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Perché Ozark è tutta blu?

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla prima stagione di Ozark

Per chi suona la campana? Non la sentiamo mai, ma i rintocchi strozzati in fondo al lago ci accompagnano dal momento in cui abbiamo scoperto la sua esistenza, avvolgendo ogni altro rumore. Come fa il blu in un mondo desolante e angosciante, alternato a rari sprazzi di verde. Perché in Ozark la speranza c’è, anche se è flebile. È attaccata ad un filo sottile, sufficiente per trasformare i rintocchi della morte in invocazioni alla preghiera. Il bianco e nero non esistono: tutto è sfumato. C’è spazio solo per il blu dell’oblio e, raramente, per il verde che restituisce un futuro laddove non si pensa possa più esserci.

Il simbolismo di una delle serie tv più sorprendenti degli ultimi anni è fondamentale per coglierne l’essenza. Essenziale ed efficace nell’utilizzo imponente mai ridondante di un colore dominante, il blu, presente ovunque. Negli abiti, negli sfondi e in ogni elemento. Il blu immerge Ozark in un’atmosfera alla quale non basta avere un ampio respiro per non risultare claustrofobica. Ci opprime, fino a farci mancare l’aria e renderci daltonici di fronte all’emersione del verde. Non è un caso, e non è solo una scelta stilistica. Grazie ad un campana, evocata nel primo season finale, che sembra quasi quella di Hemingway. E ad un lago che non è solo un lago.

Ozark

Ozark, purtroppo, non vuole trovare pace. Fin dal giorno in cui il lago è nato, lasciando sul fondo una vecchia chiesa sommersa dall’acqua. Jacob Snell lo racconta con gli occhi vivi di chi sa tutto di un luogo che non vuole cedere il passo al cambiamento, immortalato in un tempo dominato dalla morte. Ozark conosce solo le leggi di un inverno dal blu profondo, anche quando l’estate porta in dote ricchezze e nuove occasioni. Effimere, per chi brucia i templi nascenti in nome di un vecchio rintocco incessante. Il lago inghiottisce le anime perdute, e non ci sorprende pensare che Bobby Dean e i fratelli Langmore siano stati restituiti all’acqua dopo aver trovato una fine violenta.

Lo stormo di storni comuni, invece, studiati attentamente dal piccolo Jonah, migra alla ricerca della sopravvivenza, come fanno i Byrde nel viaggio che li ha portati da Chicago ad Ozark.

Destabilizzano gli equilibri del luogo e portano morte nel luogo della morte, nutrendosi delle uova degli altri uccelli. Divorate, come l’uomo fa col denaro. Senza lasciar spazio alla speranza. Ma combatte, la speranza. Si difende all’improvviso, nel momento in cui il lago sente i rintocchi della campana. E porta, per due volte, la vita. Quella della giovane Charlotte, scampata miracolosamente all’annegamento dopo aver cercato un momento di pace. E del figlio neonato del pastore Mason Young, battezzato nel peggior modo possibile e sopravvissuto alla disperazione di un padre che aveva deciso di chiudere gli occhi per sempre.

Ozark

Il lago di Ozark si ribella. Spezza la catena, con le poche forze che ha. E tutela i più deboli, pedine inconsapevoli di un gioco che associa la profondità del blu all’ineluttabilità del nero. Il verde resiste e riprende uno spazio vitale nello stesso modo attraverso cui una vecchia chiesa, immersa nell’acqua, non si arrende al silenzio e fa sentire il suo urlo di dolore. È una guerra che contrappone la vita alla morte, ed un lago all’anima mutevole che non asseconda mai gli eventi e fa suonare una campana per chiunque riesca a sentirla, nel bene e nel male. Vittime e carnefici dipinti di blu, catapultati ad Ozark da una vita che conosce solo una sfumatura di verde. Quella del denaro.

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