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The Handmaid’s Tale 6×09 – Una puntata che ci ha fatto piangere tutte le nostre lacrime

The Handmaid's Tale
Better Call Saul

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Finalmente The Handmaid’s Tale ci regala un po’ d’azione, anche se col contagocce, e un clamoroso colpo di scena finale che farà sicuramente spezzare i cuori di molti fan della serie. Dopo una prima fase di stagione preparatoria e una di mezzo decisamente troppo tentennante, questa serie ha tirato fuori gli artigli: peccato che siamo praticamente in dirittura d’arrivo e la fretta di concludere si stia dimostrando cattiva consigliera per The Handmaid’s Tale.

Chi si aspettava una sequenza splatter con le riprese dell’uccisione dei 37 comandanti nelle loro case (comprese alcune mogli) è rimasto deluso. La scena a cui assiste Serena mentre scappa di casa insieme a Noah, un’ancella che insegue e ammazza una moglie, ci viene mostrata volutamente oscurata. Niente bagni di sangue, ancelle indemoniate che si scagliano contro i comandanti dormienti e le mogli atterrite: una scelta decisamente in controtendenza (verrebbe quasi da dire “puritana”) da parte di una serie che non ci aveva risparmiato momenti decisamente per stomaci forti, nelle precedenti stagioni.

The Handmaid’s Tale ha deciso di puntare, in questa stagione conclusiva, sull’aspetto concettuale più che su quello visivo.

Una serie che ha fatto degli allestimenti scenici, della fotografia, delle inquadrature intimistiche uno dei suoi cavalli di battaglia si sbilancia di più sui dialoghi, sulle dichiarazioni ad effetto, come quella commossa e rabbiosa di June sul patibolo. Non sempre in modo riuscito: mai come in questa stagione finale abbiamo la sensazione che il concetto di giusto e sbagliato, di bene e male, siano legate a una visione strettamente cristiana più che a un concetto superiore di bene e male, che prescinde dalla religione.

“Il dio di Serena e il mio dio non vuole tutto questo”, dice June nel colloquio dalla cella col comandante Wharton, venuto a fare un’esibizione muscolare di potere con l’insubordinata ancella, appena catturata, poche ore prima di affrontare il patibolo. Il punto, in The Handmaid’s Tale, però, non è sempre stato cosa volesse Dio o cosa non volesse: ma cos’è giusto o sbagliato. Probabilmente, in questa svolta religiosa della serie, c’è lo zampino di Elizabeth Moss, nota esponente di Scientology e da diverse stagioni regista di alcune puntate (tra cui questa).

Il monologo di June sul patibolo dimostra la chiara svolta religiosa intrapresa dalla serie: The Handmaid’s Tale ha sempre parlato di religione, ma la religione non è mai stata la chiave di tutto. “Hanno disonorato il tuo nome”, dice June rivolgendosi direttamente a Dio: nell’ottica religiosa chiaramente i comandanti e tutto il “cervello” di Gilead hanno distorto la parola di Dio, ma i crimini per cui dovranno essere giudicati è contro le persone, contro le “persone buone” che hanno oppresso.

Quella che era cominciata come una preghiera, un intimo dialogo con Dio, diventa una chiamata all’azione, un invito a tutti gli uomini e le donne di buona volontà perché non lascino “che i bastardi li pieghino”: nolite te bastardes carborundorum, il grido di guerra di The Handmaid’s Tale, è tornato.

Svolta religiosa a parte, questo episodio di The Handmaid’s Tale conferma tutti i dubbi che fino ad ora avevamo nutrito su quest’ultima stagione. La rivoluzione è finalmente arrivata, e pazienza se non è stato il soddisfacente bagno di sangue che ci aspettavamo: ma tutto sta accadendo davvero troppo velocemente perché riusciamo davvero a processarlo. Zia Lydia ha abbracciato definitivamente la causa delle ancelle ed è pronta ad affrontare il suo destino, riconoscendo le sue colpe (ma, SPOILER DE I TESTAMENTI, difficile che la vedremo distruggere Gilead dall’interno, ora che si è compromessa al punto da sfiorare l’esecuzione. Dovranno trovare un altro modo per mostrarci quel personaggio contorto, ambiguo e stoico che la seconda parte del Racconto dell’ancella ci ha fatto conoscere, posto che metà di quel ruolo lo ha rivestito, sebbene per pochi episodi, la Zia infiltrata, Ava).

Vedremo nell’ultimo episodio cosa il futuro riserverà a questa donna ambigua, che The Handmaid’s Tale ha decisamente “maltrattato” in questa stagione. La virago che incuteva timore in tutte le ancelle e alle altre Zie, l’invasata religiosa, la fanatica capace di far cavare un occhio a un’ancella per punizione e poi votare la tua vita a proteggerla è diventata l’ombra di se stessa. Il persistente tremolio alla bocca che la accompagna da tutta la stagione è un chiaro segnale di una psiche sul punto di frantumarsi come un uovo, lasciando uscire una nuova vita o qualcosa di marcio e inutile.

