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Qualsiasi cosa, purché accada con eleganza.
In fondo quello che vede è solo caos, una marea di persone con i loro impegni, le loro ossessioni, profondamente disturbati ed egocentrici, attenti a tutto eppure sempre così lontani dal vero stile. Lui ne è consapevole, la verità dell’eleganza è nella calma. Nella sottile e definita cadenza dei suoi passi, nell’indossare con grazia la raffinatezza dei suoi capi. Per sembrare affidabile, per apparire normale. È così che Hannibal Lecter guarda il mondo, ne prende le sembianze e protegge se stesso interpretandolo.

Ed è tutto così semplice, banale a volte. Basta guardare attentamente fino quasi a farsi guardare di rimando, fermarsi in tempo, prima di essere scoperti, ed è tutto così semplice. Scoprire come pensano, come si comportano gli altri. Quasi banale manipolarli.

È difficile credere che ci possa essere un ordine perfetto in mezzo a questo disordine, il suo compito è quello di trovarne uno in ogni suo paziente, fornendogli una direzione particolare, a ognuno la sua. Con la sua calma istiga l’eccesso, quello che Hannibal nasconde è esattamente ciò che lui fa emergere in loro, l’istinto primordiale.

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Hannibal non può evitare di osservare. Sarebbe ingenuo e insensato. Ha passato la vita a studiare la mente umana e la trova sempre molto interessante. Forse perché in fin dei conti non si sa ancora tutto, o magari non arriveremo mai a conoscerla veramente. L’eccezionalità dell’uomo lo attrae ossessivamente. Comprende il modo in cui un individuo funziona riuscendo ad alterare i suoi comportamenti, i suoi bisogni e le sue necessità.

È conseguenza della leggerezza del suo tocco psichico, della sua capacità di rallentare il tempo, tutto secondo un ordine, seguendo un equilibrio maniacale ed efficace.

Il rito si deve compiere. Ogni cosa al suo posto, non importa quanto tempo ci vorrà. La perfezione vuole aria, brama tempo. Così come una cura terapeutica, non puoi velocizzare la guarigione, devi seguire uno schema, una volta entrati è come guardarsi per la prima volta in uno specchio strano, di quelli che distraggono distorcendo la realtà delle forme. Quasi come riflettersi nel vetro opaco del suo bicchiere di vino pregiato.

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Sono i suoi occhi, il vetro che nasconde la pazzia, l’inconsapevole superficie che interrompe l’esagerazione. Sono loro la causa e il tormento, nonostante all’inizio sembrassero essere la speranza e la cura. Il mondo visto da quello sguardo è vasto, immenso e impossibile da prendere in ogni suo dettaglio, ma il particolare più importante è riuscito ad averlo. L’ha raccolto dalla sofferenza delle sue psicosi innamorandosi della prospettiva del tutto inedita che questo rapporto gli offriva.

A quel punto è tutto quello su cui si concentra. La loro follia è un gioco semantico sottile, impercettibile per alcuni ma intenso e dirompente per entrambi. Sarebbe quella la perfezione, spingere Will Graham nella giusta direzione, perdonandolo e istruendolo. Una delle piccole, strane ombre che solitamente non si notano, si lasciano in disparte perché troppo piccole in un mondo troppo vasto. È lì che ci si deve fermare, ed è proprio lì che Hannibal Lecter incontra una via di fuga, la possibilità di una vita parallela al passato ma continua della sua arte.

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Il mondo secondo Hannibal è un gioco di ombre. Si incastrano, prendono spazio e rompono gli standard. Non può far altro che far coincidere tutto in momenti precisi di ossessione. Tentare di dare un ordine alle deviazioni, arrivando persino a distruggere chi le ospita.

Nonostante lo specchio che distorce la realtà sia la prima visione quotidiana del mostro, dev’esserci anche per lui l’affaccio sulla realtà, un punto panoramico da cui vedere tutto e che si colleghi al mondo, quello delle emozioni, quello in cui si riesce anche a sentirsi soli. Hannibal ha finalmente trovato la sua cura alla solitudine, giusta o sbagliata che sia, purché accada con eleganza.

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