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The Handmaid’s Tale 6×10 – Un finale che fa contenti tutti ci rende davvero contenti?

The Handmaid's Tale
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The Handmaid’s Tale è arrivata al capolinea: dopo otto anni salutiamo una serie che ha fatto storia, diventando uno dei prodotti migliori della sua generazione. Purtroppo, e non solo da questa ultima stagione, la qualità non è sempre stata costante ma indubbiamente, in questi ultimi episodi, abbiamo assistito a un certo “trascinamento”, fino ad arrivare a questo finale di cui si parlerà sicuramente molto, nei prossimi giorni e anche nei prossimi anni.

Perché il finale di serie di The Handmaid’s Tale rispecchia cristallinamente una tendenza ormai troppo comune nelle serie: cedere alla fanbase più sentimentale, che vuole una conclusione senza rischi e senza traumi, e alla velocità, che fagocita le storyline concludendole con troppa furia.

Siamo soddisfatti di questo finale di serie? No, si poteva fare decisamente di più viste le premesse iniziali. Siamo stupiti di ciò? No, visto l’orientamento che aveva preso la serie nelle ultime stagioni e soprattutto in questa conclusiva. Continueremo ad amare The Handmaid’s Tale incondizionatamente? Certo che sì, praise be.

Cominciamo con quello che non ha funzionato, che è decisamente di più. Innanzitutto, la fretta: episodi di 40 minuti scarsi non bastano per una serie così complessa, che ha sviluppato una serie di sottotrame che meritavano una degna concusione.

L’esempio più plateale di come la fretta abbia giocato un brutto scherzo a The Handmaid’s Tale è la conclusione del personaggio di Janine. Umanamente siamo tutti contenti che abbia ritrovato sua figlia e che la aspetti una vita libera e felice con lei. Ma se ci pensiamo razionalmente, questa conclusione presenta una serie di approssimazioni e ingenuità non da poco. Tanto per cominciare, dovevano concludere un personaggio, Janine, ne hanno conclusi tre al prezzo di uno: lei, Madame Lawrence e Zia Lydia. Scaricate tutte e tre al nuovo confine di Gilead, dove viene consegnata una Janine in uno stato orribile, piegata da settimane di torture e maltrattamenti (è trascorso meno di un mese dalla liberazione di Boston, come June diligentemente ci spiega a inizio puntata). 

Con lei, però, ci sono anche Zia Lydia, la moglie di Lawrence e ovviamente la piccola Charlotte. E la vedova di Lawrence, che solo nella puntata precedente parlava delle ancelle come di infide e ingrate che non vedono l’ora di pugnalare nel sonno i Comandanti, consegna senza fare una piega, anzi con gioia, la sua figlia adottiva alla sua madre naturale, un’ancella che ha partecipato attivamente alle rivolte. Come se non bastasse la piccola, che era ancora in fasce quando è stata strappata alla madre, non sembra per niente triste di separarsi dalla donna che l’ha cresciuta e anzi sorride in braccio a Janine. Hanna, la figlia di June, che era molto più grande di lei quando è stata separata dalla madre, di lì a pochi anni non la riconosceva più, davvero volete farci credere che una bimba di appena 3 o 4 anni si ricorda della mamma a cui è stata tolta neonata?

Sarà vero, “le mamme tornano sempre”, come dice June a sua figlia nel flashback in cui si ricorda quando la piccola si era allontanata da lei per pochi minuti al parco giochi, l’incubo di ogni madre. Ma non è tutto rose e fiori, e The Handmaid’s Tale ce lo aveva mostrato molto bene, con tutto il cinismo del caso, l’ultima volta che ci aveva mostrato June ancella davanti a una Hanna ormai giovane donna che non l’aveva riconosciuta. 

Una Hanna mostrata in questa puntata finale più che durante tutte le ultime stagioni al solo scopo di ricordarci della sua esistenza, del perché June fa tutto quello che fa e per farci accettare il fatto che June tornerà sul campo di battaglia, per liberare tutti gli Stati Uniti e riprendersi sua figlia. Creando, inevitabilmente, una frattura con la piccola Holly, con cui si è ricongiunta a Boston dopo la liberazione, che verrà cresciuta dalla nonna. Tutto questo lo vedremo, molto probabilmente, nei Testamenti, che dovranno fare salti continui tra passato e presente per mostrarci come cresceranno le due bambine, tra Gilead e l’America liberata, e come sarà il loro rapporto con la madre. Un nuovo capitolo nel quale, nel caso non si fosse capito, avrà un compito importante Zia Lydia: Beata la donna che non cammina nel consiglio degli empi, così la saluta June ringraziandola. Un personaggio che avevamo salutato, nel momento cardine del suo cambiamento, nella scorsa puntata e che gli sceneggiatori sembrano aver voluto in quella scena per farci sapere che sta bene, che non è morta ed è pronta per la rivoluzione. 

Il rapporto madre-figlia è il cardine di questo episodio conclusivo, e c’era da aspettarselo. The Handmaid’s Tale comincia con la corsa disperata di una madre e una figlia nel bosco, e una bimba strappata, e questa ferita continua a sanguinare. La rivoluzione è momentaneamente archiviata, si torna alla dimensione intima, quella che questa serie predilige, anche se in quest’ultima stagione si è lasciata andare un po’ troppo agli spiegoni. 

