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Mosaic è una gioia per gli occhi. Ma non per la mente

Steven Soderbergh ha accumulato un credito infinito al cinema e non solo. È egli infatti ad aver dato forma a uno dei prodotti televisivi più belli (e, al contempo, sottovalutati) degli ultimi anni. Parliamo naturalmente di The Knick, sulla quale ha impresso il suo marchio indelebile in ogni inquadratura frontale, in ogni movimento di macchina a mano libera, in ogni piano sequenza. E, naturalmente, in ogni singolo fotogramma, rivendibile alla stregua di una cartolina. The Knick è sicuramente un punto di partenza imprescindibile per analizzare il suo nuovo lavoro, Mosaic, “suo” nel senso che oltre a curarne la regia è anche l’effettivo creatore. Cambierà il genere, un crime ambientato ai nostri giorni invece di un medical drama di inizio Novecento, cambieranno le ambientazioni e alcuni attori, ma resta vivida la sua poetica, il valore aggiunto che riesce a trasmettere alla trama con la potenza delle immagini. E basta veramente poco per rendersene conto.

Prima di entrare nel merito dei primi due episodi, va detto che ci sono altre due ragioni per le quali Mosaic ha suscitato curiosità prima del suo debutto. In primis, l’intenzione sperimentale del progetto pensato dal regista: l’universo di Mosaic è, infatti, esteso grazie a un’app per iOS e Android. L’applicazione è concepita come un film interattivo non tanto nell’effettiva possibilità da parte dello spettatore di intervenire sulla trama, quanto piuttosto nella logica di approfondire le dinamiche che compongono l’intreccio. Ovviamente nel nostro paese l’app non è disponibile, per cui dovremmo guardarcela secondo i canoni più convenzionali. L’altra ragione è da ritrovarsi nel cast, che annovera Sharon Stone nei panni di Olivia Lake, la vittima. La presenza della quasi sessantenne star di Hollywood, alla pari del coinvolgimento di Soderbergh, dovrebbe fungere da garanzia sulle ambizioni di Mosaic.

Che, oltretutto, è targato HBO.

mosaic joel

Un’opera di Soderbergh, come dicevamo poc’anzi, porta il suo marchio indelebile. Si avvale infatti un comparto tecnico fortemente invasivo, fino a diventare parte integrante della trama. In Mosaic la regia scruta e esplora le ambientazioni, prima di concentrarsi sui personaggi, come se il nostro punto di vista coincidesse con quello di un detective in cerca del più minuscolo indizio. Numerose sono le panoramiche accompagnate dai dialoghi off-screen, altrettanto frequenti sono i restringimenti di campo fino a soffermarsi sui protagonisti della scena. Non vi è traccia dei piani sequenza che hanno scandito il ritmo e le emozioni degli spettatori in The Knick, ma viene ripreso il concetto di fotografia in chiaroscuro e la luce soffusa nei luoghi chiusi, che contribuiscono a conferire ambiguità ai personaggi.

Se la regia rispetta in toto il suo compito, la sceneggiatura non riesce a mantenere il passo. Si percepisce sin da subito l’importanza che assumono i dialoghi, che coprono la totalità degli episodi. In un crime riflessivo che strizza l’occhio al giallo scandinavo questo non è necessariamente un difetto. Per giunta, alcuni scambi sono di pregevole fattura e capaci di far emergere alcuni dei temi della Serie, come la paura di invecchiare della protagonista e la sua conseguente immaturità. La Stone assume un ruolo centrale non solo perchè buca lo schermo con la sua presenza scenica, ma anche perchè Olivia Lake è il fulcro della trama: il pilot, ad esempio, è segnato da una divisione netta tra due parti, in ognuna delle quali interagisce con uno dei due principali sospettati.

Eppure in Mosaic manca qualcosa, un ingrediente fondamentale nei crime.

mosaic olivia eric

Manca l’innesco, ciò che ci spinge a continuare la visione, nell’ansia spasmodica di scoprire l’assassino. Abbiamo Joel, che è il principale sospettato gettato in pasto agli spettatori ed Eric, il colpevole secondo la polizia. Sappiamo che non può essere così scontata la risoluzione, eppure i primi due episodi non stuzzicano a sufficienza l’interesse di chi li guarda. Per fare un esempio, in un altro crime di gran livello HBO come The Night Of, è la nostra convinzione che non può essere stato Naz, per il quale proviamo empatia sin da subito, a guidarci trasversalmente nel corso delle puntate. Qui si fa veramente fatica a empatizzare con i due presunti criminali (o, a seconda dei punti di vista, innocenti).

Ed anche eventuali outsider, tenendo conto degli investitori che vorrebbero comprare il cottage in cui vive Olivia, sono abbastanza stereotipati e privi di quel dinamismo necessario a colpire l’attenzione dello spettatore. Pertanto, si configurano soltanto come dei personaggi tesi a moltiplicare i punti di vista narrativi, rischiando di portare la narrazione a comporsi di spezzoni di trama senza un vero criterio logico. Come un mosaico, ma in un’accezione tutt’altro che positiva. Che la natura del problema, in quest’ottica sia da ricercarsi nella derivazione videoludica del prodotto? Sarebbe un errore madornale tale da compromettere non solo la Serie ma anche lo stesso videogioco.

Alla luce di ciò, vale la pena continuare la visione di Mosaic? La storia parrebbe suggerire di no, ma la fiducia nel lavoro di Soderbergh non può essere scalfita da un inizio balbettante. È nei suoi prodigi con la cinepresa e nel carisma della Stone che va riposta la speranza, per ora la Serie è rimandata: una gioia per gli occhi senza dubbio, ma non per la mente.

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