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Better Call Saul – 5×05: Io sono colui che sono

La recensione della 5×05 di Better Call Saul è un’analisi sull’essenza di ogni personaggio e sulla consapevolezza della sua natura.

I Am What I Am

Ehyeh asher Ehyeh è il nome di Dio nella Bibbia, rivelato a Mosè da Elohim stesso. Significa “Io sono colui che sono” ma anche, più letteralmente, “Io sarò ciò che sarò”. Non è solo un nome, però: è un concetto, una dichiarazione esistenziale di trascendenza. Dire “Io sarò ciò che sarò” significa affermare che solo “Io”, solo Dio cioè, può determinare ciò che è e sarà, non l’uomo. Nessun’altro. Affermare “I Am What I Am” per Gustavo Fring in questa 5×05 di Better Call Saul significa allora rimarcare la propria essenza, quella che solo lui può determinare.

La traduzione italiana, questa volta, compie un magnifico salto interpretativo: “I Am What I Am” diventa “Io rimango quello che sono“, esprimendo così immanenza, autodeterminazione. È proprio questo il senso della frase: il continuo riattualizzarsi, nel tempo, della propria essenza, del proprio ineludibile Essere.

Gustavo Fring

È un’ammissione pesante quella di Fring. Un disvelamento che comporta accettazione e presa di coscienza. Gustavo conosce bene gli orrori commessi, sa di essere un criminale. Dentro di lui, però, non c’è rimorso o inganno. C’è invece la consapevolezza finale di non poter essere altro da sé, di dover essere quello che è. Se il Dio biblico si autodetermina per ciò che è, Gustavo di contro accetta la sua essenza.

Una verità che ha imparato a sopportare molto tempo prima.

La sua è una natura contraddittoria e terribilmente umana ma che pure vive nella consolazione, forse falsa, di una diversità. “I Am What I Am” diventa così “I Am Different” a rimarcare la distanza dall’altro, dal nemico. È l’illusione di ogni protagonista di Better Call Saul: sentirsi diverso, contrapporsi a qualcuno percepito come rivale. Per Gus sono i Salamanca, per Saul è Howard, per Kim il suo stesso cliente, la Mesa Verde.

La banca rappresenta per l’avvocatessa tutto ciò che la trattiene dal suo ideale morale: è il potente che vuole schiacciare il debole, il forte che si serve dei migliori avvocati per imporre la propria giustizia. Ma ognuno è quel che è. Così se Kevin Wachtell, il CEO della Mesa Verde, diventa, scimmiottato da Kim, uno stereotipo di machismo texano, anche Kim non può sottrarsi alla sua essenza. Anche lei è ciò che è.

Better Call Saul

La sua natura, come quella di Saul, Gus e di ogni altra figura di Better Call Saul è complessa e sfaccettata, scissa tra un ideale di giustizia e la bassezza dell’uomo e dei suoi inganni. Ancora una volta Kim torna a prendere la bottiglia di birra offerta da Saul, il simbolo, nell’episodio 5×03, del salto al di là della Legge. Quell'”Ok” (“D’accordo“, nella traduzione) con cui Giselle accetta di cedere all’ennesimo raggiro spalleggiata dal suo Slippin’ Jimmy precede appena l’immagine di Saul che le offre la birra.

Quell’assenso, l’ennesimo, diventa allora quasi l’ammissione a sé stessa della propria natura, della contraddittorietà del proprio essere.

L’accettazione di chi scopre di essere colui che è e di non poter essere diversamente. È il compromesso morale che più volte abbiamo ricordato come costante esistenzialista nelle opere di Vince Gilligan. Ma ora ci rendiamo conto di qualcosa: quel compromesso morale non è una scelta ma quasi un obbligo inevitabile per tutti. Perché nessuno può essere ciò che non è.

La condizione umana stessa costringe a riconoscersi per quello che si è. Il “breaking bad“, il degrado verso il male, diviene così in realtà un disvelamento della propria essenza più profonda. Walter White è sempre stato Heisenberg ma ha scoperto solo nel tempo di esserlo, di sentirsi vivo, “reale”, solo calato in quel ruolo. Lo stesso vale per Jimmy, asfissiato dalle aspettative del fratello e dall’impossibilità di essere “quel tipo” di avvocato. Diventare Saul ha significato per lui riscoprirsi per quello che è davvero. Essere libero.

