Vai al contenuto

Attenzione! Il seguente articolo potrebbe contenere spoiler relativi alla serie Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer.

These people that I was going to play were not me. And that’s the first thing I had to look at: how were they similar to me and how were they different from me. And I had to cover those bases so I could understand what makes them different and what makes them similar and therefore create this person that’s not living my life. It’s living someone else’s

Queste persone che stavo per interpretare non erano me. Questa è stata la prima cosa che ho dovuto imparare: in che modo erano simili a me e in che modo erano diversi da me. E ho dovuto colmare quel divario in modo da poter capire cosa le rende diverse e cosa le rende simili (da me) e quindi creare questa persona che non sta vivendo la mia vita. È vivere la vita di qualcun altro.

Quella che avete appena finito di leggere è la risposta che Philip Seymour Hoffman, il noto attore vincitore di un Oscar per la sua magistrale interpretazione di Truman Capote, diede durante un’intervista alla domanda “Come interpreti un personaggio? Cosa cerchi all’interno di quel personaggio in modo da renderlo tuo?”

Ma quella di Jeffrey Dahmer non è una storia facile. Non lo è da ascoltare, e di certo non è stato facile per Evan Peters (il Kyle Spencer di American Horror Story: Coven) interpretarne il ruolo in Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer, la nuova docuserie approdata in casa Netflix (che negli anni ha ampliato visibilmente il suo catalogo di serie tv a tema serial killer) lo scorso 21 settembre e creata da Ryan Murphy in collaborazione con Ian Brenner. Ruolo che lo stesso Peters ha definito come il più difficile della sua carriera. Come si colma il divario tra sé e ciò che non è umano? Certo, un attore professionista deve saper scindere la propria persona da quella che si accinge ad interpretare, ma è davvero possibile interpretare una figura come quella del Mostro di Milwaukee? È possibile deumanizzarsi a tal punto? 

Dahmer - Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer
Jeffrey Dahmer (640×360)

Ma forse il problema sta esattamente in questa erronea concezione di fondo: che Jeffrey Dahmer fosse, di fatto, un mostro, un vortice che inghiotte tutto, la reincarnazione del Demonio. Definirlo disumano ci pone in una condizione di sicurezza, crea una distanza tra noi e lui che, inevitabilmente, ci rassicura. Noi non siamo come lui. Guardando alla voce disumano, il dizionario Treccani recita “Che non ha o non conserva nulla di umano, che non pare proprio o degno dell’uomo. […] In partic., privo di sentimenti d’umanità, crudele, spietato”. 

Ma Jeffrey Dahmer era un uomo. Fatto di carne e di ossa. Un uomo che provava sensazioni, emozioni, sentimenti. Jeffrey Dahmer è stato, prima di tutto, un uomo solo. Ecco lo spiraglio. Ecco cosa ha permesso a Evan Peters di interpretare il Mostro di Milwaukee:

Che in questa storia non ci sono demoni né mostri, ma uomini. Partire dalla consapevolezza che nonostante tutto il male, Jeffrey Dahmer fosse solo un uomo.

Un uomo tra gli uomini, che grazie ad una negligenza sistemica ha potuto agire indisturbato per tredici lunghissimi anni arrivando ad uccidere con violenza e ferocia diciassette vittime, tra cui un giovane di soli quattordici anni – molti dei quali, giovani gay di colore.

Lungi da noi soffermarci sulle lunghe, dettagliate e raccapriccianti descrizioni che possono essere rintracciate sul web (e che, seppur in parte, vengono mostrate all’interno della serie) in merito agli omicidi, al modus operandi e alle perversioni di necrofilia e splancnofilia di Dahmer e diventate sin da subito oggetto di interesse per giovani amanti della cultura dell’orrido, Jeffrey Dahmer è diventato in brevissimo tempo una figura tanto odiata e ripugnante quanto amata: costumi di halloween a sua immagine e somiglianza appestavano le strade americane, fumetti indipendenti raccontavano le sue macabre gesta e la sua figura veniva sempre più spesso associata a nomi di fantasia come Freddy Krueger e Jason Voorhees.

Ma la storia di Dahmer è ben diversa da quella dei protagonisti di Venerdì 13 e Nightmare: la sua è una storia reale, come reali sono le sue azioni e le sue vittime. E reale è anche e soprattutto il dolore delle famiglie.

Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer cerca perciò di andare oltre la storia del Mostro di Milwaukee e delle sue origini, rintracciando all’interno della docuserie le condizioni di un sistema giudiziario profondamente malato e corrotto che hanno permesso a Dahmer di farla franca per tutto questo tempo nonostante una condanna per abuso sessuale su minore avvenuta nel 1988. Lo fa raccontando la storia dal punto di vista delle vittime e delle loro famiglie, dal punto di vista di un corpo di polizia sordo e cieco davanti al dolore e alla disperazione di una comunità straziata dall’indifferenza.

