8) Baby Reindeer, un’altra delle migliori miniserie Netflix

Lo dicevamo nel caso di Disclaimer: a volte un ingranaggio può smettere di funzionare per le ragioni più assurde. Nel caso di Baby Reindeer, però, forse accade l’opposto. L’ingranaggio riprende a funzionare, anche se non per motivi che condividono qualcosa con la felicità. Richard Gadd è qui Donny, un comico che dalla vita non ha avuto granché, e neanche la sua passione per la comicità – spesso scorretta – lo ha saputo aiutare. Anestetizzato a qualsiasi emozione, Donny è spento, lontano, distante.Sceglie di non affrontare i propri traumi, preferisce relegarli al silenzio, come se non fossero mai esistiti. Ma ci sono esperienze talmente dolorose da non poter essere ignorate. A volte, sono proprio quelle a scuoterti, a costringerti a uscire dal ruolo di vittima passiva e a reagire, a diventare parte attiva del tuo stesso racconto.
Dietro Baby Reindeer si nasconde un obiettivo narrativo che va al di là della narrazione. L’intento è quello di esorcizzare il dolore. Raccontarlo, per dargli una forma. Una sostanza. Un perché. Con l’arrivo di Martha, infatti, ognuno dei fantasmi di Donny ritorna in modo spietato. È stata l’interruttore che ha svegliato Donny mettendolo di fronte a tutti i suoi demoni e fantasmi. Ma capire la pericolosità di Martha non basterà per tirarsi fuori da questo inferno, per aiutarlo a convivere davvero con i suoi mostri imparando a conoscerli. Ma sarà un primo passo. Un primo passo per riappropriarsi della sua vita, diventandone finalmente di nuovo padrone.
9) Masters of the Air, una delle migliori miniserie di Apple Tv+

Una grande notizia per i fan di Band of Brothers e The Pacific. Apple Tv+ sta cercando di farsi notare sempre di più, omaggiando anche capolavori del passato. Da questa volontà nasce Masters of the Air, una produzione che prosegue l’era iniziata dalle prime due. Nel dettaglio, ci ritroviamo nella Seconda Guerra Mondiale, ma stavolta la nostra prospettiva è affidata a un altro ruolo. Ci ritroviamo infatti a vivere il combattimento aereo degli equipaggi del 100th Bomb Group. Attraverso questo espediente, Masters of the Air si fa notare per la sua sospensione del tempo. Un espediente utilizzato soprattutto per dare unicità temporale all’intero arco narrativo cominciato nel 2001.
Anche dal punto di vista tecnico, Masters of the Air riesce a distinguersi, diventando fin da subito una produzione imponente. Le battaglie aeree sono le protagoniste di questo nuovo racconto. Estremamente dettagliate, ci offrono la possibilità di immergerci totalmente nella battaglia sia da un punto di vista visivo che uditivo. La colonna sonora va infatti di pari passo con la scenografia che ci regala una fotografia impressionante, coadiuvata da una tensione palpabile anche grazie all’ausilio dei suoni.
Ma Masters of the Air non si fa notare solo per la sua parte tecnica. Come i più sapranno, Band of Brothers e The Pacific hanno messo al primo posto l’emotività dei protagonisti, trattandoli prima da uomini e poi da soldati. Nello stesso modo, Masters of the Air porta avanti la tradizione regalandoci storie di vita di uomini che ogni giorno sentono la mancanza di casa e che ogni volta devono fare i conti con la nostalgia, sviluppando rapporti di fratellanza necessari. Anche da un punto di vista psicologico, Masters of the Air non fa sconti, raccontando i traumi collezionati dai protagonisti, la paura di morire e di perdere anche il proprio compagno, oramai diventato famiglia.
La morte, d’altronde, in una produzione così, non può che essere la protagonista. Più di quest’ultima, c’è forse solo la paura della morte, che ogni giorno terrorizza i protagonisti, portandoli a sfidare tutti i limiti a favore del trionfo finale. Insomma, Masters of the Air sa come accogliere l’eredità del passato e dar vita a una nuova storia, fatta di tradizioni ma anche di nuove prospettive.
10) The Penguin

Che ci trovassimo di fronte a un capolavoro lo avevamo intuito già dalle prime puntate (qui recensite). E IMDb lo ha confermato premiando il quarto episodio con un punteggio tale da consacrarlo tra i migliori di sempre. Un’ondata di fiducia e successo, costruita in appena quattro episodi. Il resto non ha fatto che rafforzare quelle impressioni iniziali, dando vita a una delle miniserie più straordinarie non solo degli ultimi due anni, ma in assoluto. The Penguin avrebbe potuto fare altre scelte. Avrebbe potuto espandersi. Ma ha preferito conservare tutto questo lasciando un ricordo perfetto, incastonato nel tempo di una produzione capace di superare ogni confine. Anche quello dell’appartenenza all’universo narrativo di Batman.
Una narrazione cruda, raffinata, intensa, che in molti momenti ha ricordato I Soprano come poche serie prima d’ora. Un racconto complesso, quello di The Penguin, che dà vita a numerosi spunti di riflessione, passando dall’azione alla tensione, ma anche allo sviluppo psicologico di personaggi controversi, vertiginosamente in bilico, protagonisti di un’altra lotta al potere che vedrà non soltanto Pinguino, ma lascerà spazio anche allo straordinario personaggio di Sofia Corleone, qui interpretata da una monumentale Cristin Milioti che, purtroppo, non ha ottenuto il meritato riconoscimento durante la stagione dei premi. E lo stesso, purtroppo, è avvenuto anche all’intera miniserie che, dopo tante aspettative, è andata via soltanto con un Golden Globe per Colin Farrell. Ma non c’è niente che possa rovinare quello che The Penguin è stato nell’ultimo anno. Al netto di grandi ritorni targati HBO come House of the Dragon e The Last of Us, gli ultimi 365 giorni – fino ad adesso – sono stati di The Penguin. E non esiste cosa più giusta di questa.







