Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » SERIE TV » 7 Serie Tv che sono a metà tra una trashata clamorosa e una roba seria

7 Serie Tv che sono a metà tra una trashata clamorosa e una roba seria

Con il termine trash si indicano tutti quei prodotti televisivi o cinematografici che sono considerati di cattivo gusto, grotteschi, o anche ricchi di fan service. Sappiamo che sono scadenti, ma continuiamo a vederli, ci lasciamo coinvolgere e ci appassionano. E poi ci sono le serie tv più impegnative, drammatiche, che trattano temi seri, che voglio lasciare un messaggio o sottintendono una sottile critica socio-politica. Ma che succede quando questi due generi così opposti si incontrano? La Casa di Carta è l’emblema di questa categoria, ma non è l’unica.

1) La Casa di Carta

la casa di carta

La Casa di Carta è nota per i suoi momenti di alto trash. Ma non è solo questo. D’altra parte, le prime due stagioni ci hanno molto entusiasmati, grazie a una buona dose di suspense, azione e soprattutto l’impresa carismatica nella quale i protagonisti si sono fiondati. Ognuno per un motivo diverso, la curiosità era anche svelare a poco a poco le persone dietro la maschera di Dalí, conoscerle e capirle. Senza contare la polemica al consumismo, alla società capitalistica, alla brutalità della polizia. Un inno quasi comunista, un grido di libertà. I momenti di tensione drammatica poi nelle prime stagioni ci hanno tenuti sulle spine.

Ma, se anche all’inizio ci sono stati dei siparietti tragicomici, con l’andare avanti delle stagioni la situazione è degenerata decisamente troppo. Un agente che più che un uomo è Terminator, scene cringissime tra Berlino, la sua fidanzata e suo figlio. Tokyo che è semplicemente lei, con le sue frasi Tumblr e gesti inutilmente avventati. Ma la lista potrebbe continuare all’infinito. La Casa di Carta è il rappresentante di tutte quelle serie che partono serie se poi deviano per imboccare l’autostrada del trash.

2) What/If

la casa di carta

Le premesse alla base della serie tv targata Netflix erano intriganti e ci hanno fatto ben sperare. Infatti la componente drammatica induce a una riflessione: fino a a che punto si è disposti a spingersi per perseguire il proprio idealistico obiettivo?

La serie porta lo spettatore a mettere in dubbio ogni scelta fatta, tentando di dimostrare che ogni cosa ha delle conseguenze, ogni situazione un risvolto della medaglia. Lisa ha un sogno: trovare una cura per il cancro, dopo che ha visto la malattia devastare e portarsi via sua sorella. Ma la realtà è fatta di convenienze e case farmaceutiche. Una benefattrice entra in scena a questo punto, Anne Montgomery. Ed è qui che la serie inizia la sua scalata verso il trash. Questa donna potente e spregiudicata, che fa di tutto per arrestare l’inevitabile avanzare degli anni, offre venti milioni di dollari per finanziare il progetto di Lisa. In cambio vuole passare una notte con suo marito Sean, il quale non potrà mai rivelare ciò che è accaduto tra lui e Anne quella notte. What/If voleva essere Big Little Liar e invece ha finito per fare il verso a 50 Sfumature.

3) Bang Bang Baby

Bang Bang Baby

Bang Bang Baby è stata davvero una piacevole scoperta che ha avuto il coraggio di uscire fuori dalla confort zone delle produzioni italiane, al sicuro tra generi visti e rivisti. È riuscita così non solo a trasportarci davvero indietro nel tempo, ma anche a realizzare una serie che è più che altro un ibrido tra generi: una tragedia ironica, un romanzo di formazione psichedelico. Sullo sfondo di una Milano degli anni 80, si srotola la vicenda di Alice che per caso si imbatte nella foto di un uomo che credeva morto da tempo: suo padre.

Santo Barone, calabrese legato agli ambienti della ‘Ndrangheta e trapiantato nella regione lombarda, è l’altro protagonista della storia, la cui tragedia personale si intreccia a quella della figlia, in un complesso racconto familiare che riscopre un sentimento di appartenenza, l’innocenza e la crudezza della vita. Ma non sono mancati i picchi di trash che ci hanno allietati durante la visione. Basti pensare alla nonna Lina che improvvisa un lanciafiamme con un accendino da operatore televisivo coronata da espressioni della donna assolutamente comiche. O alle espressioni volgari e proposte di “servizietti con i fiocchi”, che seguono alcune scene drammatiche, il cui contrasto non può che farci cringiare di brutto.

4) Fanatico

Qui ci troviamo invece di fronte al caso opposto rispetto ai precedenti. Dal trailer non ci aspetteremmo altro che una docuserie celebrativa sulla musica trap. E fa già ridere così. Ma poi, iniziando la visione di questa serie spagnola di Netflix (qui trovate la nostra recensione), scopriamo un contraltare serio che non ci saremmo aspettati: riflessioni sulla fama e sul quel che comporta, la pressione sociale e i problemi di droga. E così la trap finisce per essere una metafora della condizione sociale e politica. Decostruisce il concetto della notorietà in una storia imprevedibile tesa alla distopia e alla fantapolitica.

