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Choona – Recensione della miniserie indiana distribuita da Netflix

ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su Choona.

Ci sono un politico, un astrologo, un imbianchino, un imprenditore edile, un muto, un leader studentesco, un poliziotto e… no, non è l’inizio di una barzelletta, di quelle classica. Piuttosto, sono alcuni dei protagonisti della miniserie rilasciata in questo caldo fine settembre 2023 su Netflix.
Choona, la cui uscita era prevista per la fine di luglio, ideata, scritta e diretta da Pushpendra Nath Misra è un prodotto made in India (o Bhārat, nome hindi del paese) e di fatti, come tante altre serie e film presenti sulla piattaforma streaming, è in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Un piccolo scoglio che vale la pena superare per godersi le otto puntate della durata media di circa una quarantina di minuti l’una.

Choona, il cui significato è quello di truffa, racconta la storia di un uomo politico, niente meno che il ministro per lo sviluppo urbano, desideroso di rovesciare il governo attualmente in carica e prendere il posto di primo ministro per bramosia di potere. Per farlo però, ha bisogno di corrompere diversi senatori ed è così costretto a chiedere in prestito una montagna di rupie a un imprenditore. Il quale, a sua volta, vuole costruire un enorme centro commerciale sopra una baraccopoli e per questo abbisogna, chiaramente, dell’appoggio del ministro stesso. I due, sordi a ogni etica e morale, insieme sono praticamente indistruttibile e sono disposti a qualunque cosa pur di ottenere quello che desiderano.
Ma la baraccopoli è protetta da un giovane un po’ scalcagnato il quale, essendo membro di un altro partito di minoranza, non ha nulla da perdere nell’inimicarsi sia il ministro e che l’imprenditore. Sembrerebbe una lotta senza speranza ma in soccorso del giovane arrivano altri personaggi malridotti ciascuno dei quali ha un conto in sospeso con il ministro.
Il gruppo, in cerca di vendetta, ragiona lungamente per creare un piano che lo porti a derubare il responsabile del dicastero direttamente nella sede del suo partito, considerata una roccaforte imprendibile. Ma nel corso della rapina, com’è ovvio e giusto che sia, le cose non andranno proprio lisce come l’olio e il rischio che tutto finisca in fumo è costantemente dietro l’angolo.

Choona, 640×360

Choona racconta una storia vecchia come il mondo: se vuoi fare del male a un cattivo devi colpirlo là dove può soffrire di più. Cioè portandogli via il potere e i soldi.

Di fatti queste otto puntate narrano la più classica delle heist story che rimanda un po’ al genere Ocean Eleven, per intenderci. Una rapina per ristabilire un po’ di giustizia là dove giornali e polizia sono più che corrotti e al soldo del potente di turno. Una giustizia del tutto personale e arbitraria però, poiché i cattivi alla fine non subiranno praticamente alcuna grave perdita. Anzi, usciranno di prigione o si alleeranno con i potenti più potenti, mentre i protagonisti, invece, si riempiranno le tasche di rupie come risarcimento per i torti subiti lasciando il resto del mondo esattamente nello stesso punto di prima, o peggio.
Ad accompagnare lo spettatore nello svolgimento della serie una voce fuori campo che, dall’inizio alla fine, si prodiga in commenti utili ad arricchire la trama senza appesantirla mai. Un espediente simpatico e già visto altrove che si permette di aggiungere una coloratura ironica, se non addirittura sarcastica in certi momenti, molto utile soprattutto al pubblico occidentale per riuscire a comprendere meglio certi risvolti culturali probabilmente sconosciuti ai più.

