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Dragon Age: Absolution – La Recensione della serie animata Netflix tratta dal videogame

Il fantasy passa anche per l’animazione. Lo abbiamo già visto: che si tratti di prodotti adatti a tutte le fasce di età come Il Principe dei draghi o più per gli adulti come Arcane o The Legend of Vox Machina, ormai l’animazione occidentale ha iniziato a costituire una valida alternativa ai prodotti in live action per qualsivoglia serie ambientata in un mondo fantastico e ricco di magia. Ciò è reso possibile grazie all’ovvia capacità del medium di portare su schermo in maniera convincente qualsiasi genere di idea baleni per la mente degli autori a costi ragionevoli e di ricreare ambientazioni visionarie senza rischiare di far calare la soglia di incredulità dello spettatore. Non stupisce pertanto che la casa di produzione videoludica BioWare abbia scelto questo preciso medium quando ha deciso di portare su schermo grazie a Netflix Dragon Age: Absolution, una seria ambientata nel mondo di una tra le saghe videoludiche per eccellenza, Dragon Age, fantasy composto per ora da tre videogiochi che hanno accompagnato la vita di milioni di giocatori sin dal 2009 in attesa del quarto attesissimo capitolo Dreadwolf.

Approdata su Netflix nella giornata del 9 dicembre, Dragon Age: Absolution si compone di sole sei puntate della durata ciascuna di circa mezzora, una durata davvero risicata che ci porta a chiedere se la serie non potesse essere condensata in una lunga pellicola animata. Tuttavia, l’intento della serie pare chiaro: porsi come un sequel diretto rispetto a Dragon Age: Inquisition e ingolosire gli storici fan del franchise videoludico in attesa del rilascio del quarto capitolo.

Dragon Age: Absolution
Miriam in Dragon Age: Absolution, solo su Netflix (640×360)

Ma cosa tratta di preciso Dragon Age: Absolution?

La serie animata Netflix, in questa sua prima stagione, racconta la missione da parte di un gruppo di mercenari, tra cui spicca l’elfa ladra Miriam, un ex schiava della regione del Tevinter, per trafugare il Circulum Infinitus, un pericolosissimo artefatto che nelle mani sbagliate finirebbe per arrecare incredibili danni a tutto il continente del Thedas. Nel portare avanti l’impresa Miriam si ritroverà a prendere decisioni che la cambieranno per sempre e a scontrarsi con i fantasmi del suo passato, tra dovere e famiglia, tra rimorsi e ricerca della propria libertà. Una serie che oscilla tra heist e fantasy tradizionale e che mostra sin da subito un approccio molto maturo nei confronti della narrazione, toccando tematiche forti e cupe e insistendo su alcune scene particolarmente crude: nonostante non manchino momenti di umorismo (relegato ad alcuni mirati personaggi come Qwydion o Lacklon), questo non raggiunge mai le vette toccate da The Legend of Vox Machina di Amazon Prime Video, la più accostabile al progetto in quanto a genere e intento.

Fedelmente ai videogiochi, la serie si incentra molto sulle dinamiche interne a un piccolo gruppo di individui molto diversi tra loro che si ritrovano a collaborare per un bene più grande: la squadra che accompagna Miriam nell’avventura vede infatti la presenza di alcuni umani, un nano e una Qunari (razza originale dell’ambientazione di Dragon Age, composta da umanoidi molto alti e robusti dotati di corna e con una cultura e tradizione del tutto peculiari).

Se stiamo continuando a parlare di videogiochi un motivo c’è. Questo prodotto è, infatti, un vero e proprio regalo ai fan di Dragon Age. Tra riferimenti espliciti e impliciti a luoghi ed eventi storici per il marchio, Absolution dà per scontate molte tra le nozioni della storia del continente. Ciò che è facilmente riconoscibile dai videogiocatori più accaniti (tra Lyrium, magister, Inquisizione, Divino e così via), risulta tuttavia essere meno accessibile ai nuovi spettatori che, soprattutto nel pilota della serie vengono sommersi da una mole di informazioni che rischia di schiacciarli e che appesantisce forse inutilmente. La mitologia dietro al mondo in cui si ambienta la storia è infatti molto complessa e voluminosa, difficile da presentare senza confondere i non avvezzi!