Giselle

E così anche Kim viaggia su due binari scoprendosi sé stessa solo in questo continuo balletto tra il ruolo di irreprensibile avvocatessa e quello di furbesca Giselle. L’espressione finale, quella che assume quando capisce come fare per mettere alle strette la Mesa Verde (un problema di copyright con il logo del cavaliere western) è pura Giselle. Un sorriso compiaciuto e infantile nel contempo. La sua trasfigurazione continua anche nel dialogo con il proprio capo/socio, Rick Schweikart, quando la convinzione totale nella bugia la porta a un’indignazione reale. La stessa autentica convinzione nella finzione che aveva avuto Saul nel finale della scorsa stagione.

C’è una costante in Better Call Saul.

In questa 5×05, in particolare. Ognuno, infatti, è mosso da un’ostinazione cieca. Il CEO della Mesa Verde vuole a tutti i costi lo sfratto, nonostante una soluzione più vantaggiosa (il cambio di lotto) sia possibile (“Quel call center non si sposterà di un maledetto centimetro!“). Kim piuttosto che cedere, di contro, passa al di là della Legge. E anche Gus è mosso da un’ostinata sete di vendetta. Non si sottrae a queste logiche neanche Mike.

Se gli altri stanno più o meno velocemente accettando di essere ciò che sono, Mike è ancora nella fase della negazione. Rifiuta quella vita fatta di inganni e criminalità. Risulta disgustato da quello che, in fondo, ha sempre dimostrato di essere. Per questo tenta di autodistruggersi andando consapevolmente incontro al pestaggio. Come afferma Gus, “Sei di fronte a un bivio“: o l’annullamento di sé o la scelta di abbracciare la propria natura più perversa ma nello stesso tempo autentica.

Better Call Saul

Sappiamo già quale sarà la scelta di Mike, anche lui “rimarrà” quello che è, alleandosi con Fring. Il suo soggiorno nel “luogo della memoria” di Gus stabilisce un evidente, diretto parallelismo con la vicenda di Jesse. Nella quarta stagione di Breaking Bad il ragazzo sta cadendo in un vortice senza ritorno sempre più assuefatto dalle droghe e dal male di vivere. Sarà proprio Mike a risollevarlo, stabilendo con lui un rapporto quasi paterno e da mentore. Dando peso a Jesse, facendogli credere di aver anche sventato un attentato, risolleverà le sue sorti.

Mike viene restituito alla vita in un modo analogo.

Torna ad adoperarsi per sé (il caricabatterie del telefono) e per gli altri (il davanzale interno della finestra) ed esce così da quella spirale distruttiva, come era accaduto a Jesse. Ora starà a lui cedere al compromesso e rivelarsi per ciò che è, è stato e sarà.

Ehyeh-Asher-Ehyeh significa, infatti, “Io sono colui che sono” ma anche “Io sono stato colui che è stato” e “Io sarò colui che sarò”. La frase esprime cioè una continuità che non è determinata dal tempo ma da un’essenza irriducibile. Noi, come Dio, sembra dirci Vince Gilligan, non possiamo essere diversi da quelli che siamo sempre stati. Un’autodeterminazione che implica, però, un libero arbitrio: siamo noi a compiere l’azione di “essere”. Noi determiniamo la nostra essenza.

Better Call Saul

In Better Call Saul, allora, ogni protagonista non può far altro che compiere un percorso di riscoperta personale. Deve ammettere a sé stesso quello che solo lui può scegliere di essere. Che, anzi, ha già scelto, senza rendersene conto, di essere. Kim, Jimmy, Gus, Mike, Nacho: tutti sono già coloro che sono ma se per Jimmy e Gus la rivelazione interiore è già avvenuta, per gli altri il tempo dell’ammissione deve ancora concretizzarsi. Sono coloro che sono, sono stati e saranno. Devono solo capirlo. E Better Call Saul promette di mostrarcelo. Molto presto. Anzi, già ora.

Al mondo ci sono lupi e pecore, ragazzo. Lupi e pecore. Decidi tu cosa vuoi diventare

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