Inutile dire quanto siano riconoscibili stereotipi che ormai associamo subito a La Casa di Carta, soprattutto dal momento che il protagonista sembrerebbe aver ripreso il carattere di Denver: ha l’aria da bamboccione, gesticola e parla prima di riflettere, ma è più onesto e consapevole di quanto dia a vedere. Non mancano elementi grotteschi, religiosi, mentre il tema della morte, del dolore e del rispetto, si alternano a folle impazzite, luci al neon e drammi amorosi. I momenti sopra le righe al limite con il ridicolo non mancano, anzi. Tuttavia, questa serie ha saputo sfruttare al meglio il tema trattato e l’immaturità attoriale dei protagonisti per realizzare un prodotto inaspettato e riflessivo.

5) Vis a Vis

vis a vis

Via a Vis soffre del paragone con due serie tv: Orange is the New Black e La Casa di Carta. Con la prima ha in comune l’ambientazione e alcuni aspetti della trama, mentre dalla seconda ritornano volti noti e soprattutto resta quel leitmotiv delle serie spagnole, quell’aspetto popolar-rivoluzionario. La serie affronta con crudezza la realtà della vite in carcere e indubbiamente lo spettatore si sente coinvolto, si affeziona alle detenute e alle loro battaglie.

È un thriller drammatico che lascia molto spazio alla storia delle protagoniste e alla complessità delle loro relazioni interpersonali. Purtroppo c’è un grande difetto. Il confine tra drammatico e comico è molto sottile e – come accade già per la più celebre serie spagnola – Vis a Vis lo supera, vanificando i momenti di tensione con altri di trash. La protagonista Macarena vive una serie di tragedie che pare capitino tutte a lei, eppure resta impassibile. Nulla la tocca, diventano esasperante. Ma soprattutto, ci sono personaggi che scompaiono così, nessuno che ci chieda che fine hanno fatto, semplicemente vengono abbandonati a se stessi e dimenticati. D’altra parte quando la stessa Macarena va in coma, nessuno la ricorda, la nomina, niente. Ricompare poi come se nulla fosse.

6) Quantico

riverdale

Quantico ci ha illuso. Ci aspettavamo una spy-story che ci tenesse incollati allo schermo, suspense e colpi di scena. E invece ci troviamo di fronte a una trashata con una spruzzata di argomenti seri. Degni di menzione sono i dialoghi: imbarazzanti è contraddittori, non c’è una reale corrispondenza tra parole e azioni. Vengono ad esempio citate amicizie storiche e rapporti nati durante il periodo dell’addestramento, ma quando vengono mostrati i flashback di quel periodo non c’è alcun accenno, alcun legame, nulla. Come anche provvedimenti e scene al limite del surreale. Eppure le premesse erano interessanti, anzi.

Sicuramente la struttura narrativa (se si escludono i buchi di trama) è la cosa più interessante. Seguiamo i protagonisti prima che diventino agenti speciali e contemporaneamente vediamo che nel futuro questi stessi saranno oggetto di un attentato terroristico. Tra di loro d’esserci una talpa, ma come fare a individuarla tra gli amici di sempre? Ora, elemento che può piacere come disturbare, è l’ampio spazio dedicato proprio all’amicizia e soprattutto alle love story. Quantico abbonda di drama.

7) Benvenuti a Eden

la casa di carta

E se un algoritmo fosse capace di svelare le insoddisfazioni delle persone che invece sui social ostentano serenità? Quando i 5 protagonisti vengono inviati insieme ad altri cento a un party su un’isola per sponsorizzare una bibita blu, scoprono presto che non possono lasciare l’isola come gli altri e che sono stati fatti prigionieri. Il problema è proprio che la sceneggiatura rivela fin da principio quali saranno gli eletti intrappolati, visto che seguiamo loro dalla partenza fimo alla fine. Mentre degli altri 95 non abbiamo più alcuna notizia.

Ma non è solo la prevedibilità o i buchi di trama che fanno vedere questa serie come l’ennesima trashata, ma anche le situazioni paradossali. La protagonista è immobilizzata sul lettino. Se breve impossibile riuscire a scappare. E invece se ne va, esattamente com’è entrata, come se niente fosse. Ma d’altra parte pare che nessuno sia seriamente preoccupato o spaventato, i ragazzi accettano la situazione con filosofia. Tuttavia i temi messi in tavola sono diversi: abusi, sindrome dell’abbandono, dipendenza e soprattutto quanto i social siano finti, quanto ci influenzino. Speriamo in una seconda stagione studiata con maggior criterio.