Vai al contenuto

Viviamo in un mondo in cui la velocità d’esecuzione sembra star diventando l’unica unità di misura della competitività di un prodotto. L’universo social, e in particolare quello di TikTok, ci porta alla ricerca di stimoli sempre più costanti ma di breve durata, delle sveltine emotive da riprodurre senza soluzione di continuità per trovare delle soddisfazioni immediate e nella maggior parte dei casi a se’ stanti, prive di costruzione. Anche i prodotti seriali si stanno adeguando a questo trend: è sempre più raro vedere uscir fuori prodotti di un certo spessore, pensati nei minimi dettagli ancor prima di essere realizzati, qualcosa che abbia un inizio e una fine ben definita nella testa degli sceneggiatori e che si prenda il tempo di costruire, anche col rischio di annoiare inizialmente, per dar vita a un’esperienza completa che ci soddisfi e ci riempia, e soprattutto che ci rimanga nel lungo termine. Le piattaforme di streaming (non in tutti i casi per fortuna, va detto) sono sempre più nella direzione dell’ “Intanto facciamo, poi vediamo che succede”.

In base agli ascolti si decide. Le storie, sostanzialmente, le ‘scrivono’ gli spettatori: si continua o si tronca una serie in base all’indice di gradimento. Ne consegue che l’idea degli sceneggiatori – spesso obbligata dalle logiche del mercato attuale – sia sempre più mirata verso una prima stagione scintillante, in cui viene messo dentro di tutto per poter dare più fonti di intrattenimento possibile, più stimoli possibile, agli spettatori, al fine di vincere in questa gara senza esclusione di colpi tra miliardi di competitors e garantirsi cosi l’accesso a una seconda stagione che nella maggior parte dei casi sarà completamente da inventare. Perfettamente on point e perfettamente metanarrativa della situazione attuale di ogni serie tv che nasce nel nuovo mondo è il finale (più precisamente, il post-credits) dell’ultima serie tv dei The Jackal, Pesci Piccoli. Una dipendente dell’agenzia dice: “Fru, i clienti dicono che hanno visto le foto e non vanno bene” e lui risponde: “Lo so, sarà un problema dei noi della seconda stagione, se ce la fanno fare”

Le serie tv di oggi vivono così in una costante situazione da cartellino giallo, sospese tra la volontà di continuare e costruire e la necessità di provare a dare il massimo nello spazio loro concesso senza pensare troppo al domani, vissuto nel costante terrore del cartellino rosso degli ascolti. Si prova a dare tutto e subito, spesso senza riuscire a dire granchè, però. Senza riuscire a lasciare e comunicare granchè. Il formato smart mal si sposa con le emozioni profonde e profondamente analizzate, con gli approfondimenti psicologici, con degli spunti esistenziali che abbiano veramente senso di esistere. Ma non potrà durare in eterno, tutto questo. Si arriverà a una soglia di saturazione necessaria perchè il tempo è da sempre ciclico, e a un certo punto il pubblico si stancherà del tutto e subito e vorrà tornare indietro. O quantomeno, vorrà trovare un equilibrato compromesso tra quello che c’era prima e quello che c’è adesso, sfruttando i punti di forza dell’una e dell’altra parte. Delle necessità di evoluzione e delle necessità di prendersi il rischio di costruire, senza la garanzia che quel prodotto piaccia immediatamente (e senza la garanzia che piaccia in generale, anche a costruzione avvenuta e ultimata).

In questo universo Zerocalcare, con le sue serie, sta già trovando un compromesso. Il formato è smart, come vuole il mondo di oggi: poche puntate (6 per entrambe le sue serie) episodi brevi (30 minuti, una via di mezzo tra un episodio drama e un episodio comedy, perfetta per la natura ibrida della sua narrazione), ma pur in questo contesto compresso riesce non solo a dare, ma anche a dire un sacco di cose; approfondimenti psicologici, spunti esistenziali forti, botte emotive che non si riducano a una sveltina ma che ti lascino qualcosa di serio e concreto addosso. Sarà anche per il vantaggio della ‘velocità’ delle immagini disegnate, che arrivano più facilmente al pubblico quando vogliono trasmettere e comunicare qualcosa: gli attori devono preoccuparsi anche dell’espressività del volto, i disegni no. Ma Zerocalcare sta riuscendo a soddisfare tutti: chi chiede velocità e chi chiede approfondimento, allo stesso modo. E forse proprio da prodotti come i suoi si può ripartire per ‘ri-aggiustare’ le cose, per mostrare che un altro modo di fare televisione, per citare Boris, non solo è possibile ma presto si renderà anche necessario. Perchè del modello streaming attuale cominciamo a essere stufi, ma non se il modello streaming diventa questo. Non se evolve. Zerocalcare viene dal futuro perchè potrebbe essere il trait d’union tra il vecchio e il nuovo, potrebbe rappresentare il primo passo verso una nuova evoluzione che miri alla qualità e all’approfondimento, ma senza dilungarsi in maniera eccessiva. Oggi i modelli da 20 puntate a stagione delle vecchie serie cult che tanto amiamo potrebbero risultare effettivamente insostenibili, ma se le 8-10 puntate a stagione sono di questo livello e riescono a dire tanto senza metterci troppo, ben venga. Serve che la velocità richiesta dai tempi attuali si vada a riappacificare con la volontà di prendersi qualche rischio e investire sulla costruzione delle storie, altrimenti si perde totalmente di vista il concetto di narrativa.

Ci sarà un motivo se, nonostante l’infinita gamma di scelta di serie tv a cui attingere (molte di più rispetto a dieci o quindici anni fa), alla fine siamo sempre tutti qui a incensare Breaking Bad, I Soprano, Dexter e quei modelli lì. Modelli che per lunghezza oggi probabilmente non sono più ripetibili, ma in fondo ci sarà un motivo anche se serie come Succession, Ted Lasso o Better Call Saul sono comunque in cima alla lista di quelle che dominano i tempi moderni. Perchè fare meno episodi per adeguarsi ai tempi va bene, è accettabile e finanche giusto, ma mandare a farsi benedire qualsiasi progressione programmata di una storia per il terrore che la soglia dell’attenzione sempre più bassa dello spettatore porti a un flop commerciale, è un delitto. Le serie televisive non sono un derivato di TikTok e non devono diventarlo mai. Zerocalcare ha indicato la via: non possiamo pretendere che tutti riescano a salire a cavallo di questa nuova evoluzione della serialità senza cadere, non possiamo pretendere che tutti riescano a regalarci una commistione tra qualità, velocità e profondità come ha fatto lui. Ma di certo è un esempio su cui riflettere per evitare di costruire un futuro delle serie tv in cui, alla fine, per paura che si abbassi la nostra soglia di attenzione, le emittenti non arrivino a consegnarci continuamente prodotti condannati strutturalmente all’autosabotaggio peggio di quello stupido pezzo di me**a di Bojack Horseman.

Vincenzo Galdieri