Vai al contenuto
Home » Serie TV » 8 miniserie che, ad oggi, non hanno ancora ottenuto l’attenzione che meritano in Italia 

8 miniserie che, ad oggi, non hanno ancora ottenuto l’attenzione che meritano in Italia 

3) The Patient, aka una delle miniserie più sottovalutate in circolazione

Steve Carell nei panni di Alan
credits: Disney+

The Patient è una miniserie statunitense disponibile su Disney+, che unisce il thriller psicologico alla tensione di un dramma più intimo e profondo. Creata da Joel Fields e Joe Weisberg (già noti per The Americans), la serie ha come protagonista Steve Carell in un ruolo inedito per lui. Un ruolo molto lontano dai toni brillanti della commedia che lo hanno reso celebre. Al suo fianco troviamo Domhnall Gleeson, in una delle interpretazioni più inquietanti della sua carriera. La storia ruota attorno a Alan Strauss, uno psicoterapeuta che viene rapito da un suo paziente. Questi è Sam Fortner, un giovane e solitario serial killer che desidera essere curato per liberarsi dall’impulso di uccidere. In una situazione claustrofobica, Alan è tenuto prigioniero nel seminterrato della casa di Sam. La trama segue una terapia forzata in cui la posta in gioco è altissima: la sopravvivenza. 

Ogni episodio è costruito su dialoghi intensi e silenzi pesanti, in un’atmosfera che ricorda i migliori drammi teatrali, in cui tutto si gioca nella psicologia dei personaggi. Ciò che distingue The Patient da molte altre serie è proprio il suo ritmo riflessivo. Oltre alla capacità di affrontare tematiche profonde come il lutto, la fede, il perdono, la colpa e la possibilità (o meno) di cambiare. La performance di Steve Carell è sorprendente per sobrietà ed emotività, mentre Gleeson dà vita a un antagonista disturbante e complesso, mai ridotto a una semplice caricatura del male. Nonostante l’alta qualità e la presenza di attori noti, The Patient non ha ricevuto grande attenzione in Italia. Forse per il suo formato breve e il tono cupo, o forse semplicemente per una scarsa promozione. Eppure, è una miniserie che meriterebbe ben altro riscontro: essenziale, densa, dolorosa, perfettamente adatta a chi cerca una visione adulta e psicologicamente coinvolgente.

4) Tra le miniserie più sottovalutate in assoluto c’è, senza ombra di dubbio, Swarm

Dominique Fishback nei panni di Dre
credits: Prime Video

Tra tutte le miniserie sottovalutate di cui trattiamo oggi, Swarm è quella più atipica, disturbante e originale. Creata da Donald Glover e Janine Nabers per Prime Video, è composta da sette episodi. La trama segue la discesa nella follia di Dre, una giovane donna ossessionata da una popstar immaginaria chiamata Ni’Jah, chiaramente ispirata a Beyoncé. Dre non è una semplice fan: è una devota, una seguace, una stalker capace di tutto per difendere la sua idola – anche uccidere. Il risultato è un racconto ipnotico, a metà strada tra il thriller psicologico, la satira sociale e l’horror più crudo. Interpretata magistralmente da Dominique Fishback, Dre è un personaggio che mette profondamente a disagio. Non cerca l’empatia dello spettatore, non è redimibile, ma è raccontata con inquietante sincerità. La serie si muove tra momenti di tensione estrema, ironia nera e critiche spietate alla cultura dell’idolatria pop, all’ossessione digitale, al fandom tossico e all’alienazione giovanile. 

Non è un caso che ogni episodio apra con l’avvertenza “Basato su eventi reali. Non chiedere quali”. Swarm, inoltre, è visivamente molto potente, con una regia ricercata che ricorda in più punti il cinema di Jordan Peele. Ma è anche una serie volutamente disorientante, che sfugge a qualsiasi tentativo di incasellamento narrativo tradizionale. L’inquietudine cresce episodio dopo episodio, mentre Dre attraversa gli Stati Uniti seminando morte. In Italia, purtroppo, Swarm non ha ricevuto l’attenzione che meriterebbe. Nonostante la firma di Glover – già dietro al successo di Atlanta – e un concept narrativo originale, la serie è passata quasi inosservata. Forse per il suo linguaggio estremo, per la scelta di non spiegare tutto allo spettatore o per la sua natura provocatoria. Eppure, è proprio questa radicalità a renderla affascinante: Swarm è un’esperienza visiva che turba e stimola, racconta qualcosa di profondo sul nostro tempo, sulla solitudine e sull’identità in un mondo dominato da avatar e like.

Pagine: 1 2 3 4 5