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E insomma, come è stata ‘sta terza stagione de La Casa de Papel?

E insomma, come è stata ‘sta terza stagione de La Casa de Papel? Buona. Molto buona. Chi ha letto i miei precedenti articoli sul telefilm ispanico – dove parlavo di esaltazione senza senso o, più recentemente, di meravigliosa tamarrata – sa benissimo che non ho mai lesinato critiche anche feroci, ma al contempo estremamente ironiche a una serie che oltre ai tanto vituperati difetti, ha anche innegabilmente alcuni pregi molto potenti. Pregi che sono venuti fuori ancora una volta, più evidenti che mai, in una terza parte che non ha nel complesso deluso le aspettative. E diamo a Cesare quel che è di Cesare e al Professore quel che è del Professore: non era facile rispettare le aspettative che si erano create dopo il finale della seconda.

L’ho già detto, un presupposto per guardare La Casa de Papel è fondamentale: non bisogna troppo concentrarsi sulle forzature o sui distruttivi buchi di trama, altrimenti non se ne esce più. Non bisogna stare troppo a seguire la logica degli eventi perchè questi sono spesso illogici nella loro consecutio. La Casa de Papel quest’anno ci ha accolti con una reunion della banda avvenuta dopo che uno di loro, Rio, aveva fatto una cazzata per amore e si era fatto beccare. E in nome dell’amore il gruppo si è riunito. L’amore disfunzionale di Tokyo per Rio, ma anche quello del Professore per suo fratello Berlino, che è stato riportato in scena nel modo migliore possibile: in questo La Casa de Papel è stata clemente con noi e ha deciso di non superare il limite della decenza, evitandoci di assistere a improbabili resurrezioni. Berlino è stato riportato dentro la serie in modo funzionale alla trama e perfettamente connesso al casus Rio, visto che per il Professore la reunion della banda è stata la perfetta scusa per tributare il fratello, regalandogli quella rapina che aveva sempre sognato: rubare oro alla banca di Spagna. Col fluire del piano, il Professore avrebbe avuto il margine per richiedere indietro Rio grazie a uno scambio con altri ostaggi: all’interno di questo strambo universo tale passaggio è uno dei più coerenti, in fin dei conti.

Tra dirigibili che sputavano fuori 140 milioni di euro come se nulla fosse e altre coloratissime assurdità, l’inizio è stato assolutamente interessante. A parte i classici pazzeschi buchi di trama: come quello di Tokyo che, pur essendo una delle criminali più ricercate e famose di Spagna, col volto semi-coperto non viene riconosciuta dall’esercito spagnolo e addirittura, col volto completamente scoperto, non viene riconosciuta dal Governatore e dai suoi uomini, mentre provava a camuffarsi come una dei buoni assieme a tutta la banda. Raramente abbiamo visto in una serie tv di una certa fama buchi così banali ma come detto e ribadito, abbiamo l’obbligo di passare oltre altrimenti ci incartiamo su quello che è il principale punto debole di LCDP, rischiando di non vedere quelli che sono i punti di forza.

Punti di forza che ci sono e si sono prepotentemente confermati in questa sua ultima versione: un ritmo veramente straordinario, degli effetti di scena maestosi e una fotografia cresciuta esponenzialmente. Oltre a una trama che, pur con tutti i suoi buchi, scorre via che è veramente un piacere.

La Casa de Papel non ha fatto l’errore di snaturarsi per provare a essere qualcosa oltre, si è mantenuta uguale a se stessa e ha fatto bene: puntando tutto sull’azione e quasi niente sull’introspezione, ancora una volta. Ha continuato quindi a fare il suo dovere: divertirci, intrattenerci, in maniera sempre più roboante.

Dopo una serie di peripezie Rio viene recuperato e riportato in servizio, oltre all’oro i nostri antieroi riescono a rubare pure qualcosa di molto più pericoloso per lo Stato: informazioni segrete. Qualcosa che manda in tilt tutti ma non lei, il primo vero villain di livello della storia: Alicia Sierra. Una donna incinta, geniale e senza scrupoli che coi suoi ghirigori psicologici riesce a far impazzire pian piano la banda del Professore, massacrandola nei punti in cui il piano di quest’ultimo lascia più nervi scoperti: quelli relativi all’amore.

Nairobi viene colpita a morte quando si distrae un attimo perchè l’ispettrice riesce a trovare suo figlio, mentre Raquel viene catturata e fintamente uccisa: mediante una ricetrasmittente con cui quest’ultima era in contatto col Professore, gli uomini della Sierra simulano l’omicidio della sua amata, e l’apparente genio asettico e inscalfibile si trasforma in una bestia assetata di sangue, pronunciando le fatidiche parole.

Questa non è più una rapina. Questa è una guerra.

Il Professore crolla, imbrigliato nella rete della Sierra, e dà il via a una carneficina che nella quarta parte raggiungerà probabilmente il suo apice. I suoi uomini fanno fuoco su quelli dello Stato, bruciandone vivi alcuni.

La Casa de Papel si è evoluta. La Casa de Papel sta per cambiare, e chissà che non si possa andare anche oltre la quarta stagione. Del resto la sensazione è che tappandosi gli occhi qua e là, di trama da sciorinare potenzialmente ce ne sia ancora e va dato atto a Netflix di essere stata veramente incisiva nel recuperare le fila delle scorse due stagioni e costruirci sopra dei presupposti nuovi senza snaturare quelli vecchi, creando le basi per un futuro che non necessariamente dovrà avere affissa la data di scadenza al prossimo anno e al prossimo capitolo. Il Professore e soci ora non sono più i rapinatori dal cuore d’oro. Adesso sono degli omicidi, e anche agli occhi del popolo potrebbe cambiare tutto. Una situazione che ricorda quella di un celeberrimo discorso di Romanzo Criminale, con protagonisti Bufalo e Il Freddo.

“Moh non semo più pischelli, Bù. Moh semo criminali”

Moh sono criminali, il Professore e compagni. Con tutto ciò che ne conseguirà. La quarta stagione si preannuncia già da adesso più ritmata, folle e delirante che mai. E noi, nonostante tutto, non vediamo l’ora di vederla. Non neghiamolo.

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