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Ma quindi Hunters è davvero la serie dell’anno?

Prima di provare a rispondere a questa domanda è necessario porre delle premesse solide che ci permettano di affrontare in modo razionale questo argomento. La prima è che la valutazione può essere declinata in due modi: Hunters è la miglior serie dell’anno, per ora. Oppure: Hunters è potenzialmente la miglior serie dell’anno, in assoluto. A prescindere da cosa uscirà nei prossimi mesi, anche se di cose interessanti che potremo vedere in questo 2020 ce ne sono davvero molte (qui una carrellata di titoli).

Hunters

La seconda premessa, per quanto ovvia, è la soggettività di giudizio che pervade il campo dell’estetica a cui il nostro magico mondo dell’intrattenimento seriale appartiene. Esistono elementi tecnici valutabili più facilmente in modo oggettivo: fotografia, costumi, scenografie, effetti speciali e quant’altro. Ve ne sono altri, regia, sceneggiatura, recitazione o drammaturgia che rientrano invece in una valutazione più complessa dove la soggettività può incidere riducendo tutto a un prosaico: mi piace / non mi piace. L’evidenza di questo, ad esempio, è facilmente riscontrabile in prodotti per cui il giudizio della critica e del pubblico si discostano fortemente tra loro. O prodotti che hanno una fanbase di nicchia particolarmente sostenuta ma snobbate dal grande pubblico e così via.

Tutto questo per dire che quanto leggerete, per quanto vi sia sforzi di usare oggettività razionale, sarà sempre derubricabile a espressione soggettiva.

Vi è una terza premessa, ma afferendo in modo chiaro alla soggettività di chi vi scrive, ho ritenuto opportuno esporla dopo le suddette premesse: una serie che finalmente ci porta sul piccolo schermo Al Pacino parte già con un innegabile bonus positivo. Indipendentemente dal giudizio finale.

Fatte quindi le debite considerazioni iniziali, cominciamo a ragionare se Hunters sia o meno la serie dell’anno. I grandi aggregatori di giudizi come Rotten Tomatoes e Metacritic riportano una valutazione in linea tra pubblico e critica: 65% il primo, 5.5 il secondo. Scorrendo però molti commenti e post disponibili nel nostro panorama italiano (tra cui anche la nostra community) i giudizi positivi espressi superano ampiamente quelli negativi. Dice qualcosa, ma non certo tutto. Semplicemente si può intendere che chi l’ha apprezzata si sia maggiormente espresso pubblicamente rispetto chi non l’ha fatto. O forse, e per certi versi, sarebbe un’ indicazione negativa, chi non l’ha apprezzata è stato così poco “triggherato” dalla serie da non sentirsi coinvolto nei commenti.

Hunters

Eppure Hunters ha dei meriti e dei punti di forza decisamente interessanti. Su tutti una scrittura che potremmo definire “fresca”. Lo showrunner David Weil, alla sua prima opera originale, ha affrontato un tema ampiamente utilizzato negli ultimi settant’anni – il nazista come villain – dandogli però nuova linfa e rendendo la serie avvincente e accattivante.

I riferimenti pop di cui è farcita avvicinano a Hunters anche il pubblico più giovane, come lo stile alla Tarantino o alla Guy Ritchie possono farla apprezzare anche a quel pubblico un po’ meno giovane, che è cresciuto con il cinema anni ’90. Tutto bene, quindi. Non proprio. Come abbiamo avuto modo di dire in questa analisi sulla serie vi sono anche delle note dolenti.

La scrittura di Weil evidenzia tutta la sua inesperienza. Così come la gestione dei personaggi, la loro profondità e tridimensionalità, e un’alternanza di ritmo e dinamicità non sempre ottimale sono degli aspetti che fanno decisamente calare l’apprezzamento.

La serie è godibile. Sostenuta da un’ottima colonna sonora e da prove attorali interessanti nella maggior parte dei casi, su tutti Al Pacino e Jerrika Hinton, se non addirittura eccellenti come nel caso della coppia Saul Rubinek e Carol Kane. Però purtroppo molte altre figure di primo o secondo piano sono lasciate a loro stesse. Abbozzate in modo intrigante, ma mai approfondite. Esempi se ne trovano a bizzeffe: Kate Mulvany e la sua Sorella Harriet o Louis Ozawa Changchien con il suo reduce Joe Torrance. Solo per fare degli esempi.

Anche la trama mostra delle debolezze strutturali notevoli. La facilità con cui il senatore Biff Simpson (magistralmente impersonificato da Dylan Baker) gestisce l’occultamento della strage nel suo giardino restando seduto in mezzo ai cadaveri fino a mattina inoltrata in bella vista dalle case vicine nel primo episodio o come si sopravviva ad accoltellamenti e sparatorie con due cerotti e un analgesico, esemplificano tutti i limiti che la trama ha. Le scene nei flashback all’interno del lager sollevano perplessità. I due protagonisti, ad esempio, assistono alla “partita a scacchi vivente” uscendo dal campo fino alla zona boschiva vicino come se niente fosse. Le condizioni di salute dei prigionieri, poi, sono inconciliabili con la realtà storica.

Personalmente sono molto più indulgente su questi aspetti rispetto ai precedenti. Per due ragioni: la prima è che Hunters non vuole essere una serie storica, ma raccontare la sua storia. La seconda è che non ho colto alcuna “mancanza di rispetto” in questa scelta ma una precisa necessità narrativa che voleva unicamente agganciarsi a un “già noto” per determinare il contesto.

Resta il fatto che le libertà di scrittura della trama pongono dei limiti al giudizio complessivo che si può dare alla serie. Fermo restando che Hunters è una serie tranquillamente sopra la media dei prodotti che escono usualmente sulle piattaforme streaming.

Cercando di dare una risposta alla domanda di partenza quindi bisogna concludere che, no, Hunters non è la serie dell’anno. Ciò non toglie che sia una buonissima serie e meriti il tempo, oltre undici ore, per essere vista. In una selva di prodotti mediocri e piatti Hunters prova ad avere una propria identità e stile. I difetti che sono emersi non sono tali da non poter essere identificati, recuperati e corretti nella prossima stagione. Permettendo così di confezionare un prodotto ancora più avvincente, equilibrato e rilevante.

Diciamo quindi, per concludere, che Hunters non è ancora la serie dell’anno, ma ha gettato le basi per poterlo diventare e aggiungere il proprio nome alla lunga lista di titoli che sono l’ossatura della storia delle serie tv.

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