolazione palestinese. Sono soldati che sembrano arabi perché parlano arabo (un consiglio: va guardata in lingua originale, con i sottotitoli!) ma soprattutto agiscono e pensano come arabi permettendo loro di operare di nascosto, in maniera il più possibile chirurgica per garantire la sicurezza di Israele.
Come facilmente accade per chi opera sotto copertura il confine tra chi sei e chi devi interpretare risulta spesso nebuloso offuscando nelle situazioni più drammatiche, ricche di adrenalina, il giudizio che dovrebbe essere sempre retto e ponderato. I protagonisti di Fauda non danno mai l’impressione di essere totalmente nel giusto quando rapiscono o uccidono i loro nemici e questo lascia allo spettatore un senso di turbamento alimentato da mille domande perché, mentre si guardano le puntate una dietro l’altra si viene immersi in un mondo sconosciuto, incredibilmente concreto e lontano anni luce da qualsiasi altra serie televisiva del genere.
Del resto l’ideatore e attore protagonista, Lior Raz, è stato un membro di questa unità ed è certamente per questo motivo che Fauda ti colpisce forte come un pugno allo stomaco lasciandoti letteralmente senza fiato.

3 – The Looming Tower

the looming tower

Miniserie composta da otto puntate ideata tra gli altri da Alex Gibney, premio Oscar al miglior documentario nel 2008 con Taxi to the Dark Side, prodotta da Legendary e distribuita da Amazon Prime Video, The Looming Tower è la storia, vera e drammatica, degli anni precedenti l’11 settembre 2001.
Le strade di due importanti unità antiterrorismo americane, la I-49 dell’FBI a New York e la Alec Station della CIA a Langley, partite da punti differenti si incrociano più volte obbligando i loro percorrenti a scontrarsi verbalmente e non solo. Pur avendo entrambe un interesse comune, quello di garantire la sicurezza degli Stati Uniti, la sensazione che viene trasmessa allo spettatore è quella che conti di più il successo personale, inteso come priorità di accesso alle informazioni, che quello della collettività, inteso come prevenzione di un imminente attacco sul suolo americano. Come spesso accade quando il Bureau e la CIA indagano sullo stesso caso ognuno cerca di fare le scarpe all’altro omettendo o nascondendo informazioni probabilmente rilevanti.
Senza essere dei complottisti la sensazione di malessere che resta in bocca quando il primo aereo dirottato si schianta contro la Torre Nord è alquanto fastidiosa. L’impressione di assistere a qualcosa che avrebbe potuto essere previsto e forse impedito è molto forte. Ci si sente davvero impotenti, ed è forse questo il pregio più bello di The Looming Tower, mentre si assiste a una trama della quale si conosce già il finale senza che nessuno l’abbia spoilerato malignamente.
The Looming Tower è una corsa contro il tempo, una lotta contro un nemico decisamente subdolo che sostanzialmente ha già vinto, una battaglia che veri uomini interpretati da grandi attori (su tutti un imponente Jeff Daniels che interpreta l’agente speciale incaricato John P. O’Neill, irlandese cattolico, marito traditore e con problemi di alcool, spendaccione e manipolatore, combattono senza mai cedere di un passo, convinti del proprio lavoro. In The Looming Tower l’adrenalina aumenta puntata dopo puntata non tanto per i colpi di scena quanto, piuttosto, per l’imminente, drammatico, appuntamento con la Storia al quale nessuno potrà mancare.

4 – Califfato

califfato

La miniserie televisiva svedese, otto puntate distribuite da Netflix, parte da un fatto di cronaca reale: nel 2015 tre ragazze inglesi vengono fotografate in un aeroporto della Gran Bretagna intente ad abbandonare il paese alla volta della Siria per andare in spose ai guerriglieri dell’ISIS. L’ideatore di Califfato, Wilhelm Behrman, nel vedere quell’immagine rimase scioccato tanto da sentire la necessità di ricavarne qualcosa: “Ero così sconvolto, forse perché ho una figlia che ha la stessa età”.
Califfato non è una di quelle serie d’azione all’americana, ricca di esplosioni e sparatorie, piuttosto una di quelle introspettive che scavano nell’animo dei personaggi e obbligano chi le guarda a fare altrettanto col proprio. Le puntate, che si divorano, ci portano a contatto con aspetti incredibilmente reali delle seconde generazioni d’immigrati, le quali si ritrovano alle prese con una difficile quanto mai riuscita integrazione e la necessità di trovare una propria identità.
Le protagoniste della serie sono tre giovani donne: un’agente dei servizi segreti svedese; il suo contatto in Siria, ragazza svedese sposata con un guerrigliero inetto e codardo; una giovane ragazza di una famiglia musulmana che detesta il proprio padre perché non le lascia indossare il velo. Le storie di queste tre donne si intrecciano nel corso delle puntate fino a creare una sorta di legame indissolubile che le porterà a un finale inaspettato e sorprendente.
Califfato parte con il classico attentato terroristico da sventare ma nel corso delle puntate lo spettatore tende a dimenticarsene perché più interessato alla cruda realtà delle tre protagoniste e del loro destino. Nella sua drammaticità, persino estrema, Califatto è una serie davvero bella, carica di adrenalina, che racconta mondi e situazioni ai quali, fortunatamente, non siamo abituati.

