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Rue Bennett: apri la porta

Ci sono porte fisiche e porte della mente, quelle di cui possediamo la chiave ma che sono, allo stesso paradossale tempo, più difficili da aprire. Sono le porte che teniamo spesso sprangate, per paura di cosa potremmo trovare oltre, o quelle che si trovano lì proprio di fronte a noi ma che per qualche inspiegabile ragione non riusciamo mai a raggiungere. All’interno di una stanza buia, silenziosa e vuota, siamo noi e noi soltanto mentre sentiamo il mondo continuare a muoversi al di là di quella struttura rettangolare in legno. Noi come Rue Bennett, artefice del nostro stesso isolamento e dolore. E a niente valgono i discorsi motivazionali, le parole degli amici o il conforto delle persone che ci amano, se la scelta non proviene dal nostro io più recondito, non saremo mai e poi mai in grado di infilare la chiave nella toppa.

Così la porta che, da tempo immemore, regge in sé il significato molteplice di chiusura o apertura verso altri mondi, in Euphoria diventa simbolo dello spazio chiuso in cui i diversi protagonisti si muovono sempre in cerchio. Specialmente Rue Bennett.

Nel folklore e nella religione di svariate culture, la porta incarna in maniera ambivalente sia il concetto di vita che quello di morte. Un esempio abbastanza immediato è dato dalla Divina Commedia, dove il viaggio di Dante ha inizio proprio passando attraverso la soglia dell’Inferno. Lo stesso topos si ritrova anche nella mitologia greca e in quella celtica con connotazioni diverse certo ma l’accezione è la stessa.

Euphoria (640×360)

Forse siamo noi a voler trovare un valore più profondo a quella “porta” che, di puntata in puntata, ritorna sempre nella vita di Rue, ma ci piace pensare che non sia così e che la presenza costante dell’elemento scenico nasconda, invece, un senso molto più intimo e profondo. Chiusa nel suo dolore, Rue Bennett si isola sempre più volontariamente dal mondo e dai suoi affetti. Le droghe assurgono la loro funzione di palliativo dalla vita stessa, dalle sue sofferenze e dalle sue sconfitte. La pena che la nostra protagonista prova diventa ben presto un mantello con il quale avvolgersi e trovare giustificazione per ogni scelta sbagliata compiuta, così quella porta metaforica Rue la chiude lei stessa a doppia mandata.

Esistono spiragli di luce in Euphoria, flebili raggi che passano attraverso le fessure e che illuminano brevemente l’oscura prigione di Rue.

Eppure, come sappiamo un po’ tutti noi nel nostro piccolo, chi più chi meno, nessuna luce può davvero attecchire se non lasciamo aperto abbastanza spazio per farla risplendere. Così ogni passo avanti di Rue equivale a dieci passi indietro, perché la paura del dolore oltre quell’uscio scaccia via tutta la sua forza di volontà e ogni desiderio di girare la chiave. Nessuno si salva da solo, lo sappiamo, ma la salvezza deve partire da noi stessi, dall’impulso primordiale di voler davvero attuare un cambiamento per il meglio. Una spinta che forse la nostra pseudoeroina sta finalmente sperimentando dopo il finale della seconda stagione di Euphoria.

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Euphoria (640×360)

Come abbiamo detto, però, esistono anche le porte fisiche, quelle che, nel caso specifico di Euphoria, riempiono lo spazio scenico con un preciso intento narrativo.

La porta teatrale diventa l’opportunità di Lexi di dire finalmente la sua, per Cassie la porta di un bagno è l’ultima roccaforte per non affrontare il dramma, per Maddie è il muro che la separa dalla verità. Per Rue, la porta rappresenta la catarsi, il punto più basso della sua dipendenza che si sfoga con rabbia contro chi ha provato sempre a rimanerle accanto. Sono soprattutto due le sequenze all’interno dello show che mettono Rue Bennett faccia a faccia con i propri demoni. La prima avviene nella prima stagione, nello specifico nell’episodio 3, quando la ragazza si presenta a casa di Fez per un’altra dose ma lo spacciatore dal cuore d’oro decide di non farla entrare. Di fronte alla porta chiusa, Rue reagisce con infantilità e disperazione, arrivando a ferire quello che, seppur in maniera anticonvenzionale, può essere considerato uno dei pochissimi amici nella sua vita.

La seconda sequenza ha luogo durante l’episodio cinque della stagione successiva. Rue è ricaduta nei soliti vizi, cacciandosi in guai molto grossi che avranno – non abbiamo dubbi al riguardo – delle ripercussioni nella prossima stagione. Sempre più chiusa nella sua armatura di dolore e rabbia, assistiamo a un momento terribile che la vede coinvolta con la madre e la sorella Gia. Zendaya ci regala una performance indimenticabile, emotivamente difficile da sopportare e guardare. La porta chiusa di Fez lascia il posto a quella sfondata della camera di Gia, simbolo della rovinosa caduta della sanità mentale di Rue.

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L’immagine della porta incarna quindi, più che mai, il significato di morte in Euphoria, associandosi a quelli che sono i momenti più traumatici e duri della nostra protagonista. Anche di fronte a una porta sfondata, Rue rimane costantemente sola, bloccata all’interno di quella stanza oscura che è la sua mente. Ha la chiave ma non sa o non vuole usarla preferendo scalciare e urlare fino allo sfinimento, ancora incapace di comprendere che per uscire dal proprio labirinto deve innanzitutto volerlo.