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Ode a Pacho Herrera

Se potessi scegliere un solo personaggio di Narcos sul quale vorrei vedere uno spin-off totalmente dedicato, sceglierei Pacho Herrera, senza alcun dubbio. La terza stagione di Narcos si è concentrata sugli avvenimenti legati al Cartello di Cali, principale avversario di quello di Medellin nel narcotraffico internazionale. I gentiluomini di Cali nell’immaginario comune non sono oggetto di culto quanto il leggendario Pablo, però non hanno di certo fatto rimpiangere a nessuno di aver continuato la serie nonostante la sua morte. I protagonisti del terzo capitolo sono tutti molto interessanti, ma Pacho è quello più affascinante e misterioso allo stesso tempo, e il suo personaggio ci dimostra che per essere un macho tra i narcos conta ben altro che l’orientamento sessuale.

L’onnipresenza di Pacho in Narcos

Pacho Herrera è il numero quattro, gerarchicamente, nel Cartello di Cali. E’ il più giovane ed è entrato in affari più tardi, scalando comunque la piramide in fretta per via delle sue doti sia da killer che da uomo d’affari, da subito notate ed apprezzate dai fratelli Rodriguez, che di certo non si sarebbero mai affidati ad uno a caso, data la loro maniacale cura dei dettagli. Pacho è il personaggio che più ritorna, nelle varie stagioni, dell’universo Narcos. Appare per la prima volta nella 7×01, ad un incontro con Pablo Escobar, in cui fa da portavoce e da “paciere” per il resto dei gentiluomini, nel momento in cui una guerra tra Medellin e Cali è sul punto di esplodere. E’ proprio nelle vesti di messaggero, di tramite, che Pacho Herrera ci viene presentato nelle prime stagioni, fino alla morte di Pablo.

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Ciò che accade nel passaggio dalla seconda alla terza stagione di Narcos è, come ben sappiamo, un ampliamento dell’orizzonte narrativo, passando da un soggetto individuale ad uno corale. Se nei primi due capitoli a farla da padrone è il potente boss di Medellin, nella terza parte della saga l’attenzione si sposta su un’intera organizzazione, composta da più personaggi dalle diverse sfumature caratteriali. Seppur tutti e quattro siano ben caratterizzati, il gentiluomo di Cali che più intriga il pubblico e che più ha da raccontare riguardo alla sua misteriosa personalità, è Pacho. In Narcos: Messico, infine, ritorna con un ruolo più da gregario di lusso e molto meno continuo, ma che basta per fare di lui un personaggio molto duttile alla causa della serie, venendo impiegato come principale ponte di collegamento tra le tre diverse realtà raccontate. 

Dos gardenias para ti…

Dal punto di vista caratteriale Pacho appare come un uomo riservato, di poche parole, ma che quando c’è da agire non si tira indietro ed anzi, dimostra di avere un forte fuoco interiore che sfoga con una violenza sadica dai pochi eguali. Lo contraddistingue anche una profonda gratitudine nei confronti dei fratelli Rodriguez, ai quali rimane fedele fino all’ultimo nonostante la tentazione di non lasciare il business della cocaina per prestarsi al patteggiamento, proposta che gli viene fatta da Amado Carrillo Fuentes, Il Signore dei Cieli, altro personaggio ponte che, oltre all’ottima intesa negli affari, sembra avere anche un buon rapporto di amicizia e confidenza con Pacho. I due effettivamente ci sembrano molto simili nel modus operandi: poche parole e tanti fatti, ma sempre attenti a non dare troppo nell’occhio.

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Pacho, interpretato magistralmente dall’argentino Alberto Ammann, è un uomo seducente e passionale, che vive la sua sessualità con estrema tranquillità. E’ difficile pensare che in quegli anni, soprattutto in determinati contesti, un narcotrafficante omosessuale potesse fare strada, ma Pacho ha qualcosa in più e riesce a spezzare totalmente il canone del maschio alpha rozzo e duro del più classico degli stereotipi. Inoltre i gentiluomini di Cali rispettano profondamente la sua personalità e soprattutto sono estremamente uniti tra di loro. Tra i punti di forza del cartello c’è la concretezza. La terza stagione di Narcos da un certo punto di vista risulta essere più dura delle prime due, non sfociando mai in momenti malinconici (non che questo fosse un difetto, intendiamoci) preferendo invece arrivare dritta al punto, seppur in modo meno rumoroso. Esecuzioni e vendette sono espresse nel modo meno vistoso possibile, come per volere dei fratelli Rodriguez, ma non per questo meno cruente. 

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L’esempio lampante ci viene dato nell’episodio 3×01, quando Pacho viene incaricato di giustiziare Claudio Salazar, membro di spicco del cartello di Norte del Valle, ma prima di farlo decide di concedersi un ballo speciale con il suo amante, esternando pubblicamente la propria omosessualità. Tale scena, nella sua semplicità, è incredibilmente carica di significato. E’ la rappresentazione dell’amore carnale e di tutta la passionalità di Pacho, che sotto le note della bellissima Dos Gardenias (non l’unica perla musicale della serie) si scatena in pista con il suo uomo, dimostrando di fregarsene delle malelingue. E un minuto dopo eccolo ritornare di ghiaccio, afferrare la bottiglia portata in dono e spaccarla sulla testa di Claudio, per poi legare gli arti di lui a quattro moto e ucciderlo nel modo più atroce e medievale possibile.

Questo siparietto racconta in imprescindibilmente le due facce di Pacho Herrera, per metà passionale e caldo gentiluomo e per metà glaciale ed efferato killer. Nella terza stagione Pacho si occupa principalmente degli affari con i messicani e di gestire la faida tra Cali e i Salazar, che inevitabilmente sfocia sul personale. Altra scena memorabile appunto, vede Herrera entrare armato in una chiesa ed annunciare di volere la testa dei Salazar, unico modo per raggiungere la pace con Norte del Valle. Dopo aver subito ripercussioni per direttissima, come l’invalidità del fratello, la freddezza che di solito lo contraddistingue in queste situazioni si tramuta in fuoco puro, perché deve vendicare la sua famiglia. Il gioco al massacro comincia subito con l’invasione del covo dei Salazar e il genocidio della stirpe, matrona compresa, sempre con la stessa violenza inaudita e contestualmente incredibilmente naturale

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La fine di Pacho

In seguito alla scoperta del filo conduttore che legava i padrini di Cali con il governo colombiano, il cartello dei gentiluomini ha i minuti contati. I Rodriguez vivono la loro paura più grande, ovvero l’estradizione negli Stati Uniti, mentre Chepe fa una brutta fine per mano dei fratelli Castaños. Il destino di Pacho non è migliore: durante una partita di calcio in carcere viene ucciso a sangue freddo da un killer. Nella realtà il personaggio è direttamente ispirato a Helmer Herrera (detto Pacho), che viene finito nel medesimo modo da un assassino assoldato dallo stesso cartello di Norte del Valle, in un ciclo che sembra interminabile. Nella serie Pacho muore tra le braccia del suo amante, lo stesso con il quale aveva danzato così passionalmente nel primo episodio. Uno spin-off su un personaggio così misterioso e sensuale sarebbe interessante se venisse incentrato sul suo passato, sulla sua scalata al successo, una sorta di L’immortale per Ciro Di Marzio, possibilmente più approfondito, ma anche e soprattutto per analizzare più a fondo come un pezzo così grosso del narcotraffico internazionale gestisse in modo così aperto la propria sessualità, nonostante appunto il contesto patriarcale e maschilista in cui si trovava. E poi, chi è che non vorrebbe sapere dove Pacho compra le sue meravigliose camice?

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