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7 film drammatici di Netflix che non mi hanno fatto piangere manco per sbaglio

Fazzoletto? Dove diavolo è il fazzoletto? Ok, va bene anche la manica della felpa per asciugarsi. Chi scrive è uno di quelli dalla lacrima facile, capace di emozionarsi fino al pianto con veramente poco. Non c’è nulla di male, né tanto meno da vergognarsene. Il pianto può essere liberatorio, catartico addirittura. Fa bene. Certamente, a volte uno preferirebbe evitare, soprattutto in pubblico. Quel leggero imbarazzo derivato dal consumare le proprie emozioni di fronte agli altri c’è sempre.
Ci sono argomenti capaci di aprire le cataratte come un click di mouse. Di quelli che sai già non ti lasceranno scampo. Altri invece non ti sfiorano nemmeno. A ciascuno il suo, ognuno vive la propria sfera emotiva come vuole.
Ecco, di seguito ci sono sette film, originali Netflix, che avrebbero potuto, anzi avrebbero dovuto, farmi piangere e invece non ci sono riusciti. Sono sette film spessi, con argomentazioni di notevole importanza, oltremodo belli e intensi, come Pieces of a Woman, che non sono stati capaci di farmi versare una lacrima ma mi hanno lasciato comunque una grande emozione dentro e che vale la pena vedere.

Da 5 Bloods – Come fratelli

spike lee

Ci sono cose che non si riescono a cancellare. Alcune belle come Muhammad Ali che si rifiuta di arruolarsi nell’esercito per andare a combattere i Vietcong e per onorare i suoi principi si fa cinque anni di galera. Altre meno come l’uccisione del Reverendo King. Il Vietnam, la Guerra del Vietnam, è una di quelle brutte che hanno lasciato una ferita aperta nella storia moderna degli Stati Uniti. In particolar modo, in Da 5 Bloods, c’è di mezzo non soltanto la guerra ma anche la condizione degli afro-americani al fronte, usati come carne da macello e, contemporaneamente, pestati a sangue nel loro paese, gli USA, durante le proteste contro la guerra ma soprattutto per cercare di ottenere i riconoscimenti minimi dei diritti civili.

Nel film di Spike Lee, quattro reduci, quattro amici, decidono di tornare dove hanno vissuto la loro giovinezza. Un paese ormai occidentalizzato li accoglie con calore ma nessuno dei quattro, ciascuno in lotta con i propri mostri, si fida pienamente. Sono arrabbiati, chi più chi meno, ce l’hanno con il mondo ma soprattutto con se stessi. Ad accoglierli ci sono i ricordi che si fanno sempre più vividi e potenti e subdolamente si insinuano fino a spezzarli.
Non c’è spazio per le lacrime ma solo per la rabbia e la compassione. Rabbia per la follia umana della guerra, compassione per quello che, terribilmente, l’uomo è capace di perdere per eseguire gli ordini che gli piovono dall’alto.
Anche se una lacrimuccia per il compianto Chadwick Boseman, qui alla sua ultima interpretazione, l’abbiamo versata.

Pieces of a Woman

Pieces of woman

Il lutto è qualcosa di estremamente personale e chi ne viene colpito fa quello che può. Questo è il messaggio che Pieces of a woman vuole trasmettere, con una sceneggiatura significativamente personale e una regia incredibilmente catartica. Del resto sia la sceneggiatrice, Kata Wéber, che il regista, Kornél Mundruczó, hanno vissuto, in maniera differente appunto, lo stesso lutto essendo nella vita reale una coppia.
I due hanno cercato di portare in scena qualcosa che li avvicinasse sensibilmente alla loro perdita guidando i due protagonisti, Vanessa Kirby e Shia LaBoeuf, in un viaggio malinconico ma non sommesso da non augurare a nessuno.

Non c’è tempo per piangere. Pieces of a woman non vuole commozione e nemmeno la cerca. Sarebbe banale e di banale in questo film non c’è proprio niente, nemmeno certe scene che altro non sono se non l’ovvietà della vita quotidiana. Pieces of a Woman esige, invece, rispetto e silenzio perché mette a disposizione un argomento che ti prende alla gola e ti fa soffocare. Non c’è chiasso, per lo meno non esteriormente, in Pieces of a woman perché ti porta a riflettere e ti obbliga a metterti nei panni, incredibilmente scomodi, altrui.

Storia di un matrimonio

Scarlett Johansson

Adam Driver e Scarlett Johansson sono i protagonisti di questa drammatica storia d’amore che sta esalando gli ultimi respiri. I due sono ai ferri corti ma di mezzo c’è un figlio piccolo a cui entrambi voglio davvero bene per cui cercano di fare le cose nella maniera migliore, soprattutto per lui.
Si tratta di un film intimista, vincitore di un Oscar per la miglior attrice non protagonista che scava a fondo nell’animo dei protagonisti perfettamente interpretati da due grandi attori capaci di mostrare come l’essere umano, disgraziatamente, abbia una incredibile paura ad adattarsi ai cambiamenti. Ed è proprio questo il punto: le discussioni tra i due sono esasperanti tanto da costringere il telespettatore a provare un moto di insoddisfazione piuttosto fastidioso anziché la commozione di fronte alle macerie di un matrimonio finito.

Il dolore tra la Johansson e Driver è come la nebbia in Val Padana: opprimente, angosciante, reale, tangibile. Soprattutto sembra non voler mai sollevarsi e lasciar passare un raggio di sole, un po’ di speranza. I due, in un continuo tira e molla, sembrano allontanarsi e riavvicinarsi senza mai una certezza, un po’ di quiete.