Il confronto con Serena e June rischiava di diventare l’ennesimo scontro tra due donne che il destino continua a mettere l’una accanto all’altra, l’una a proteggere l’altra dopo averle rese acerrime nemiche per anni. Rischiavamo di assistere all’ennesimo scaricabarile di responsabilità tra le due: chi ha fatto più cose orribili, chi ha tradito l’altra e chi è la migliore interprete della parola di Dio (per tornare all’impronta religiosa della serie). Ma, per fortuna, la mancanza di tempo impone a June di tagliare corto e andare dritta al sodo: Serena ha la sua ultima occasione di dimostrare che non è stato tutto inutile, che la sua evoluzione non è un flipper impazzito in cui la pallina va continuamente avanti e indietro ma un processo lento, elefantiaco ma costante.

E non ci delude: fa la cosa giusta (o quello che vorrebbe il suo dio), pur rimanendo arroccata nella sua torre d’avorio: consegna i comandanti (tra cui suo marito Wharton) alla giustizia degli uomini, prima che a quella di Dio.

Difficile pensare che Serena diventi parte della resistenza: fa sorridere l’ingenuità di June quando dice a Lawrence e Tuello che ora lei “è una di noi”. Un’ingenuità che non appartiene al personaggio di June e che è un altro dei punti dolenti di questa stagione.

Menzione d’onore di questo episodio va alla Zia infiltrata con la resistenza, di cui finalmente conosciamo il nome: Ava. Non è una semplice patriota: durante la scena dell’assalto al patibolo si intuisce chiaramente che le sue abilità nel combattimento derivano da qualcosa di più di semplice “teatro amatoriale”, come dice lei schermendosi di fronte ai complimenti di June per la copertura perfetta. E finalmente rivediamo anche Tuello, giusto per ricordarci che la liberazione di Gilead non è in mano “solo” al Mayday.

Ma il vero, grande eroe di questa puntata (e sicuramente tra i grandi eroi di The Handmaid’s Tale) è il comandante Lawrence: impossibile non sentire l’addio nell’aria, quando si congeda dalla figlia dicendole “fai tanti disegni colorati per me”. Il comandante sacrifica se stesso per tagliare le teste restanti dell’Idra, comprese quelle più feroci e ambigue: Nick e Wharton. Nick che, decidendo finalmente da che parte stare (ma chi ha mai dubitato che, in fondo, la parte in cui aveva sempre deciso di stare fosse quella dei “vincitori”, come dice anche a Lawrence sull’aereo?), ha fatto la scelta peggiore che potesse fare (come lo stesso comandante gli fa notare: “avresti dovuto dare retta a lei“).

“E tutti i tuoi progetti?”, chiede ingenuamente Nick a Lawrence, stupendosi di vederlo su quell’aereo, in partenza per un consiglio d’emergenza che metterà definitivamente sotto chiave ogni prospettiva progressista di cui si era fatto alfiere. “Ci sarà bisogno di uomini migliori di me per portarli a termine”, risponde Lawrence dopo una lunga pausa.

L’eredità sottile di questo personaggio, che consegna alla storia insieme a quel gesto d’addio a June, impercettibile e venato d’inconsueto affetto, prima di salire sull’aereo e compiere il suo sacrificio.

E mentre l’aereo si fa strada tra le nuvole, per poi esplodere nel cielo, June osserva tutto dalla pista di decollo, con gli occhi lucidi. La luce dell’esplosione le illumina il volto, i detriti dell’aereo cominciano a precipitare dal cielo come lacrime di fuoco, mentre lei dice definitivamente addio a Nick e a Lawrence: il peggio e il meglio di Gilead, che se ne vanno insieme. June, ora, è ancora più sola. Senza Lawrence sarà ancora più difficile ritrovare Hannah e avere un accesso a Gilead. Su quell’aereo, insieme ai comandanti, è morta di nuovo la speranza di rivedere sua figlia.

Cosa possiamo aspettarci dal finale di stagione di The Handmaid’s Tale? Ci sono ancora molte questioni aperte e sappiamo che quella che abbiamo visto fino ad ora è solo il timido sbocciare di una rivoluzione che non si compirà in questa serie. Possiamo aspettarci qualche altra morte “eccellente”, visto che in questa puntata, in un colpo solo, abbiamo perso due personaggi fondamentali? Come gestirà The Handmaid’s Tale il problema di “chi resta”, a cominciare da June che ha ancora la battaglia per sua figlia da portare avanti, oltre a quella per rovesciare Gilead? Serena tornerà come se niente fosse a Nuova Betlemme, di nuovo vedova e più indifesa che mai, o abbraccerà una nuova vita nel mondo libero (e da donna libera)? Mayday ci riserverà qualche altra nuova azione, ora che può contare anche su un esercito organizzato?

Sarà molto difficile avere tutte le risposte alle nostre domande e alle tante questioni lasciate aperte in un’ultima puntata. Ma, una volta che il fiore ha cominciato a sbocciare, basta poco tempo perché si riveli in tutta la sua bellezza. Speriamo accada la stessa cosa con The Handmaid’s Tale e con la sua rivoluzione.

The Handmaid’s Tale 6×08 – Il tempo è poco, ma la svolta si fa ancora attendere