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“Quando ero piccolo mi innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani. E da marzo a febbraio mio nonno vegliava sulla corrente di cavalli e di buoi, sui fatti miei e sui fatti suoi. E al Dio degli Inglesi, non credere mai”. Era il 1978 quando uno dei più grandi poeti della musica italiana incideva queste parole su un disco. Nato ligure, trapiantato sardo, Fabrizio de André ha segnato la storia dello stivale con le sue melodie e i suoi pensieri. Scrivendo Coda di Lupo, contenuto nel magnifico Rimini, Faber ci ha voluto raccontare la parabola vitale di un bambino nato pellerossa, nato libero, che si è dovuto assoggettare alle regole imposte dai suoi invasori e colonizzatori: gli inglesi. Oggi, questa storia sembra perfetta per un anarchico dei sentimenti, per un poeta della violenza che vive nella Londra di inizio ‘900 raccontata in Peaky Blinders. Parliamo di un pioniere del contrabbando, di un ortodosso della criminalità, di un rivoluzionario che lotta per la sua libertà. “Se premi il grilletto, d’accordo, premi il grilletto per una dannata ragione onorevole. Come un uomo d’onore, non un fottuto cittadino che non capisce il modo in cui il nostro mondo funziona, amico”. A pronunciare queste parole è un ebreo che come il tempo è galantuomo, che restituisce sempre tutto a tutti.

Avrete capito di chi vi sto parlando, del nemico/amico di Thomas Shelby, il protagonista di Peaky Blinders. Sto parlando di una delle storie più belle che si possano raccontare, di un uomo d’onore che ha un suo personale codice etico. Sto parlando di uno dei migliori personaggi di quella Inghilterra degli anni ’20. Di Alfie, al secolo Alfred, Solomons. “E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo, rubai il primo cavallo e mi fecero uomo. Cambiai il mio nome in “Coda di lupo”, cambiai il mio pony con un cavallo muto. E al loro dio perdente non credere mai”. Non ci credere Alfie, a quel Dio degli Inglesi. A un Dio che perde in partenza perché è una divinità materiale, è il denaro. Non sono come te, quelli lì. Tu sei molto di più che un criminale che uccide per soldi, c’è molto altro. La tua storia inizia da lontano, da quel piccolo lembo di terra in Giordania, da quella cultura ebraica che ti porti gelosamente dietro.

Qui, per voi, per gara 4 degli speciali dedicati a Peaky Blinders: Federico Buffa racconta Alfie Solomons.

Per capire la storia di Alfie in Peaky Blinders, bisogna indagare sul suo passato, su quello che l’ha fatto diventare l’uomo che è oggi. Anche in questo caso, le strofe di Code di Lupo del poeta ligure ci vengono in soccorso: “E fu nella notte della lunga stella con la coda, che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa. Crocifisso con forchette che si usano a cena. Era sporco e pulito di sangue e di crema. E al loro dio goloso non credere mai”. C’è tutta la vita di Alfred in queste strofe, c’è la sua origine ebraica che ripudia il nuovo Dio cristiano. Ci sono le persecuzioni subite da sua madre per quella sua fede, persecuzioni che l’hanno costretta a scappare dalla Russia e volare in Inghilterra. Nell’isola dei regni uniti sotto un’unica corona la vita è, eufemisticamente parlando, più facile. Il piccolo Alfie cresce comunque tra discriminazioni e sangue, che gli macchierà giorno dopo giorno il volto fino ad arrivare a quella Grande Guerra dove morirono a migliaia, ma dove lui, quasi condannato a vivere in un mondo non suo, sopravvivrà.

Alfie cresce quindi, così come Coda di Lupo. “E forse avevo diciott’anni e non puzzavo più di serpente. Possedevo una spranga, un cappello e una fionda e una notte di gala con un sasso a punta uccisi uno smoking e glielo rubai. E al dio della Scala non credere mai”. Questo è il nostro eroe. un uomo che si scaglia contro i simboli della classe che celebra i riti sociali di quel modello perdente perché innaturale e anti umano: uccide uno di quei simboli, lo smoking, e se ne impossessa, come fosse lo scalpo di un nemico. I perdenti del confronto col sistema economico-sociale, i sopraffatti da idee che non sentono proprie, coloro i cui principi non sono riconosciuti, cercano una riscossa violenta, perché non si può confidare nello Dio della Scala, tempio della società dell’apparire e dello sfoggiare. Un giorno un bambino del Sud America, che insieme ai suoi genitori stava soggiornando in quella Londra di sangue, assistette a uno dei discorsi del nostro Alfie e da quel momento iniziò a sognare un Sud America libero dai vincoli imposti dagli USA. Quel bambino si chiamava Ernesto, ma tutti lo conosceranno con il nome di Che, Guevara e qualche anno dopo riscriverà la storia del continente Indios. Ma questa, è un’altra storia. Torniamo alla nostra di storia, torniamo a Alfie.