L’idea che si trae dalla visione di Dragon Age: Absolution è infatti proprio questa: l’impressione che essa miri maggiormente ad accattivarsi le simpatie del pubblico più storico e studiato del brand piuttosto che ad attrarne uno nuovo. Di certo non un male, dato che non altera le ottime basi della storia, ma, d’altra parte, un peccato se si pensa che forse non riuscirà a raggiungere una platea più vasta che si perderà una serie con tanta azione, ma anche tanta introspezione e incentrata le relazioni che si creano tra i personaggi: Individui ognuno con una spiccata personalità e obiettivo da portare avanti. Insomma, una serie universale capace di trattare con cura tematiche come la vendetta e il sacrificio, la ricerca della libertà e l’autodeterminazione.

Dragon Age: Absolution
Hira e Miriam (640×360)

Sia i mercenari che accompagnano Miriam nella sua missione che i nemici presentati risultano infatti interessanti e carismatici. Spiace pertanto vederli su schermo per così poco tempo: se si fossero aggiunte tre o quattro puntate in più, siamo sicuri che, infatti, ci saremmo potuti affezionare ancora di più a essi e avremmo potuto conoscerli meglio. Le dinamiche e le relazioni che essi instaurano all’interno dei sei episodi di questa prima stagione risultano infatti molto naturali e credibili anche se parzialmente ancora superficiali. Grande spazio ha inoltre l’inclusività nelle storie d’amore che già aveva contraddistinto i videogiochi: un’inclusività del tutto naturale e per nulla forzata. Coppie omossessuali ed eterosessuali sono trattate sullo stesso piano a rimarcare che l’amore è semplicemente amore.

L’impressione che si ha è che Dragon Age: Absolution corra però un po’ troppo nei ritmi, affrettando situazioni che forse avrebbero necessitato di arrestarsi prima di subire ulteriori variazioni.

Ciò, infatti, non permette né allo spettatore, né ai protagonisti di metabolizzare al meglio i tanti eventi che permeano la stagione, tra flashback, cambi di schieramento, rivelazioni e tradimenti. Non che questo dinamismo sia per forza necessariamente un male: siamo sicuri, infatti, che molti potrebbero apprezzare questa scelta narrativa, volta a intrattenere lo spettatore e a non farlo mai annoiare con rallentamenti nel ritmo. La serie Netflix risulta essere infatti molto dinamica: dalla celerità con cui si passa da una situazione all’altra fino alle adrenaliniche scene di combattimento, fughe e duelli magici. Lo studio Red Dog Culture House ha, da questo punto di vista, fatto un ottimo lavoro: visivamente parlando, le animazioni scorrono fluide e sanno anche sbalordire. I colori accesi e il character design dei personaggi, debitore di altre serie animate occidentali già citate ma con una nota stilistica personale, riescono infatti a tenere vivo l’interesse dello spettatore. Buona risulta essere la colonna sonora, anche se la sigla iniziale lascia non entusiasma particolarmente.

Lacklon in Dragon Age: Absolution (640×460)

Nonostante alcuni difetti, tuttavia, non possiamo fare altro che promuovere questa prima stagione della serie Netflix. La storia intrigante, le atmosfere fedeli alla saga di un mondo coerente con se stesso e davvero affascinante e le citazioni dirette ai videogiochi (con tanto di apparizioni di personaggi amati come Leliana o Cassandra) non possono non fomentare i fan storici e di certo affascinano anche chi, affacciandosi per la prima volta a questo mondo potrebbe scegliere di approfondirne la mitologia. Il finale aperto di questa prima stagione (che pare quasi essere una solo l’incipit per qualcosa di più grande) lascia aperte le porte a un rinnovo da parte di Netflix. Speriamo pertanto che la piattaforma possa dare presto il via libera alla lavorazione di una seconda parte che possa continuare a raccontare la storia di Miriam e dei suoi amici.