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Le 5 più importanti riflessioni filosofiche della seconda stagione di Emily in Paris

Il ritorno di Emily in Paris con la sua seconda stagione ha portato con sé un numero non quantificabile di interrogativi irrisolvibili. Per esempio, com’è possibile che Lily Collins riesca a sembrare elegante con indosso outfit che farebbero rabbrividire persino la Aria Montgomery dei tempi d’oro di Pretty Little Liars? Esiste un limite al numero di stereotipi sull’Europa che si possono inserire in una singola conversazione? È forse possibile provare pena e perché no, addirittura simpatia, nei confronti del popolo francese, costretto a essere continuamente tirato in causa e ridotto a macchietta da Emily e i suoi colleghi? Perché nonostante la serie abbia una vagonata di difetti, non riusciamo a smettere di guardarla? Tutte domande che faticano a trovare una risposta definitiva e che dimostrano la grande sfida filosofica e intellettuale che la comedy Netflix vuole porre ai suoi spettatori, che davanti a questa seconda stagione di Emily in Paris non possono fare altro che contemplare e imparare, segnandosi mentalmente tutti i preziosi insegnamenti di vita che la serie propone incessantemente. Abbiamo cercato di raccoglierne alcuni per voi, facilitandovi così la fruizione di un prodotto che altrimenti potrebbe apparire fin troppo denso di citazioni complesse che richiederebbero almeno una seconda visione per essere comprese pienamente.

1) Quando ci sono problemi, prendi il primo treno e scappa

Emily in Paris

Una prima fondamentale lezione di vita che Emily in Paris 2 ci presenta già nel suo capitolo d’esordio, proprio a sottolineare l’importanza di questo consiglio che la nostra amabile protagonista generosamente ci dispensa.

L’episodio iniziale della seconda stagione è cominciato da pochi minuti quando ecco che la nostra Emily Cooper, sopraffatta dal suo essere oggettivamente la peggiore amica del mondo per essersi portata a letto il fidanzato della dolce Camille circa 12 secondi dopo che i due si erano lasciati, decide di salire su un treno con un bel francese che a quanto pare frequentava nella prima stagione ma di cui ci eravamo tutti dimenticati (Emily compresa). A questo punto la nostra eroina ci mostra che per quanto sia impossibile scappare dai propri problemi all’infinito perché questi ti inseguiranno ovunque, l’importante è provarci, è non smettere mai di correre, far finta di non aver sentito ogni qual volta qualcuno ti chiederà conto delle tue discutibili scelte di vita. Emily Cooper, americana a Parigi, esempio di resistenza e perseveranza per tutti noi.

2) Più uomini ti fai più sei francese (poco importa se in Francia sembrano esserci solo 3 uomini, uno dei quali gay)

Nel ruolo della saggia donna di una certa età ecco la francesissima capa di Savoir Sylvie Grateau, dipinta in Emily in Paris come la più sensuale delle cougar europee. Un personaggio i cui consigli non possono che essere seguiti e a cui non sfugge nulla, soprattutto se riguarda la vita amorosa dei suoi sottoposti. Ecco allora che, venuta a conoscenza delle avventure piccanti di Emily grazie ai suoi poteri psichici, Sylvie ricorda alla nostra protagonista quale sia il parametro assoluto per collocarsi all’estremo della scala della francesità: farsi quanti più uomini possibili. Un insegnamento importante e per nulla basato su stereotipi che rimanda all’immagine passionale, bohémienne che il popolo americano sembrerebbe avere dei nostri cugini d’oltralpe. E che la nostra Emily in Paris non può che prendere alla lettera, dimostrandoci ancora una volta di saper abbracciare le tradizioni a lei straniere per farle sue.

3) Le buone intenzioni giustificano anche i comportamenti più inaccettabili

Emily in Paris

Emily in Paris è sì una produzione che vuole intrattenere, ma è anche e soprattutto un’importante opera didascalica contenente i paradigmi dell’etica contemporanea.

Se Morgan cantava delle brutte intenzioni e della maleducazione, Emily Cooper si fa invece portavoce di una corrente di pensiero opposta, diventando la paladina delle migliori intenzioni al mondo. Che voglia farsi perdonare da Camille, aiutare un cliente, imparare il francese o portare la pace laddove cinque minuti prima aveva quasi causato lo scoppio della terza guerra mondiale tra Francia e Stati Uniti, la nostra protagonista è sempre mossa da ottime intenzioni, che tuttavia non sempre si traducono in comportamenti altrettanto ineccepibili. Eppure a lei non importa che le sue azioni siano spesso deleterie per chiunque la circondi, perché in fondo è il pensiero che conta e Emily lo sa bene, ecco perché pretende giustamente di essere perdonata in ogni situazione, anche se spesso questa sua linea di pensiero si scontra con l’incomprensibile opposizione dei suoi coprotagonisti.

4) Un triangolo amoroso si supera solo facendolo diventare un quadrato

La prima metà della seconda stagione di Emily in Paris prosegue identica al primo capitolo delle avventure francesi della nostra americana preferita. Nulla si è mosso, il triangolo è rimasto lì, centro focale attorno a cui ruotano tutte le altre ininfluenti vicende dei personaggi della serie. Emily ama Gabriel, Camille ama Gabriel, Gabriel oscilla e noi anche, solo che il nostro moto ricorda quello del pendolo di Schopenhauer tra la noia della solita trama e il dolore di non vederne la fine. Poi, all’improvviso, la svolta.

Ecco che durante quella che pensavamo fosse la più inutile delle sottotrame, che vedeva Emily frequentare una scuola di francese, compare lui, la new entry che non ci aspettavamo, colui che riporta alle stelle il tasso boni (anche noto dagli esperti del settore come il coefficiente di “The Vampire Diares”) della serie: Alfie, l’inglese più affascinante dai tempi di Robert Pattinson. L’arrivo di Alfie scombussola gli equilibri di Emily in Paris, facendo sì che il triangolo su cui fino ad allora la serie si era retta si trasformi nella ben più interessante figura del quadrato, che permette sviluppi di trama assolutamente identici ai precedenti ma con un personaggio in più. Signori, siamo davanti a una rivoluzione.

5) Non è importante sapere quale sia il proprio lavoro per essere bravi a farlo

Emily in Paris

Non dobbiamo mai dimenticare che la dolce Emily Cooper non si è trasferita temporaneamente in Francia solo per diventare fluente nel linguaggio dell’amore, ma anzi, le sue iniziali intenzioni erano quelle di proseguire la sua folgorante carriera di non si sa esattamente cosa. Sì, sappiamo che la nostra eroina lavora da Savoir, che a volte si occupa dell’immagine di qualche cliente e che si considera talmente capace di curare il modo di presentarsi degli altri da aver deciso di diventare anche imprenditrice di sé stessa e trasformarsi nella più parigina delle influencer. Sappiamo molto, è vero, ma se ci fermiamo a riflettere ci renderemo conto che in effetti non sappiamo niente e nemmeno Emily, che continua imperterrita a palesarsi a eventi e campagne pubblicitarie e fare incetta di lodi, senza tuttavia avere ben chiare quali siano esattamente le sue mansioni. Un capolavoro di trasformismo contemporaneo, simbolo dell’odierna necessità di essere tutto e niente, laddove l’importante è solo e soltanto presentarsi come la migliore.

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