Choona è uno show apparentemente leggero e divertente capace di mostrare sotto uno strato di umorismo intelligente e arguto un mondo incredibilmente lontano dal nostro, per questo misterioso, affascinante e al tempo stesso molto drammatico.
Così come i dialoghi, seppur filtrati attraverso l’adattamento sottotitolato, risultino intrisi di espressioni e concetti diversi tra loro a seconda di quale personaggio li stia esprimendo dando una perfetta idea di come siano forti le differenze sociali, anche nelle situazioni più esilaranti è possibile percepire il sapore di un universo ancora molto classista difficilmente concepibile secondo il nostro punto di vista.
L’autore e regista gioca a fare l’equilibrista in questo senso: da una parte, sullo sfondo, la corruzione e la povertà, dall’altra, in primo piano, i personaggi di varie estrazioni sociali. Il risultato, che avrebbe potuto essere catastrofico come tante volte accade, è più che buono con il caos iniziale che nel corso delle puntate si dissolve lasciando spazio a una struttura narrativa senza particolari colpi di scena, e forse un po’ lungo, ma con quella linea comica sufficientemente ben fatta tanto da risultare addirittura esilarante, nonostante i sottotitoli, in più di qualche momento.

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Choona, 640×360

Non è semplice poter giudicare un prodotto così culturalmente lontano dal nostro pensiero. Ciononostante non si può non accorgersi della capacità recitativa dei diversi attori presenti in scena, alcuni dei quali anche piuttosto conosciuti in patria. Su tutto il cast spicca certamente il ministro corrotto Shukla interpretato da Jimmy Shergill (Il mio nome è Khan) capace di dare al suo personaggio il giusto mix di spietatezza e aplomb che lo fa apparire misterioso e affascinante al tempo stesso tanto da attirarsi le simpatie del pubblico. Al tempo stesso il cattivo è anche un fanatico dell’astrologia e questo fatto un po’ alleggerisce il suo ruolo di crudele nemico. C’è anche Ansari, il leader studentesco interpretato da Aashim Gulati in grado di infondere nel suo eroe la giusta dose di stupidità alla quale deve porre rimedio per poter evolvere e crescere, come fosse in un romanzo di formazioni.
Nel gruppo dei malmessi si distinguono anche Triloki e Bishnu, interpretati rispettivamente da Namit Das e Chandan Roy. Il primo è un abile trasformista capace di interpretare chiunque desideri e proprio i suoi travestimenti e le sue interpretazioni, in particolar modo quello del santone, sono davvero spassosissime. Il secondo, invece, interpreta il cognato di Shukla, muto per uno shock subito in giovane età, capace fornire al gruppo mirabolanti idee. E con una sorpresa nel finale non da poco.
Il cast è composto anche da due personaggi femminili. La prima, interpretata da Niharika Lyra Dutt, è una giovane programmatrice innamorata di Triloki. La seconda invece, interpretata da Monika Panwar, è una mancata poliziotta riciclatasi nel giornalismo televisivo e innamorata di Ansari. Entrambe le donne, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, dimostrano di essere perfettamente emancipate e capaci di decidere del loro destino dando alle rispettive storie d’amore una sferzata di modernità che raramente si riesce a vedere nelle serie occidentali.

Choona alla fine è una miniserie (o siamo di fronte alla prima stagione di una serie? Un dettaglio che al momento non siamo in grado di decifrare) che molto probabilmente avrebbe potuto risolversi con qualche puntata in meno. Non che la storia si dilunghi in maniera esagerata. E nemmeno le spiegazioni, divise tra la voce fuori campo e una serie di flashback, l’appesantiscono. Però l’impressione è quella che un concentrato sarebbe stato più che sufficiente. Ma anche in questo caso il giudizio è possibile sia filtrato da una concezione occidentale che, inevitabilmente, non può sparire dall’oggi al domani.
Nonostante ciò le otto puntate presenti su Netflix valgono il tempo speso per guardarle. Davvero, di quante altre serie si può dire una cosa del genere?. Se non altro per soddisfare la curiosità di vedere un prodotto di un mercato fortemente in espansione che non rinuncia alla sua cultura per vendere all’estero.