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La simbologia nel film Il Potere del Cane

Scritto e diretto da Jane Campion, The Power of the Dog (o Il Potere del Cane) è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1967 di Thomas Savage, disponibile su Netflix dal 17 novembre.

L’atipico western Il Potere del Cane con protagonista Benedict Cumberbatch è un viaggio nella psiche dei suoi personaggi, mossi da pulsioni inedite per il genere americano generalmente caratterizzato dalla virilità da cowboy e dalle lotte territoriali. L’ambientazione è quella del Montana del 1925. Phil (Cumberbatch) è il misogino e crudele proprietario del più grande ranch del territorio, gestito insieme a suo fratello George (Jesse Plemons) che, al contrario, è un uomo tranquillo che non ama sporcarsi le mani, più interessato alle attività intellettuali e ad instaurare rapporti con le personalità influenti della valle. I due fratelli hanno una visione della vita e della mascolinità del tutto opposte così che, mentre il primo è impegnato a castrare a mani nude i tori e a cavalcare per le impervie vie della collina, suo fratello è preso dalla conoscenza della giovane vedova Rose (Kirsten Dunst), che finirà per sposare e portare al ranch insieme a suo figlio Peter (Kodi Smit-McPhee). Peter è un ragazzo efebico e minuto con la passione per lo studio della medicina e, la cui fisicità poco mascolina, diventa costante motivo di scherno da parte di Phil, che non nasconde neanche per un momento la repulsione nei confronti dei nuovi ospiti. Ed è proprio quella repulsione l’epicentro dell’intero film più che l’azione vera e propria, limitata ai momenti centrali di trama (i due fratelli dapprima soli a gestire il ranch iniziano la difficile convivenza con la vedova e suo figlio), e sarà in quella repulsione il punto d’incontro tra l’intreccio narrativo e quello simbolico, rimasto celato fino all’ultimo momento del film in cui avviene il losco omicidio di Phil da parte dell’insospettabile Peter, motivato dal titolo stesso del film, che ritroviamo in un salmo della Bibbia che il ragazzo nasconde sotto al suo letto:

“libera l’anima mia dalla spada e il mio amore dal potere del cane”

Cosa rappresenta dunque il potere del cane?

Per rispondere a questa domanda bisogna prima domandarsi cosa simboleggia la figura del cane nella Bibbia, nella lingua americana, nella simbologia del film e in quella del romanzo da cui questo è tratto.

Il potere del cane

Amico dell’uomo per eccellenza, esempio unico di fedeltà e amore, il cane rappresentato nella Bibbia non gode di certo della stessa reputazione dei giorni nostri. Per il Testo Sacro il cane era un animale immondo e impuro poiché non commestibile; il fatto che i cani randagi si nutrissero di carogne contaminate non adatte alla nutrizione umana, rendeva l’animale deplorevole e, di conseguenza, il termine “cane” veniva usato unicamente nella sua accezione negativa (l’Apostolo Paolo chiama “cani” i falsi apostoli, mentre per il libro dell’Apocalisse “cani solo coloro esclusi dal mondo dei cieli“). I cani erano inoltre così feroci e temuti che i nemici crudeli erano spesso paragonati a essi. Il cane è dunque il ripugnante e feroce nemico, l’oppressore da cui difendersi. Il “potere del cane” citato dalla Bibbia è la capacità dei ricchi e dei potenti di poter opprimere i poveri e i deboli. L’oppressore da cui si libera Peter è il cane Phil, omofobo e spietato cowboy, crudele con lui e con sua madre Rose, che a sua volta è assalita da quello che nello slang americano è il black dog: la dipendenza.

La dipendenza dall’alcol della giovane donna è un altro elemento essenziale della storia; quando Rose peggiora a causa del continuo stress procuratole da Phil, suo figlio è disposto a tutto per proteggere sua madre e liberarla dall’oppressore (alcol/Phil). Il Potere del Cane è dunque anche una storia di dipendenza; non solo quella di Rose, ma anche quella affettiva del figlio Peter, che protegge la donna quasi in modo maniacale da qualsiasi uomo le si avvicini.

Cosa dire invece dell’oppressore? L’ultimo punto della simbologia de Il Potere del Cane è rappresentato dalle repressioni di Phil, la cui indole machista cela un’ omosessualità mai accettata, rappresentata dall’ammirazione profonda che ha nei confronti del suo defunto mentore Bronco Henry, colui che gli ha insegnato a cavalcare e a essere uomo, a mitizzare e idealizzare un concetto di mascolinità al punto tale da esserne attratto, per poi reprimerlo e allontanarlo così tanto da disprezzare tutto ciò che è opposto a quel concetto (le donne). Ed è nel punto debole lasciato dal vuoto della repressione che si insinua Peter per guadagnarsi la fiducia di Phil, ricordandogli del suo rapporto con il suo mentore, per poi ucciderlo nel momento di massimo avvicinamento tra i due, avvenuto soprattutto dopo che il ragazzo dice di vedere nella sagoma della collina che fa da sfondo all’intera vicenda il profilo di un cane in corsa, proprio come gli diceva Bronco Herny, l’unica altra persona a vedere quella esatta forma. Phil dunque guarda per tutta la vita alla collina a forma di cane (al potere, alla mascolinità, a Bronco Henry) come a qualcosa da ammirare in lontananza che però non potrà mai toccare poiché è un cowboy e siamo nel 1925. Stessa sorte toccata allo stesso Thomas Savage, autore del romanzo, in cui numerosi sono i riferimenti autobiografici, tra cui la sua omosessualità, di cui informa anche sua moglie al momento del fidanzamento.

Il Potere del Cane è un film complesso che riesce a sviscerare, nella semplicità dei suoi paesaggi, l’intricato mondo delle pulsioni dell’eros umane e dei meccanismi di difesa dettati dalla paura di queste. Per quanto proviamo a sfuggire a queste pulsioni, però, saranno sempre lì a fare da sfondo a tutta la nostra esistenza, come l’irraggiungibile collina di Phil, che è riuscito ad addomesticare (e castrare) qualsiasi animale selvaggio tranne quel cane più docile di tutti, il suo eros, e il cui amore non è riuscito a liberarsi dal potere della repressione.

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