Beasts of No Nation

beasts of no nation

Il mondo è grande, immenso. E terribile. Accadono cose inimmaginabili i cui echi lontani arrivano a noi, comodamente seduti in poltrona, con il giusto tempo di latenza per permetterci di prendere fiato e non farci troppo coinvolgere. Non è così per questo film, scritto e diretto da Cary Fukunaga e interpretato da Idris Elba e l’allora esordiente Abraham Attah, che non fa piangere ma mescola dentro il telespettatore differenti emozioni, tutte molto forti.
La storia è quella terribile di Agu che non ha altra possibilità se non quella di arruolarsi in un battaglione militare fatto di bambini più o meno della sua età. Agu vede violenza e morte giornalmente abituandosi a essa abbastanza facilmente.

L’empatia che si prova nei confronti dei bambini soldato fa male. Ma dovrebbe anche fare riflettere poiché dimostra come nascere nel posto giusto sia soltanto fortuna. Una fortuna alla quale essere grati, in maniera quasi obbligatoria.

Mudbound

mudbound

Gli Stati Uniti sono un paese grande nel quale le piccole realtà quotidiane dell’immensa campagna spesso permettono l’amicizia tra uomini la cui pelle ha colori differenti. Poco prima della II Guerra Mondiale, nel meraviglioso quanto tragico Mississippi, una famiglia di bianchi affitta a una famiglia di neri del terreno per coltivarlo e viverci. Tra le due famiglie, se non amicizia, c’è rispetto proprio perché entrambe vivono le difficoltà della quotidianità.
L’amicizia però è dietro l’angolo. Di rientro dal fronte europeo sono Ronsel (nero) e Jaime (bianco), un figlio e un fratello, a consolidare una amicizia dovuta ai traumi comuni subiti sui campi di battaglia. Ma questa amicizia è causa scatenante di una violenza inaudita da parte del Klan che modificherà le già fragili certezze di quiete, pace e rispetto.

Tratto da Fiori nel fango di Hillary Jordan, adattato da Virgil Williams e diretto da Dee Rees, questo film è capace di trasmettere davvero grandi emozioni. Candidato a 4 premi Oscar Mudbound è un vero melodramma, di grande impatto, in grado di sciogliere i cuori più duri. Eppure non si versa una lacrima troppo presi dalla rabbia delle ingiustizie e dagli ovvi paragoni ai nostri giorni. Col razzismo non si scherza, mai. Difficilmente si può comprendere una cattiveria d’animo tale come quella che c’è nei membri del Klan. Una cattiveria che non commuove, pur facendo provare grande empatia nelle vittime, ma fa gridare sentimenti meno nobili ma altrettanto rispettabili e degni: rabbia e sdegno.

Raccontami di un giorno perfetto

raccontami

Questo film, diretto da Brett Haley, è basato sul bestseller All the bright places scritto da Jennifer Niven la quale, insieme a Liz Hannah, ne ha anche curato la sceneggiatura.
L’inizio è piuttosto forte: la protagonista, interpretata da Elle Fanning (sorella di Dakota), sta per compiere un gesto spropositato e viene interrotta da Finch, interpretato da Justice Finch. I due, dopo qualche alto e basso, decidono di compiere un lavoro scolastico in coppia. Un lavoro che li obbligherà a conoscersi meglio fino a innamorarsi e affrontare, fino a un certo punto, le loro paure e i loro traumi, piuttosto fuori dal comune.

Gli argomenti trattati in questo dramma sono molteplici e vanno dal tentativo di suicidio al disturbo psichiatrico grave. Nel trattarli c’è molta delicatezza e rispetto, senza mai una esagerazione. Entrambi i protagonisti si ritrovano a confrontarsi con i propri fantasmi attraverso una sorta di viaggio, sia fisico che spirituale, decisamente catartico. Forse troppo.
Pur avendo tutti gli ingredienti per sciogliere il cuore e aprire i rubinetti delle lacrime, compresi una coppia di protagonisti incantevolmente fragile, mai sopra le righe e perfettamente calati nelle rispettive parti, non si piange.
La commozione, infatti, lascia spazio alla frustrazione di assistere a un mondo adolescenziale totalmente abbandonato a se stesso da parte di quegli adulti che se ne dovrebbero occupare.

Tallulah

Elliot Page

Uscito sulla piattaforma Netflix nel 2016 Tallulah è un dramma che offre alcuni spunti di riflessione piuttosto feroci e critici verso la società americana, qui rappresentati ai suoi estremi: la povertà della protagonista, interpretata da Elliot Page, prima della transizione, e l’estrema opulenza della madre del suo ragazzo, interpretata da una grandissima Allison Janney.
La storia, scritta e diretta da Sian Helder, già autrice di Orange is the new black, è una di quelle un po’ strampalate, che ci mette un po’ a entrarci dentro. Per certi versi assomiglia a Juno, come stile, del resto le protagoniste sono le stesse del film di Reitman, impossibile non fare il paragone, e anche in questo caso c’è di mezzo un bambino e la drammaticità delle aspettative del mondo che ci portano, spesso, a mentire e complicarci la vita.

C’è un gran disordine in Tallulah. Il disordine degli affetti, quello delle relazioni, tipico delle famiglie disfunzionali. Sebbene spacciato per commovente questo film non strappa una lacrime nemmeno a pagare. E non perché sia malfatto, tutt’altro. Gli ingredienti ci sono davvero tutti. Solo che il caos prende il sopravvento obbligando chi guarda a cercare di risistemare i pezzi delle vite dei protagonisti, troppo incasinate e al limite, per poter avere tempo di versare una lacrima.

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