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The Handmaid’s Tale 2×04: “torni alla casella di partenza”

“Beati i miti,
perché erediteranno la terra.”

Il sogno di June si è infranto a un passo dalla libertà, quella che sembrava essere iniziata come la stagione della rivalsa e della lotta ci ha riportati invece all’esatto punto di partenza. E noi ci sentiamo un po’ presi in giro, nel senso buono ovviamente. Ogni cosa è tornata al suo posto, come se non fosse mai stata spostata, come se i precedenti tre episodi non fossero mai accaduti. Ma non è affatto cosi. Perché tutto in The Handmaid’s Tale non è più lo stesso.

Il mondo di June non è più lo stesso, perché l’aver assaporato anche se per poco quella dimenticata libertà, ha reso ancora più doloroso perderla. Seppur in una posizione privilegiata, per via della sua gravidanza (sono passati tra l’altro tre mesi, all’interno della narrazione), June è di nuovo in gabbia. Esattamente come quando al gioco dell’oca peschi “torni alla casella di partenza”, mentre tutte le altre pedine vanno avanti. La “casa” che June ha lasciato è molto cambiata, nessuno si offre di darle una mano, ha perso la fiducia dei propri carcerieri e molti sono stati puniti a causa sua.

The Handmaid's Tale

Niente è più lo stesso, né fuori né dentro June.

Il ritorno all’ordine è l’apparente ricerca di una realtà che non esiste più, che è stata scossa nelle sue fondamenta. A nulla servono quindi un baby shower, lo sa bene Serena, e un allegra giornata fuori con gli amici di brigata, lo sa in cuor suo il comandante, perché la verità seppur taciuta è in realtà sulla bocca di tutti. Marchiare nuovamente June è solo un rito, anzi una sorta di pezza per coprire una macchia fastidiosa, per nascondere fin dove una donna, si badi bene, è stata in grado di arrivare.

Ma il cambiamento più grande avviene dentro June. Sempre più stremata, affranta e ora anche perseguitata dai sensi di colpa, la donna sembra essersi definitivamente arresa. Di fronte al cadavere dell’uomo che le ha prestato aiuto portandola in casa propria, June cede. Crolla a terra. A rassicurarla non sono le braccia di suo marito o di Nick ma quelle di un’altra donna, zia Lydia. Quest’ultima attraverso una retorica potente e efficace cerca di liberarla da ogni pensiero, perché la colpa non è sua, di Offred, ma di QUELL’ALTRA, ovvero June. 

The Handmaid's Tale

Vorrei poi spendere due parole per Ann Dowd, interprete meravigliosa di un personaggio quanto mai ambiguo.

Sarebbe interessante scoprire di più sul passato di zia Lydia, probabilmente la donna più contorta e complessa di The Handmaid’s Tale. Ha una sua logica e non è del tutto malvagia perché ci sono momenti in cui sembra prendere seriamente a cuore la sorte delle Ancelle di cui si occupa, poi di colpo si tramuta in una cinica senza cuore. Contrariamente agli altri personaggi femminili come Serena e la stessa June, zia Lydia non sembra essere mossa da interessi personali e non agisce quasi mai in maniera impulsiva

The Handmaid's Tale

Colpa e possesso sono i due grandi temi di questa puntata di The Handmaid’s Tale. Essi si intrecciano, tra passato e presente, in un’oscura catena che fa sprofondare June … anzi, scusate, Offred. Se in passato la donna ha preso per sé Luke non curandosi della moglie, nel presente ha rischiato tutto, anche la vita delle altre Ancelle pur di ottenere quello che voleva. L’egoismo di Offred, mai nascosto in realtà, ha avuto nel corso della sua vita diverse conseguenze che solo adesso fanno sentire il proprio peso. Così, schiacciata dalla consapevolezza delle proprie azioni, Offred accetta di nuovo il ruolo di Ancella e lo fa con una rassegnazione quanto mai angosciante.

Quel “my fault” ripetuto all’infinito trascina noi e la protagonista verso una nuova notte, senza stelle. 

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