Lo fa raccogliendo preziose testimonianze come quella di Glenda Cleveland (Niecy Nash) e Tracy Edwards (Shaun J. Brown). La prima era la vicina di Jeffrey Dahmer, che per anni ha segnalato alla polizia di Milwaukee i rumori, le urla strazianti e l’odore nauseabondo che era costretta a vivere giorno dopo giorno attraverso il condotto di areazione.

Dahmer - Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer
Glenda Cleveland (640×360)

I called y’all! I called y’all and I told you over and over a million times that something was going on, and you know what you did? Y’all did nothing! So what did y’all find in there? Huh? What did you find in there?!

Vi ho chiamato! Vi ho chiamato e vi ho detto più e più volte, un milione di volte, che stava succedendo qualcosa, e sapete cosa avete fatto? Non avete fatto niente! Allora, cosa avete trovato lì dentro? Eh? Cosa hai trovato lì dentro?!

Quella di Glenda Cleveland è una testimonianza di forza, determinazione e resilienza, la storia di una donna che in seguito alla carcerazione di Dahmer si è battuta incessantemente affinché la memoria delle vittime venisse celebrata e ricordata. Il secondo è l’ultima vittima di Dahmer, un giovane omosessuale di colore miracolosamente sopravvissuto alla sua furia omicida nel 1991.

La serie originale Netflix Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer ci racconta di più, calando questa drammatica storia nella sua cornice storica e sociale di appartenenza: siamo negli anni compresi tra il 1978 e il 1991, anni difficili non solo per la comunità afroamericana da sempre silenziata e denigrata (ricordiamoci che questi sono anche gli anni in cui il crack inizia a dilagare indisturbato per le strade dei quartieri più poveri degli Stati Uniti, inevitabilmente a maggioranza afroamericana), ma anche per gli omosessuali vittima non solo dell’odio e del pregiudizio, ma anche dell’ignoranza in merito alla diffusione dell’HIV. (Questo punto si rivela essere particolarmente rilevante nel momento in cui due agenti accorsi sul posto in seguito ad una segnalazione di Glenda, disgustati e impauriti dalla possibilità di contrarre l’HIV solamente stando accando ad un omosessuale, decidono di perlustrare con approssimazione e superficialità l’appartamento di Dahmer – “Devo farmi una doccia“, ha affermato uno dei due poliziotti una volta uscito dall’appartamento -.)

Ma ci racconta anche della disperazione di un padre, Lionel Dahmer (Richard Jenkins), che non ha mai smesso di lottare per suo figlio, di pregare affinché potesse ottenere quantomeno il perdono di Dio; della sua instancabile ricerca del perché, dell’evento scatenante che ha dato origine a questo buco nero di malvagità e morte, della figura da incolpare – che fosse sé stesso, la madre, o chiunque altro -.

Dahmer - Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer
Lionel Dahmer (640×360)

In questo senso, colpiscono come macigni le parole pronunciate dal giudice in merito al contenzioso fra Lionel Dahmer e Joyce Dahmer riguardante la preservazione o meno del cervello del serial killer:

When one considers an individual like the deceased, there is a temptation to try to know, and know definitively, why someone like Jeffrey Dahmer is what he is. Or was. I think there’s a real danger there. There are no easy answers when it comes to someone like him. You’ll never know why he did what he did. That’s an uncomfortable truth, to be sure, but it’s one you need to accept.

Quando si considera un individuo come il defunto, c’è la tentazione di cercare di sapere, e di sapere definitivamente, perché uno come Jeffrey Dahmer è quello che è. O era. Penso che ci sia un vero pericolo in questo. Non ci sono risposte facili quando si tratta di qualcuno come lui. Non saprai mai perché ha fatto quello che ha fatto. Questa è una verità scomoda, certo, ma è quella che bisogna accettare.

In ultima analisi, la docuserie Netflix non cerca di rispondere al perché delle azioni di Jeffrey Dahmer. Né noi, né Lionel, né le famiglie delle vittime avremo e avranno mai una risposta a questo straziante interrogativo. Ciò che si può fare è però interrogarsi sul perché è stato possibile, affinché lo stesso errore non venga commesso una seconda volta. Ciò che si può fare è mantenere viva la memoria di quei giovani ragazzi, a denuncia dell’assordante silenzio dell’indifferenza. Affinché la prossima voce venga ascoltata.