peaky blinders

Alfred Solomons e i Peaky Blinders

Alfie è indiscutibilmente il miglior villain che Thomas Shelby e suo fratello Arthur si siano mai trovati contro. L’uomo ebreo è dotato di un talllllllleeeento incredibile nel gestire affari, nel gestire uomini, denaro e traffici di qualsiasi genere. Alfie è un uomo che rifiuta il sistema ma deve per forza di cose fare i conti con esso e così facendo finisce per tradire quell’ideale che avrebbe dovuto rappresentare e difendere. L’irruzione di quel sistema socio-economico-culturale determinerà l’alienazione dalla fanciullezza, dalla vita autentica incarnata da Alfie e dal protagonista della nostra canzone guida del Maestro de André, Coda di Lupo.

E proprio come il pellerossa anche l’uomo di origine ebraica tenterà di fuggire a questa costrizione, ma come in tutte le piccole grandi storie, che contano poco, ma mai niente, la luce fa il suo giro, i pianeti si allineano e tutto nulla si crea, nella si distrugge, ma tutto si trasforma. Per Alfie e per Coda di Lupo non c’è speranza perché l’uomo bianco, civilizzato, Inglese, ha regolamentato tutto secondo i suoi canoni. Non è più possibile vivere naturalmente seguendo “la corrente di cavalli e di buoi”. Non c’è un lieto fine. “E a un Dio a lieto fine, non credere mai”. A proposito però del nulla si crea, del tutto si trasforma. Alfie è un violento che però nutre rispetto per le sue origini e per quella sparuta e martoriata comunità ebrea. Devolve spesso soldi a comunità ebree e a istituti. Grazie ai suoi soldi, un uomo con i capelli strambi e un sorriso bambinesco riuscirà a portare avanti uno studio destinato a rivoluzionare negli anni successivi il mondo. Alfie questo non lo saprà mai, e non lo saprà nemmeno l’uomo con i capelli strambi che tutti conoscono con il nome di Albert Einstein. Questa però, ancora una volta, è un’altra storia.

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La storia di Alfie, come nella teoria della relatività, non si distrugge, ma si trasforma.

Il boss della gang ebrea di Camden Town è il personaggio più istrionico e trasformista di quel tempo. Risulta impossibile riassumere la sua vita in poche righe, ma potremmo dire che in poi anni riesce a stringere legami con Tommy Shelby, a tradire, a farsi tradire, a uccidere e rischiare di farsi uccidere, morire e resuscitare, un po’ come quel figlio di Dio che gli Ebrei non riconoscono. C’è poco altro da dire su Solomons. Alfie è un mattatore, è un agente del caos che attraverso il caos stesso combatte e allo stesso tempo alimenta quel mondo ingiusto e sbagliato di cui fa parte. Alcuni lo amano, altri lo odiano. Alcuni lo definiscono un liberato di coscienze umane, altri lo sminuiscono definendole un semplice criminale. Alfie è un uomo dallo sguardo che non fa prigionieri, è indiscutibilmente un talllleeeeento purissimo e cristallino.

Noi non siamo qui per giudicarlo, come non lo giudica uno dei suoi più grandi amici e allo stesso tempo rivali, Tommy Shelby. In una loro emblematica conversazione, l’ebreo si rivolge al capofamiglia dei Peaky Blinders e gli racconta di una sua avventura onirica: “Avevo un sogno ricorrente in quel periodo, nel quale c’eri tu in un campo, in sella ad un grande cavallo nero e dicevi: “Addio”. E all’improvviso bang!”. Racconta Alfie a Tommy, riferendosi all’episodio in cui quest’ultimo decide di abbattere uno dei suoi cavalli in un campo di zingari, e facendogli capire di non essersi mai realmente allontanato molto da lui, dall’unico uomo a cui porta rispetto. È forse questo il momento più emblematico per il gangster ebreo. Un gangster che non è divino, ma gioca a fare Dio. Un uomo rivoluzionario che ha dovuto fare i conti con un presente reazionario. Un uomo come Coda di Lupo che, come le strofe finali della sua ballata, ha scaricato la sua rabbia in un teatro di posa, che ha imparato a pescare con le bombe a mano. Un uomo che con un cucchiaio di vetro scava nella sua storia, ma colpisce un po’ a casaccio perché, ormai, non ha più memoria. Ma, caro Alfie, al Dio degli Inglesi non credere mai.

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