5 – The Day

Occupied

La conosceranno davvero in pochi questa serie fiamminga che in Italia non è ancora mai andata in onda ma è stata trasmessa dalla RSI, Radiotelevisione della Svizzera italiana. Eppure si tratta di un vero e proprio gioiellino tanto da essere stata premiata come “Miglior fiction europea” (2018) al Festival de la Fiction di La Rochelle, in Francia.
La storia apparentemente è piuttosto banale: una rapina in banca con ostaggi in una sperduta grigia cittadina nella regione delle Fiandre; la polizia locale appronta una unità di crisi e cominciano i negoziati ma ovviamente, le cose, non vanno mai come dovrebbero.
I creatori della serie, partendo da uno dei più classici temi thriller, sono riusciti a costruire, però, un meccanismo interessante, soprattutto molto ben congegnato. I dodici episodi, infatti, si svolgono su ventiquattr’ore seguendo l’arco temporale di una giornata durante la quale gli stessi avvenimenti vengono mostrati al pubblico da due prospettive diverse: quella della polizia, soprattutto della squadra dei negoziatori composta da un trio molto ben assortito, con le giuste difficoltà e i giusti dubbi, e quella dei rapinatori e degli ostaggi. Grazie a questo espediente narrativo i dettagli disseminati qua e là nelle puntate come piccoli ingranaggi di un orologio cominciano a muoversi, bene oliati, creando un meccanismo perfettamente funzionante. I vari colpi di scena visti così dalla doppia prospettiva permettono al telespettatore di poter esser parte integrante della sceneggiatura e godersi appieno l’adrenalina crescente, puntata dopo puntata.
Le possibilità che De Dag, titolo originale, potesse crollare su se stessa come un castello di carta erano molto elevate ma Julie Mahieu e Jonas Geinaert, i due giovani creatori, sono riusciti invece a dare solide fondamenta alla sceneggiatura dando ai personaggi risvolti psicologici non da poco. Partendo dal niente in poche puntate possiamo partecipare a un ingarbugliamento della trama e delle sottotrame tale da stordirci e lasciarci a bocca aperta fino alla puntata finale quando tutti i nodi verranno sciolti rivelando quello che nessuno si sarebbe mai immaginato.

6 – Berlin Station

Occupied

Non è la solita americanata: perché non è ambientata in qualche stato canaglia; perché il protagonista non è un uomo d’azione; perché non è ricca di sparatorie ed esplosioni. Berlin Station è, invece, una signora serie di spionaggio che purtroppo ha avuto la sfortuna di ritrovarsi come avversaria di viaggio Homeland perdendo drammaticamente il confronto tanto da farla cancellare dopo la terza stagione.
Ideata da Olen Steinhauer, scrittore da milioni di copie, la serie, composta da tre stagioni per un totale di 29 puntate, è interamente girata a Berlino e sfodera un cast davvero da leccarsi le dita: Richard Armitage (tra le tante cose è Thorin Scudodiquercia in Lo Hobbit) nei panni del protagonista, un analista della CIA che viene sbattuto sul campo; il suo collega operativo Rhys Ifans (supervillain in The Amazing Spide-Man); il vice capo-stazione Leland Orsen (Sam nella trilogia Taken ma non solo); il capo-stazione Richard Jenkins; Michelle Forbes, responsabile di una sezione della stazione e Ashley Judd, che prenderà il posto di Jenkins dalla seconda stagione.
Berlin Station merita di essere vista e chi dice che non regge il confronto con Homeland non sa di cosa parla. Berlin Station non merita di esser paragonata con nessuna altra serie del genere perché unica: nelle trame, che ingranano subito; nei personaggi tutti con una loro psicologia ben definita; nei colpi di scena, carichi di adrenalina, che ti sorprendono e lasciano in bocca quel sapore agrodolce tipico di un mondo, quello spionistico, variegatamente grigio; e, non ultimo, nella sigla di apertura, I’m Afraid of Americans, scritta e cantata da David Bowie.

7 – Le Bureau

Occupied

Un gran bel gioiellino. I francesi, a partire dagli anni Duemila, hanno cominciato a produrre serie televisive di rilievo crescente tanto che Le Bureau è stata classificata nel 2019 dal New York Times al terzo posto tra le trenta serie straniere più belle del decennio 2010 recensendola come “probabilmente la migliore e più credibile serie spionistica al mondo“. E se lo dicono gli americani che dello spionaggio televisivo ne hanno fatto un’arte, potete credergli.
La serie è composta da cinque stagioni, ma sono in procinto di lavorare alla sesta, per un totale di cinquanta episodi, e vede come protagonista un Mathieu Kassovitz, attore, regista e sceneggiatore di caratura mondiale, straordinario nei panni dell’agente sotto copertura Malotru, un uomo che ha vissuto per diversi anni in Siria e che, una volta rientrato a Parigi, fa fatica a dismettere la copertura per rientrare in quella che è la sua vera vita. L’agente Malotru è davvero ben riuscito perché mescola bene la durezza del suo essere perfettamente addestrato con la malinconia dei ricordi di una vita che non gli appartiene senza mai eccedere in una o l’altra caratteristica rendendo così meravigliosamente bene il suo personaggio.
Le vicende di Le Bureau si dipanano negli scenari geopolitici più rischiosi trattati in maniera molto accurata e per questo risultanti decisamente credibili. Pur avendo diversi punti in comune con Homeland, Le Bureau è qualcosa di assolutamente nuovo e persino arricchente che va certamente vista.

Scopri Hall of Series Plus, il nuovo sito gemello di Hall of Series in cui puoi trovare tanti contenuti premium a tema serie tv