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Making a Murderer, l’impalcatura di una tragica menzogna

Il forte impatto di un documentario seriale come Making a Murderer (Netflix), è qualcosa di assolutamente paralizzante. Fatti reali, immagini vere, testimonianze riascoltate e sospetti, una storia soltanto vera, non : “largamente basata su fatti o episodi realmente accaduti“. La cruda e vivida realtà, la storia di un errore imperdonabile, un chiaro abuso di potere che ha visto partecipe un innocente rinchiuso in prigione per diciotto interminabili e frustranti anni (inizialmente).

Steven Avery non era stato sfiorato dall’ascensione dello spirito santo, aveva alle spalle qualche piccolo errore di gioventù, gesta poco nobili a cui prestare attenzione, frutto di una turbolenta fase adolescenziale. Tra questi ‘errori di gioventù’, c’è una ridicola rapina dall’ “imponente bottino” di $ quattordici, frutto di leggere manie di protagonismo e bravate tra coetanei, più che di primordiali manifestazioni di una vera e propria “mente criminale”. La foto segnaletica per la ridicola rapina, sarà uno degli elementi chiave, per incarcerare in futuro un giovane 22enne Steven Avery (una foto che sarà ricalcata dal disegnatore di identikit, ma elemento-chiave dell’accusa).

La polizia di Stato era assolutamente convinta che il vero protagonista disturbato, autore di questo ( e di altri) violento stupro, fosse in realtà  Gregory Allen, ma il dipartimento dello sceriffo della contea di Manitowoc continuava a respingere tale ipotesi, non esistono altri colpevoli :

Steven Avery è l’unico e assoluto responsabile.

Errare è umano, perseverare è diabolico. Nel dipartimento di Manitowoc nel Wisconsin, si continua a negare l’esistenza di un diverso responsabile, gli Avery nella comunità sembravano sempre’ solitari e particolari’ (etichetta pregiudizievole) e la testimonianza (indotta) della vittima Penny Beerntsen, aveva dato un ulteriore mazzata definitiva alla difesa di Avery. Per questa testimonianza quasi estorta e per una dimenticanza inconcepibile (“dovrebbe trattarsi di Gregory Allen”- Polizia di Stato), l’accusato sconterà quasi un ventennio in carcere.

Non mi piego per qualcosa che non ho fatto…terrò duro e non cederò mai

Gregory Allen è Steven Avery. Basta una fisionomia alquanto similare, una testimonianza di una vittima confusa dallo stupro e ancor più confusa da una vice-sceriffo che funge da consigliera. La futura ex-vice-sceriffo dalle interminabili e alquanto esplicative “pause narrative” nel corso del processo Avery. Colei che per prima suggerì alla vittima dello stupro, Penny Beerntsen, il nome di Steven. Un suggerimento che ha il sapore di un’estorsione di una testimonianza indotta.

“Somiglia decisamente a Steven Avery”

 

I diciotto ingiusti ed interminabili anni, sono ormai conclusi. Avery esce dall’inferno della prigione e assapora i primi momenti di libertà, tra giornalisti curiosi e persone che lo acclamano, urlando il suo nome a squarciagola. Steven Avery diviene la reale personificazione di colui che ha gridato la sua innocenza, ma non è stato creduto : l’excusatio più tipica, spontanea e tristemente nota di un interrogatorio “Non sono stato io“, diventa il motto di un vero innocente stuprato dalla giustizia.

1985-2003 : Conclusi i diciotto anni, c’è la sacrosanta richiesta di risarcimento danni della famiglia Avery, con la cifra di 36 mln di $ (diciotto anni per due mln). Tra poco Steven, senza saperlo, ritornerà nell’inferno degli interrogatori e degli abusi, sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica e nell’illogicità del Sistema che probabilmente continua ad abusare di lui.

Una partita che ancora non è conclusa.

2005 : Il caso dell’omicidio di Teresa Halbach : il ritorno dello scandalo mediatico-giudiziario sulla famiglia Avery. L’auto della venticinquenne Teresa Halbach, dopo giorni di ricerche, viene ritrovata nell’ ampio spazio esterno delle “autodemolizioni Avery”. Incongruenze, misfatti e zone d’ombra costellano il sospetto dell’opinione pubblica, che già inizia a ricalcare l’ipotesi dell’abuso di potere che gli Avery già hanno vissuto e già hanno ingiustamente pagato. Questo caso è stato da molti etichettato  “Dipartimento di Manitowoc vs Steven Avery“, e ci sono svariati motivi per pensare ciò. Making a Murderer li analizza tutti alla perfezione.

 

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L’ambigua testimonianza di Brendan Dassey, nipote di Steven

Un uomo che uccide una donna e lascia l’auto della vittima come prova, senza usare l’autocompattatore dell’azienda di famiglia; le chiavi dell’auto della donna ritrovate nelle successive perquisizioni a casa di Steven, aventi esclusivamente il dna di Steven ma non della proprietaria Teresa; la testimonianza-chiave del nipote timido e con evidenti ritardi di Steven; tracce di sangue di Steven nell’auto della vittima : motivo cardine di colpevolezza secondo l’accusa (e la difesa ha provato che nel magazzino delle prove, una boccetta del sangue di Steven Avery era stata aperta e poi malamente risigillata).

Gli ingredienti di un abuso, la fenomenologia di una vendetta, il fondato sospetto di una nuova macchinazione della non-giustizia, due casi paralleli ed intrecciati, il rumore e le nefandezze del Sistema che sono presagio di nuove sventure giudiziarie.

2016-08-09 15.54.17-1La macchinazione subdola del Sistema, un’innocenza privata del respiro della libertà, un abuso di potere infinito da molti catalogato ironicamente come un classico film di cospirazione’. Ma purtroppo questo documentario non è una brillante pellicola hollywoodiana frutto dell’intuito di scrittori, registi e interpretazioni attoriali. Making a Murderer è cronaca.

Making a Murderer è la costruzione di un omicidio e l’impalcatura di una vergognosa menzogna.

 

[La verità assoluta verrà mai alla luce ?!  ]