Come si racconta qualcosa che non si vede? Chi decide se un gesto può essere definito violento? Quali sono i canoni che ci portano a classificarlo come tale? Queste domande si sono piazzate come un tarlo nella mia testa appena ho cominciato a guardare Maid e non sono andate via per un bel po’ anche a serie ormai terminata. Raccontare un atto violento non sempre significa raccontare qualcosa che si può toccare con mano. Alcuni lasciano un segno profondo che a occhio nudo però non si percepisce, una cicatrice che resta indelebile per chi la porta ma è invisibile per il resto del mondo.
Questa ferocia che fa male dentro ma che sulla pelle non lascia tracce è al centro di quella che non stento a definire una delle miniserie più belle degli ultimi anni, che mi ha tenuta per tutto il tempo incollata allo schermo del mio pc con la voglia irrefrenabile di entrarci e semplicemente stringere la protagonista in un abbraccio. Il racconto è vero, forte, ricco di sensazioni che dai personaggi arrivano direttamente a noi, senza filtri. Perché se c’è un modo per raccontare efficacemente qualcosa che non si vede, è farcelo sentire sulla nostra pelle.
Maid racconta un amore che si trasforma in un rapporto malsano e violento, ma soprattutto racconta quanto sia difficile uscirne. Un processo già complesso dal punto di vista pratico ed emotivo, ulteriormente complicato da un sistema che non rende le cose facili a chi ha subito violenza e tenta di ricostruirsi una vita partendo da zero ma senza lividi a sostegno della sua tesi. Lo fa attraverso la storia di Alex, una giovane madre interpretata magistralmente da Margaret Qualley, che scappa insieme alla sua bambina Maddy con pochi dollari in tasca e tanta voglia di ricominciare.
Il percorso che la porterà a raggiungere il suo obiettivo è tutt’altro che lineare e la serie lo racconta in tutte le sue difficoltà. Andare via di casa ne è soltanto il primo passo, quello decisivo, a partire dal quale tutto cambia. Ma è ciò che viene dopo quello che davvero rende Alex Russell una donna libera. Maid ci porta con lei per tutte le fasi di questo percorso: ci fa soffrire con lei, gioire con lei, essere in ansia con lei, e ci dà la costante sensazione di voler essere lì per lei. Il racconto è forte perché non esclude nulla, neanche le scelte sbagliate di una protagonista in bilico, e lo fa sempre tenendo bene a mente il fatto che la violenza c’è anche quando non ci sono i lividi.
Si è scelto di narrare la vicenda in tutta la sua complessità, senza semplificare nulla, lasciando allo spettatore la possibilità di viverla in tutta la sua realtà.
Il rapporto che lega Alex e Sean è complesso, così come quello che lega lei a sua madre e lui alle lattine di birra. In passato sono stati l’uno per l’altra un appiglio, forse l’unica fonte d’amore che riuscivano a percepire. Ma quando proprio quell’amore comincia a trasformarsi in qualcos’altro è già troppo tardi. Per Alex non è semplice capire che Sean convive con dei mostri che non tocca a lei sconfiggere. Deve lavorare su se stessa, e anche quando arriva alla consapevolezza che non permetterà più a Sean di farle del male, una parte di lei sa che lui non è solo il dolore che le ha inflitto. Ripeto, è complesso. Ma credo che solo con la complessità si possa raccontare una storia come questa.
La narrazione della violenza in Maid è chiara allo spettatore fin dal primo episodio, anche quando la stessa Alex non accetta di esserne una vittima. È emblematica a questo proposito una scena della prima puntata. La mattina dopo essere scappata Alex va ai servizi sociali, dove la funzionaria cerca di capire quale sia la sua situazione. Alle sue domande risponde di aver lasciato casa ma di non essere una senza tetto, di aver avuto paura ma di non aver subito abusi. E quando le si propone di denunciare Sean alla polizia, lei risponde “Per dirgli che non mi picchia?”. È qui che sta il punto: è davvero violenza se non mi picchia? La risposta è sì, Maid lo spiega bene, lo dice e lo ripete costantemente durante tutte le dieci puntate. E pian piano lo capisce anche Alex.
Capire di essere in un rapporto disfunzionale può essere un processo lungo, soprattutto quando il background familiare e sociale è complesso.
Alex è figlia di quella che scoprirà essere una relazione violenta. Suo padre è assente praticamente da sempre e si è costruito una nuova vita della quale lei non è parte. Sua madre Paula, alla quale dà volto e anima una splendida Andie MacDowell, è bipolare e spesso è parte dei problemi della figlia molto più di quanto non ne sia una soluzione. Piccolo off topic, Andie MacDowell e Margaret Qualley sono davvero madre e figlia e la connessione tra le due è perfettamente resa attraverso i loro personaggi, due donne tanto distanti quanto unite.
Ma torniamo a noi. Quando Alex si ritrova dentro un rapporto che sta per diventare esattamente come quello dei suoi genitori, anche lei come sua madre anni prima fatica a tirarsene fuori. Trova però la forza nella figlia, nella volontà di farla crescere in un contesto diverso. Quindi la prende e la porta con sé senza sapere dove andare, come sostentare, ma con la consapevolezza che farà di tutto per renderla felice e al sicuro.
Alex entra in un rifugio per donne vittime di violenza domestica, trova lavoro come donna delle pulizie per la Value Maids, di certo non l’impiego dei suoi sogni ma qualcosa che può aiutarla a riportare in attivo un conto perennemente in rosso, che vediamo oscillare per ogni suo guadagno e acquisto. Si scontra con la burocrazia americana, alla quale a quanto pare non abbiamo nulla da invidiare, con il sistema dei sussidi statali, con alloggi fatiscenti, con Sean in tribunale, con persone che non capiscono quanto lui le abbia fatto male e che giustificano i suoi comportamenti. Si scontra con se stessa e con le proprie fragilità, con la paura di non farcela, con il bisogno di essere amata, con l’idea che forse Sean non è davvero violento, che può disintossicarsi, che possono tornare a essere una famiglia. Si scontra quindi con le sue scelte, con il ritorno sul vecchio cammino e presto con la consapevolezza di aver fatto un passo falso. Se ne dà la colpa. Ma riesce a uscirne di nuovo, stavolta anche con il supporto di persone che la comprendono e la appoggiano.
Maid racconta la storia di una Alex che alla fine, a dispetto di tutte le difficoltà, riesce a prendersi il posto che le spetta nel mondo, per lei e per sua figlia.
Riesce a ripartire da se stessa e dalle sue passioni, da sua figlia e dai suoi bisogni, per raggiungere ciò che entrambe meritano: una vita serena. Il racconto di ciò che Alex deve affrontare è narrato in Maid in tutta la sua difficoltà ma anche in tutta la sua forza. Ogni persona che le sta accanto e che in qualche modo la aiuta diventa un tassello fondamentale per la creazione di un futuro diverso. Una fra tutti Danielle, una donna vittima di violenza prima psicologica, poi fisica. È proprio lei, che ha ancora sulla pelle i segni del male che le è stato fatto, a spiegare ad Alex che la violenza c’è anche quando non si vede, e che non per questo fa meno male.
Danielle che sembra ormai così forte, così consapevole, combatte in realtà ancora con la difficoltà di uscire da un circolo vizioso. Non sappiamo come vada a finire la sua storia, ma sappiamo che invece Alex ce la fa. Fa i bagagli, mette in moto la sua auto e parte per lasciarsi alle spalle una vita che le sta decisamente stretta. Alex e Maddy sono pronte per ricominciare con le loro cicatrici invisibili al mondo, ma pronte a scoprire il futuro che le aspetta.