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Emily in Paris 2 – Tra leggerezza e (basse) aspettative rispettate: la recensione

la casa de papel
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Sbarcata da solo un giorno sulla nota piattaforma di streaming Netflix, la serie tv Emily in Paris, recitata da Lily Collins e prodotta da Darren Star, parte bene, creata e distribuita per un pubblico che si aspetta di vedere esattamente questo: leggerezza, cliché e poche aspettative.

Distribuita in blocco si presenta come un’ottima possibilità di binge watching, essendo inoltre puntate di poco più di 20 minuti. In pochissimo tempo ci si trova a terminarla, un po’ desiderosi di continuare a svagare con la mente in qualcosa che sia solo un ottimo passatempo.

Emily in Paris – La prima stagione

Emily in Paris

Dramedy romantico, a tratti adolescenziale, la serie creata dalla stessa persona che ha dato vita a Sex and the City e Younger, segue le vicende della venticinquenne Emily Cooper, un’ambiziosa direttrice marketing di Chicago che ottiene inaspettatamente il lavoro dei sogni a Parigi, dove la sua azienda ha acquisito una compagnia di lusso francese e dove ora deve occuparsi di rinnovarne la strategia sui social media. Da subito, le cose per Emily non sembrano girare nel verso giusto, viene trattata con sufficienza a lavoro, fatica a farsi degli amici (non degli amanti che le cadono dal cielo) e viene anche mollata dal fidanzato, che di fatto a Parigi non la raggiunge mai.

La nuova vita di Emily è dunque costellata da avventure, fatte di divertimento, eventi, conquista dei colleghi di lavoro e del suo capo, il tutto chiaramente documentato in maniera ossessiva con il suo cellulare. Proprio nel tentativo di fare amicizia, oltre alla fidata Mindy, conosce Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu), il suo capo a Savoir, una donna con la quale instaura un rapporto di amore e odio che proseguirà nella seconda stagione. Ma bando alle ciance, la vera scoperta per Emily non è la Torre Eiffel, ma il suo vicino di casa: Gabriel, con il quale inizia un tira e molla fastidiosissimo che si concluderà solo nell’ultima puntata. Gabriel (Lucas Bravo) è un cuoco, sensibile e da subito palesemente incuriosito dall’americana. Ma se tutto fosse andato secondo i piani, non ci sarebbe il succo del discorso e tantomeno una trama. Quindi Emily pensa bene di fare amicizia con Camille, bella, intraprendente elegante e… fidanzata di Gabriel.

Insomma, la prima stagione è riassumibile con: Tanto alla fine arriva Gabriel, che potrebbe tranquillamente essere il sequel di How I Met Your Mother.

La seconda stagione di Emily in Paris

Tutto si apre con la ragazza che durante una corsetta mattutina, in cui rischia la vita più volte, ripensa agli attimi magici della notte passata con il vicino di casa. Ricordandosi poi che ha tradito l’amica che la crede una persona di cui ci possa fidare.

Da qui in poi le cose appaiono confuse, Emily sembra totalmente disinteressata a Gabriel, come se sapesse che lui è lì per lei ma non le importa più di tanto. Quindi, dopo che il week end con il suo nuovo amante/cliente fallisce miseramente, decide di declinare il viaggio in un tentativo disperato di far tornare Camille con Gabriel, perché nel frattempo si sono allontanati.

Camille, dopo essersi limonata mezza Saint-Tropez, capisce che le manca Gabriel e lo confessa all’amica che si dimostra comprensiva (e bugiarda). Tutto prosegue in maniera tranquilla, fino a quando Emily decide di organizzare una festa di compleanno in cui invita i 5 amici che è riuscita a farsi, di cui un collega a cui ha soffiato il lavoro, un’amica a cui ha soffiato il moroso, un capo che la detesta e uno strampalato che probabilmente passa più tempo a giocare a scacchi da solo che con le persone. Insomma, la cena perfetta.

La magia di una cena in mezzo alla strada (ma si può fare?) viene spezzata, quando Camille trova la padella di Gabriel in casa dell’amica e, dopo un brindisi in cui dichiara di aver scoperto tutto, se ne va.

Da qui in poi si alternano le costanti e ricorrenti vicissitudini della protagonista, che incontra sempre un nuovo ragazzo del quale sembra innamorarsi, ma poi torna sempre da Gabriel. Dal canto suo il povero chef malcapitato, nonostante i suoi errori, viene continuamente baciato e poi mollato da Emily, l’eterna indecisa, che a un certo punto avrebbe bisogno di qualcuno che le faccia presente che deve svegliarsi.

Focus sugli altri personaggi di Emily in Paris

Differente, in questa stagione, il focus del plot, che si sposta costantemente da un personaggio all’altro, dandoci la possibilità di conoscere qualcosa in più sugli altri personaggi, come Mindy (che trasforma la serie in un cartone musical in cui cantano ogni 2 minuti) e Sylvie, che ci delizia con un ottimo italiano.

Ancora una volta le vicende sono piuttosto scontate e finiscono nel trash, ma per chi guarda Emily in Paris è gioia per gli occhi.

Manca la focalizzazione sul personaggio di Gabriel, di cui continuiamo a non sapere assolutamente nulla, se non che è un sottone sia a livello lavorativo, stando agli ordini di altre persone, e in amore, balzando passivamente da Camille a Emily, del tipo “basta che una mi prenda”.

Il finale

Il finale chiaramente non ha spiazzato nessuno. Emily si trova al centro di un ammutinamento nel quale deve per forza prendere una posizione. Rimanere con il suo capo e tornare a Chicago oppure seguire la nuova azienda e i suoi ex colleghi, rimanendo di fatto a Parigi. La scelta, giustamente, è subordinata al vicino di casa, che ha deciso di andare a convivere con una Camille che, oltre a essere stata cornificata, si è pure scusata (ah, ok).

Insomma, tirando le somme di questa nuova stagione non possiamo che confermare le aspettative, basse ma pur sempre rispettate. Emily in Paris non pretende di essere ciò che non è, rimanendo una serie leggera, scontata e a tratti davvero trash. Carine le ambientazioni, a tratti troppo finte, e piacevoli le musiche (tranne la terza canzone cantata da Mindy).

Gli attori fanno il loro sufficiente lavoro, compresa Lily Collins, che a questo punto della sua carriera potrebbe osare di più.

Di fatto non la serie dell’anno, ma un ottimo binge per queste serate in cui si vuole solo staccare il cervello dopo una giornata lavorativa.

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