Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » Mare Fuori » Mare Fuori: il perturbante senso di contrasto tra libertà e perdizione

Mare Fuori: il perturbante senso di contrasto tra libertà e perdizione

Quanto è facile ambientare una serie tv crime a Napoli? Conosciamo tutti la risposta. Quanto è complicato, al tempo stesso, raccontare una città così complessa senza cadere in stereotipi o banali artifici retorici? Tagliamo la testa al toro, probabilmente soddisfare appieno questa seconda condizione è impossibile. Anche prodotti di pregiatissima fattura come Gomorra, col passare delle stagioni, cadono in questa trappola a causa di qualche forzatura narrativa di troppo. Uno degli esempi più virtuosi, in tal senso, arriva dalla Rai e già questa è la rottura di un cliché a sua volta, come abbiamo provato a spiegare in questo articolo. E sempre nello stesso pezzo accennavamo una delle serie tv italiane migliori degli ultimi anni: Mare Fuori.

È strano che un prodotto del genere, italiano, qualitativo, ricco di attori giovani e bravissimi, che passa sulla tv generalista, non abbia ancora fatto breccia nel pubblico mainstream. Quel che è certo è che dopo due stagioni Mare Fuori può essere considerato il punto più alto della rivoluzione che la Rai ha avviato in ambito televisivo. Per il linguaggio, per la crudezza di alcune scene, per il messaggio sociale e anche per lo storytelling realistico, appunto privo di stereotipi, essendo ambientata in un contesto molto particolare. Se è vero che la città di Napoli fa da sfondo a molte produzioni più o meno memorabili, il prison drama non è un sottogenere narrativo per il quale siamo particolarmente famosi nel mondo.

Pertanto abbiamo il primo dettaglio degno di curiosità: Mare Fuori è ambientata nel carcere minorile di Nisida. E questo, abbinato al titolo, assume un valore allegorico potentissimo.

Il mare in questa serie è fine e mezzo. È il platonico luogo di rifugio per i giovani detenuti, che possono contemplarlo (quanti altri carceri italiani hanno questo “privilegio”?) e tracciare lì, tra le onde, il loro futuro immaginario. È, al tempo stesso, la linea di demarcazione tra il bene e il male e quanto sia sottile muoversi tra questi due percorsi. Il mare, inteso come retta via, è a vista, è quasi tangibile. “Quasi” perché le sbarre dell’IPM, rappresentazione fisica del male commesso, lo impediscono.

Libertà e perdizione si sintetizzano in un contrasto, un’ambiguità sulla quale poggia tutta la narrazione e in tutte le sue componenti. La sceneggiatura, che offre personaggi ottimamente sfaccettati, mai completamente malvagi, nemmeno quando compiono atti terribili, mai completamente buoni. Un contrasto di cui beneficia anche il comparto tecnico, regalandoci una fotografia per niente “italiana”, per dirla alla Stanis. La contrapposizione tra i colori caldi all’esterno e freddi, bui, micragnosi all’interno, infatti, rende ancor più evidente la dicotomia di cui parlavamo qui sopra

“Nun te preoccupa’ guaglio’, ce sta o mare fore”

Eccolo dunque il vero protagonista di questa serie. Il mare, portatore di hybris e nemesis, si infrange sulle pareti esterne del carcere minorile. E ne permea anche la colonna sonora, molto bella, realizzata appositamente per quest’opera. Il ritornello della sigla gioca sapientemente, quasi con ironia, con il potere catartico taumaturgico che fin troppo spesso viene attribuito alle acque napoletane. Come a dire “non importa dove sei, non importa i problemi che ti hanno condotto qua o quelli che ti aspettano là fuori: sorridi, c’è il mare che è la panacea di tutti i mali“.

Non è così, ovviamente. E la verità ci ritorna in faccia come le onde del mare in tempesta

L’aspetto più coraggioso in assoluto è, come accennavamo in precedenza, la crudezza di alcune immagini, spesso pescate anche da veri casi di cronaca . I personaggi abbracciano a turno il senso di perdizione, senza filtri, senza censure. Nella prima stagione, uno dei detenuti si ritrova costretto a mangiare, a sua insaputa, il proprio cane, peraltro l’unico essere vivente che egli abbia mai voluto bene. Un’immagine che non è facile da “digerire” (scusate l’infelice espressione!) in toto, ma che è ancor più straniante trovare in prima serata su Rai 2.

A proposito di tematiche scomode, c’è un’altra scena degna di nota, che fa capire la maturità della serie e la sua centralità nell’epoca di forti stravolgimenti sociali che stiamo vivendo. Nella seconda stagione viene introdotta la tematica dello stupro, con una duplice valenza. La reazione indignata degli altri ragazzi detenuti di fronte a un possibile stupratore, come a evidenziare quanto anche un assassino abbia un proprio codice criminale di riferimento; la riflessione dei personaggi mette in luce tutte le diverse posizioni su una tematica così delicata, fino alla presa di coscienza finale: tuttò ciò che non è frutto di consenso tra i due partner è violenza sessuale

Sono due esempi estremamente charificatori. Se ne potrebbero fare anche altri, ma questi sono particolarmente emblematici nell’esprimere le intenzioni di Mare Fuori, che si propone di essere una serie credibile e realistica. Un aspetto che viene enfatizzato anche dal livello della recitazione, davvero molto alto: ogni attore – e, per la maggior parte, si parla di giovani esordienti – si cala nel proprio personaggio dandogli anima, senza scendere a compromessi, ma mai sopra le righe. Volendo il cast, corale, si destreggia molto bene tra l’italiano e l’uso del dialetto napoletano, senza mai risultare sopra le righe.

In Mare Fuori viene meno la ricerca ossessiva della frase ad effetto, come avviene talvolta in Gomorra: ogni battuta è funzionale alla sua efficacia.

Giacché abbiamo nominato un caposaldo del crime all’italiana, è legittimo chiedersi: Mare Fuori può essere considerata ai livelli di Gomorra o Romanzo Criminale? Ci sono alcuni aspetti da considerare. La serie Rai non è priva di difetti, o forzature di trama. Per quanto credibile, è comunque una narrazione romanzata che, forse, proprio nell’epilogo della seconda stagione mostra le sue crepe più evidenti. Niente di irreparabile, ma sicuramente un aspetto di cui tener conto nell’ottica di una valutazione globale.

A differenza delle produzioni Sky, contraddistinte da un budget più alto, la regia è più statica, essenziale, priva di grossi virtuosismi o di una poetica abbastanza ricercata. Anche gli effetti speciali hanno un’aria più artefatta e rappresentano forse l’unico vero ostacolo alla sospensione dell’incredulità. Un altro aspetto su cui si può migliorare è l’approccio alla morale, il messaggio che questa serie vuole mandarci, fin troppe volte “urlato” dai personaggi e quasi mai suggerito, tra le righe. Se, da un lato, questo ne accentua l’urgenza, dall’altro, a volte, toglie un po’ di epos.

Malgrado tutto questo, la risposta è sì. Mare Fuori può reggere assolutamente il confronto con i crime italiani più importanti e si candida ad assurgere, a sua volta, a caposaldo del genere. In fondo non è interessante stabilire quale sia meglio tra questa serie, Gomorra, Romanzo o altre ancora, l’importante è essere coscienti che stiamo giocando nello stesso campionato.

LEGGI ANCHE – 5 belle Serie Tv Rai che sono vittime dei soliti pregiudizi