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Maid e il giorno più felice di Alex

La vita di Alex è un’esistenza nascosta mentre puliva le vite degli altri, perché le loro apparissero perfette. Non esiste un manuale di sopravvivenza per giovani madri single in fuga da una violenza. Ognuna scrive il suo, ognuna lascia degli appunti con l’inchiostro amaro delle esperienze vissute sulla propria pelle. Maid è una storia buia, aggrovigliata, immersa nelle grinfie soffocanti di un mondo claustrofobico e opprimente. Ma è invece proprio il colore a renderla speciale, sono quegli spazi larghi, ariosi, verso cui la protagonista si lancia nel finale lasciandosi trasportare da un nastro d’asfalto lungo e assolato verso una destinazione lontana. Maid è anche una strana luce che ti sveglia delicatamente e ti porta in salvo, nonostante tutto. Non c’è un punto di partenza nel racconto dell’esistenza di Alex, solo piccole tappe che ne segnano il passaggio, marchiato passo dopo passo con vernice scarlatta, indelebile e fissa.

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Quella di Alex è una ricerca disperata del suo giorno più felice, quello che non c’è ancora stato ma che tutti meritano di avere. Una vecchia poltrona sbiadita e sgangherata, una baracca angusta come casa, un giardino pieno di sterpaglie, pezzi di vetro sparpagliati sul pavimento e un compagno di vita che si sbriciola a poco a poco davanti ai suoi occhi: è questo lo stagno in cui Alex è rimasta impantanata, un orizzonte rotto che non lascia più spiragli da cui guardare oltre. È un ideale di vita che va in frantumi, forse ancor prima delle violenze, degli abusi, del tocco improvviso e gelido della paura. È l’istinto di conservazione a spingerci alla ribellione, alla fuga. E, nel caso di Alex, è anche un’altra cosa, probabilmente più potente di qualsiasi impulso al mondo: il suo essere madre. L’amore per sua figlia Maddy, il terrore di consegnarle una vita di angosce e apprensione, la sprona a fuggire, a cercare un’alternativa, anche la più squallida e improbabile di tutte.

Maid riesce a trasformare le ansie della protagonista in un malessere fisico dello spettatore, che corre insieme a lei lungo una strettoia buia e apparentemente senza via d’uscita alla ricerca disperata di uno spiraglio di luce.

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La lunga traversata di Alex passa attraverso varie tappe: la prima è la solitudine. Scappata di casa, non trova conforto nei pochi amici che ha (sono tutti amici di Sean, lei non ne ha più di suoi), né tantomeno nella famiglia (una madre bipolare che vive in un camper e ascolta i segnali della natura e un padre assente con un passato troppo ingombrante da farsi perdonare alle spalle). Inizia il suo faticoso peregrinare in cerca di aiuto, tra sussidi governativi, alloggi per vittime di violenza, tribunali, gruppi di ascolto: la burocrazia diventa il nemico più ostico, in un’America che vuole aiutare i bisognosi ma finisce solo per complicare loro la vita. Arrangiarsi e sopravvivere, con qualsiasi mezzo. È questa l’unica strada che Alex può percorrere. Diventa una cameriera per necessità, la donna delle pulizie che entra col maglione sporco nelle case perfette dei ricchi. Delle loro vite apparentemente perfette e inscalfibili ruba i dettagli. Spolvera le loro granitiche certezze, passa gli stracci sulle loro impronte sicure, rassetta quelle esistenze che le appaiono inarrivabili ma che le lasciano contemplare la speranza di giorni più felici.

Mettendo ordine nelle vite degli altri, Alex riesce a vedere lo sporco della sua. E a prenderne coscienza.

Ma la via verso la libertà reale è ripida e accidentata e camminarci in mezzo costa fatica e qualche caduta di troppo. Alex è una giovane donna che ha conosciuto l’amore e lo ha accolto a braccia aperte nella propria vita. Maid riesce a non essere mai banale, a intrufolarsi nelle prospettive di tutti e a mostrare come il dolore abbia delle sfumature non sempre immediatamente percepibili. Gli abusi sanno essere anche invisibili, camminare lenti e logorare un pezzo per volta le sue vittime. Ci si ricasca, perché non ci si arrende al naufragio delle proprie esistenze. Perché ci si rifiuta di guardare nello specchio della vittima il riflesso della propria vita. Ci si apre a una seconda chance, alla possibilità di essersi sbagliati. Lo si fa per non sfaldarsi, per sopravvivere. Alex non ha fatto nessuna scelta sbagliata, si è solo lasciata sovrastare. È sprofondata nelle faglie di un destino che a un certo punto appare ineluttabile anche ai meno fatalisti.

Sua madre ci era già passata e ne era uscita distrutta, ammaccata. Maid ci ripropone lo stesso copione, con le stesse dinamiche. Il destino di quelle donne sembra inscritto in un circuito di angosce dalle quali non ci si riesce a liberare.

Ma è proprio dall’esempio di sua madre che Alex trae la forza per spezzare il cerchio, per invertire la rotta. Per sé e per Maddy, per darle la possibilità di mettere l’uno accanto all’altro i giorni più felici. Tutto questo nuovo mondo è per lei. Rialzarsi è la tappa che richiede più coraggio. Prendere consapevolezza e aggrapparsi alla vita nonostante le difficoltà è una sfida folle se si è soli, col portafoglio perennemente vuoto e una bambina piccola al seguito. Ma Alex ha già vissuto troppe vite per non capire che esiste una differenza profonda tra vivere e sopravvivere. I suoi quaderni hanno immortalato pezzi di esistenze sconosciute attraverso le quali, alla fine, è riuscita a scovare anche se stessa. Intimorita, schiacciata, scombussolata, ma con tanta voglia di prendersi in mano il futuro. L’ultimo episodio di Maid segna la tappa della rinascita: Alex è riuscita a spezzare il legame con Sean, a incanalarlo in una direzione diversa, dove lei non sarà mai più vittima. Ha avuto il coraggio di spezzare anche quello con sua madre, almeno per quella parte che le impediva di essere totalmente se stessa. Si è caricata sulle spalle il peso delle sue decisioni. Ha scelto la vita, i colori, la luce, la scrittura, il presente, Maddy. L’ultima battuta con cui si chiude Maid non è una frase, né una parola e neppure un silenzio: è un urlo, forte, catartico, energico. È il benvenuto al giorno più felice che finalmente, per lei, è arrivato.

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