Come nel caso dell’incontro di June con Emily, altro personaggio improvvisamente accantonato e di cui si erano perse le tracce. Ma qui la serie c’entra fino a un certo punto, Alexis Bledel aveva fatto sapere di aver “chiuso” con The Handmaid’s Tale: ma non doveva essere una rottura poi così netta, a quanto pare.

Le due si incontrano per caso, passeggiando per la Boston liberata: e non poteva non esserci il recap, per chi si fosse dimenticato di un personaggio comparso per l’ultima volta ben due stagioni fa, con tanto di spiegone su ciò che aveva fatto in tutto questo tempo. Bello, ma era davvero necessario recuperare un personaggio all’ultima puntata solo per non far dire ai fan “ed Emily, che fine ha fatto?”

Altro momento “spiegone” quello vissuto da June con sua madre. Non tanto per la scena in sé, perché c’era da aspettarselo che June avrebbe continuato con la sua battaglia per riavere Hanna, così come che sua madre avrebbe avuto le sue perplessità e le sue paure, ma per come viene tirata fuori la questione del libro. Dovresti raccontare la tua storia”, le dice sua madre e, pochi minuti dopo, Luke le ripete la stessa cosa, come se i personaggi avessero sviluppato una coscienza collettiva. Sappiamo tutti che The Handmaid’s Tale è tratto dal romanzo Il racconto dell’ancella (che è anche il titolo di quest’ultima puntata), raccontato in prima persona, ed è sicuramente poetico che la serie ci mostri il germogliare dell’idea in June. Ma sarebbe stato meglio se fosse avvenuto in modo spontaneo, non attraverso un’imbeccata degli showrunner ai personaggi. 

Tutti i personaggi di The Handmaid’s Tale, in questa puntata conclusiva, trovano un finale che li chiude, li nutre e li soddisfa: persino Serena, la più contorta di tutte, quella che fino all’ultimo ci aveva tenuto in sospeso con la sua tanto sudata “redenzione”. E invece, persino per lei sembrano aprirsi le nuvole e uscire un sole accecante a rischiarare il suo futuro. Che, per il momento, è tutt’altro che roseo, essendo lei un’esule, con un bambino piccolo e senza passaporto. Ma dentro ha fatto pace con se stessa, con i suoi demoni, con il suo passato (“Sono diventata Morte, distruttrice di mondi”, dice Serena, citando il Bhagavad Gita) e persino con June. E che ha finalmente capito che l’unico uomo a cui votare la propria sarà solo suo figlio Noah. Tu sei il più prezioso dono di Dio. A me basti tu, sei ciò che ho sempre voluto” gli dice, in lacrime, stipata nel campo profughi.

Non sappiamo se la rivedremo, nei Testamenti. Ma, anche se non dovesse ricomparire, ci piace immaginarla come l’avevamo vista per qualche puntata a inizio stagione, libera, in campagna, a espiare i suoi peccati coltivando la terra e i fiori in memoria di suo padre, con suo figlio a fianco e senza bisogno di nessun uomo.

Il finale di serie di The Handmaid’s Tale è soprattutto il finale di June Osborne, almeno per ora. Pare abbastanza chiaro che la rivedremo ne I testamenti, come gli showrunner ci hanno fatto sapere con solerzia in tutti i modi. Il finale di June è soprattutto intimo, onirico a tratti, come nella (bella) scena in cui immagina come sarebbe stata Boston se Gilead non fosse mai esistita. Lei e le donne che non sono mai state ancelle, Janine, Moira, Rita, a cantare in un locale al karaoke Landslide dei Fleetwod Mac, a ridere e scherzare. Fino a quando la realtà non colpisce e June trova un vestito rosso, che entra prepotente nel suo sogno a occhi aperti come un crampo durante il sonno. E June lo brucia, lo lascia cadere nel falò dove hanno festeggiato per tutta la notte i componenti di Mayday e gli abitanti di Boston liberata. Il tessuto brucia in fretta, il logo di Gilead impresso sul ferro richiede più tempo, ma già si intravedono le prime crepe. 

June ritorna dove tutto è cominciato, a casa Waterford, come se The Handmaid’s Tale fosse stato un sogno, un terribile incubo da cui svegliarsi. Ma June è sveglia già da un po’. Non ha più paura di attraversare quei cancelli, di aprire quella porta, di salire le scale che portano alla sua stanza, ora sventrata dai bombardamenti. Una casa è un inferno solo se i suoi abitanti la rendono tale: e la casa dei Waterford è solo un guscio freddo e vuoto, in attesa di cadere a pezzi. Un guscio nel quale June si rifugia, per tirare un breve respiro prima della nuova grande corsa che la attende. Una corsa che la porterà a stringere di nuovo la mano a sua figlia. Lei lo sa, ci crede, la vede persino lì vicino a lei, anche se è lontana centinaia di chilometri. E, come succede quando nella vita la chiarezza arriva all’improvviso, tira fuori il suo registratore e dice, semplicemente: 

“Una sedia, un tavolo, una lampada. C’è una finestra con le tende bianche. Il vetro è infrangibile ma non perché temano che scappiamo. Non arriveremmo lontano. Temono altre fughe: quelle che puoi aprirti dentro se hai un oggetto tagliente o un lenzuolo attorcigliato e un lampadario. Io cerco di non pensare a quelle fughe, è dura nei giorni della cerimonia ma pensare a volte è peggio. Il mio nome è Offred”

The Handmaid’s Tale 6×09 – Una puntata che ci ha fatto piangere tutte le nostre lacrime