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Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel, tra complottismo e drammatizzazione

La nuova docuserie crime di Netflix, Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel, lascia più domande che risposte, contribuendo ad alimentare quella corrente complottista che trova già abbastanza spazio sui social. Erede meno fine e concreta della precedente e a essa direttamente collegata Night Stalker, sul caso di Richard Ramirez (di cui vi abbiamo parlato in questo articolo), Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel riparte dalla mitologia di Los Angeles come città perduta, bocca dell’inferno da cui fuoriescono demoni e gli angeli trovano la morte. Ma, nonostante gli ottimi precedenti in materia di docuserie Netflix, l’indagine sulla morte della ventunenne Elisa Lam tra le fauci del malfamato Cecil Hotel lascia l’amaro in bocca, fornendo una narrazione dei fatti sensazionalistica e un racconto delle indagini che dà troppo spazio e voci tutt’altro che ufficiali, tralasciando informazioni essenziali.

Siamo nel 2013 e la studentessa ventunenne appassionata d’arte Elisa Lam, canadese con famiglia originaria della Cina, intraprende un viaggio lungo gli Stati Uniti che la porta a fermarsi nella Città degli Angeli. Quella che doveva essere una gita all’insegna della scoperta e del divertimento segnerà per lei la fine: scomparsa improvvisamente, verrà ritrovata oltre due settimane dopo, dentro una cisterna dell’acqua sul tetto dell’hotel nel quale alloggia, il Cecil Hotel nel quartiere Skid Row di Los Angeles.

Le prime due puntate di Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel fanno ben sperare: la narrazione incentrata sulla storia della città di Los Angeles e in particolare sul malfamato e maledetto quartiere di Skid Row è estremamente interessante. Costruito negli anni Settanta al solo scopo di tenere i senzatetto, i poveri, le prostitute, gli avanzi di galera, insomma gli emarginati, fuori dalla società, la pustola negli anni si è infiammata, divenendo un cancro pronto a esplodere.

Al centro del quartiere maledetto il Cecil Hotel, con i suoi 14 piani e le sue 700 stanze, svetta come la rappresentazione dantesca dell’inferno stesso: più sali, più la dannazione e la rovina ti colgono. Costruito negli anni Venti come soluzione economica per la classe media, la Grande Depressione lo coglie nei suoi primi vagiti, condannandolo a un’esistenza precaria e rabbiosa. Diventerà quasi subito rifugio per senzatetto, per poveri che non possono permettersi l’affitto, per sbandati vari che verranno a morire tra le sue stanze e persino per serial killer: Richard Ramirez ne fu ospite fisso durante l’Estate della morte del 1985. La pessima fama del Cecil Hotel lo precede: ma Elisa Lam, ignara di tutto, fa il suo ingresso tra le sue stanze come un agnello ignaro verso il mattatoio.

Fino a questo punto Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel si avvale di interviste a storici di Los Angeles ma anche a persone che in quelle strade maledette e in quell’albergo infernale ci hanno vissuto. La narrazione storica – banalizzata certo, ma sincera – durerà poco: la scomparsa di Elisa in una notte di febbraio scoperchierà il vaso di Pandora del peggio che la cultura di Internet, ancora nelle sue fasi iniziali, potesse partorire.

Subito dopo la scomparsa di Elisa inizia a circolare un video delle telecamere di sorveglianza del Cecil Hotel che ritrae la ragazza all’interno di uno degli ascensori. Ed è qui che Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel prende tutta un’altra piega, prestando il fianco al sensazionalismo, alla drammatizzazione e al più becero complottismo.

Indubbiamente, i fotogrammi che ritraggono Elisa nell’ascensore del Cecil sono inquietanti e apparentemente inspiegabili: ma il primo e più grave errore che compie Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel è non contestualizzare la storia e la vita della ragazza, avvalendosi di testimonianze di persone che non l’hanno mai conosciuta e di una lettura piuttosto filtrata e superficiale dei suoi post su Tumblr, che la ragazza usava come diario. Elisa Lam, infatti, era bipolare: il suo disturbo potrebbe essere la causa del suo comportamento anomalo in quei fotogrammi, ma ben poco spazio viene riservato all’analisi e alla narrazione dei suoi problemi, se non per insinuare l’idea che possa essersi suicidata (teoria poi scartata dalla serie stessa).

Ma è nelle successive puntate che gli errori di Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel diventano a dir poco imperdonabili. L’entrata in scena dei cosiddetti “segugi del web” segna un punto bassissimo nella narrazione: l’insperata viralità del video che ritrae gli ultimi istanti di vita di Elisa crea un grande scompiglio nella nascente comunità dei forum online, dei gruppi Facebook e dei canali YouTube, con illustri sconosciuti che, tra un consiglio di make up e una ricetta, dispensano consigli agli investigatori e si dilettano a indagare sul caso.

Invece di fornire subito gli elementi chiave per permettere allo spettatore di arrivare gradualmente alla verità sul caso, Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel preferisce omettere alcuni dettagli essenziali o ritardarli, scegliendo una narrazione sentimentalistica, semplificata, che lascia grande spazio alle teorie del complotto (una su tutte: che il video sia stato alterato dallo staff dell’hotel), ma che spiega molto poco di come si sono svolti i fatti e delle indagini che sono state intraprese.

La scelta di avvalersi, nella fase investigativa della docuserie, di testimonianze dei “segugi del web” accostate a quelle dei detective lascia intendere che Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel sia più ascrivibile a quel genere di contenuti da cui poter estrapolare un’avvincente creepypasta, più che un documentario che dovrebbe raccontare i fatti. Non interpellare in alcun modo né i familiari di Elisa né altre persone che potessero in qualche modo spiegare quella ragazza, cannibalizzata dal web e compianta falsamente da una comunità virtuale di sconosciuti, mette una grande tristezza.

Il punto più basso Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel lo raggiunge quando mostra alcuni di questi segugi del web aggirarsi emozionati e sghignazzanti per le stanze del Cecil Hotel, a caccia di fantasmi, di brividi e, molto più pragmaticamente, di visualizzazioni e like. La fama e il desiderio di sentirsi importanti e parte di qualcosa di più grande li spinge ad accanirsi contro un musicista death metal, Pablo Vergara in arte Morbid, ingiustamente sospettato di aver ucciso Elisa e sottoposto a una gogna mediatica impietosa che lo condurrà a tentare il suicidio. La sua testimonianza nella serie, accostata a quella di coloro che l’hanno infamato, trasmette un segnale ambiguo, come a dire: “Davvero credete al metallaro brutto e cattivo e non a queste star del web coraggiose e pulite?”

Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel parte bene, per declinare poi rovinosamente in una narrazione drammatizzata, lacrimosa e sensazionalistica, che nulla aggiunge al caso più di quello che si potrebbe ottenere cercando informazioni su Wikipedia. Resta solo il senso di tristezza per una vita spezzata troppo presto e inspiegabilmente, e altrettanto inspiegabilmente divorata senza pietà da una comunità di approfittatori che, grazie alla sua morte, hanno trovato approvazione e notorietà.