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Dov’è Mario? continua ad essere una meravigliosa anomalia

Con Dov’è Mario?, Corrado Guzzanti poneva un interrogativo – che era poi quasi un’invocazione -, ma dava anche una risposta: la commedia – o, piuttosto, la risata – è qui ed è viva, è attuale, è brillante, è profonda, è vivace. Sei anni, esattamente sei anni sono passati da quando Sky Atlantic scelse di mandare in onda i quattro episodi della serie tv scritta da Guzzanti (l’avete visto in LOL-Chi ride è fuori 2?) insieme a Mattia Torre. E oggi, dopo un tempo che sembra un’enormità rispetto a tutto quello che ci è passato e che ci sta passando in mezzo, la medesima questione continua a riproporsi, stavolta persino con più urgenza: dov’è la commedia in Italia? Un interrogativo – che è poi quasi un’invocazione – che resta penzolante, agganciato a rimorchio di questi nostri tempi cupi, perennemente procrastinato, spia di una crisi della risata che è lo specchio (quasi) perfetto dei giorni nostri. La serie tv di Guzzanti sembrava sgusciar fuori un po’ a sorpresa da un palinsesto ancora confortevolmente adagiato sui generi in via di sviluppo.

Un guizzo inaspettato, una boccata d’ossigeno.

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Le produzioni televisive di casa nostra hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni. Gli standard qualitativi dei prodotti made in Italy sono cresciuti. Il troppo italiano con cui Stanis La Rochelle canzonava la fiction generalista si è scontrato con una nuova realtà fatta di tanta qualità e poca approssimazione. Romanzo criminale, Gomorra, Suburra, L’amica geniale e tanti altri prodotti affini sembrano aver aperto uno spiraglio nell’offerta televisiva del nostro Paese, portando ad un livello nettamente superiore il grado di apprezzabilità delle produzioni nostrane. Nel genere drammatico e nel crime ci stiamo allineando ai gusti internazionali, pur conservando sempre una certa originalità. Ma sul versante delle comedy continuiamo ad essere perennemente in affanno. Il genere della commedia sta attraversando una fase di crisi che non è solo italiana, ma più generale. Noi ci trasciniamo però dietro l’aggravante di non aver mai voluto spingere realmente su un certo tipo di commedia, di cui invece in Italia si avverte la mancanza. Parecchio. Dopo la straordinaria e irriverente parentesi di Boris (arriva la quarta stagione), c’è stato poco o nulla.

E se per il pacchetto cinema il livello dei prodotti di questo tipo si è alzato e l’offerta si è notevolmente diversificata, sul fronte delle serie tv le novità migliori hanno riguardato quasi esclusivamente genere drammatico e crime.

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Un certo tipo di narrazione comica sembra destinata ad essere l’eccezione e non la regola. Ed è proprio in questo humus rassicurante che sei anni fa si intrometteva l’estro creativo di Corrado Guzzanti, con una trovata del doppelganger da commedia all’italiana, della cui apparente gratuità e banalità aveva riso lo stesso protagonista, intrappolato nella disgiunzione del proprio “io” tra il grigiore austero di un professore da talk show e la volgarità aggressiva di un comico da cabaret. Dov’è Mario? punge, scompagina, azzarda, stimola, provoca. E in un panorama televisivo in cui la commedia tende ad essere sempre familiare e rassicurante, insensibile alle sollecitazioni del guizzo satirico, un’opera che viene dalla penna di Guzzanti è una prelibatezza eversiva, un necessario atto di disordine e sovvertimento. In Dov’è Mario? i personaggi sono realmente personaggi, i drammi sono realmente drammi e c’è quella punta di thrilling – non guardare Masterchef, è un format della massoneria internazionale! – che riesce ad apparecchiarti una commedia sottile sull’ossatura della tragedia. Che è poi la tragedia di quella stessa società, di quella stessa cultura e di quella stessa politica che Guzzanti più di ogni altro – meglio di ogni altro – ha saputo prendere per i fondelli.

Mario Bambea è il frutto marcito e invecchiato di una frangia radical chic abituata a stazionare nei salotti televisivi e a masticare un linguaggio incomprensibile e distaccato, messo in pericolo dall’immediatezza di certi codici popolari molto più accessibili ed efficaci, codici che Bizio Capoccetti – alter ego un po’ cafone di Bambea – maneggia con abilità e dimestichezza. È l’istantanea di un presente ripiegato su se stesso che possiamo scorgere ancora oggi tra le righe di questi tempi deprimenti e scoraggianti, di cui Dov’è Mario? riesce a leggere i contrasti e le dissonanze. Corrado Guzzanti d’altronde è il mago dell’affondo: sa raccontarti la realtà in modo anche traumatico, destrutturante. Ma lo fa accendendo il pensiero, non spegnendolo. L’Italia ha un gran bisogno di questa risata qui. Una risata che non sia solo sganascio, ma anche e soprattutto finezza, intelligenza, sottigliezza.

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Ecco, di autori così, destabilizzanti e geniali, in grado di scuotere e punzecchiare senza necessariamente forzare la mano o rotolarsi per terra, la nostra televisione avrebbe un gran bisogno.

Dov’è Mario? è una serie perfettamente combaciante con i nostri tempi, prova ulteriore che la penna di chi l’ha scritta non si è fermata alla facciata, alla superficie, ma è stata capace di penetrare la complessità e restituircela sotto forma di sorriso. È un’operazione talmente sottile che non tutti riescono a compierla. Quantomeno non con lo stesso effetto. Dov’è Mario? è sintesi e genialità, decodificazione antropologica e satira sferzante. Ma di tutto questo nemmeno ci accorgiamo. Quello che vediamo è il linguaggio di Guzzanti declinato secondo gli schemi della serie tv. Un linguaggio un po’ a sé, sgrammaticato, pieno di neologismi, termini inventati e giochi di parole – Dottor Jekyll e Mr Aids -, un linguaggio che messo in bocca a un altro non avrebbe neppure senso e invece addosso ai suoi personaggi calza alla perfezione, diventa vivo.

Ridere e vergognarsene un attimo dopo, empatizzare e prendere le distanze: Dov’è Mario? abbraccia intervalli diversi e li racchiude entro un’unica, impeccabile scrittura. Che non va in affanno, non eccede, resta accesa.

In Italia c’è domanda di comedy di questo tipo, ma mancano le sponde. Boris, Dov’è Mario e pochissimi altri esempi nel nostro panorama seriale hanno saputo intercettare l’esigenza di una risata non necessariamente sguaiata e neppure confinata entro le gag rassicuranti della commedia familiare. La serie di Guzzanti – alla quale non a caso ha lavorato Mattia Torre, che è stato autore di Boris – avrebbe meritato un seguito, degli emulatori. Un progetto era stato pure predisposto, ma Sky decise di non continuare. Da allora, quanto poco si è mosso nel mondo della commedia televisiva italiana? La sensazione è che tutto sia fermo, stagnante. Perché è tanto difficile fare televisione come l’ha fatta Dov’è Mario? Che poi è una serie, ma somiglia a un film lungo. Appena un assaggio, sufficiente però a portare a termine un’operazione complessa: trasporre la satira negli schemi della serie tv. La comicità è una specie di scintilla che però ancora in pochi sembrano davvero in grado di poter accendere in un certo modo.

Dopo aver recuperato per l’ennesima volta quella meravigliosa anomalia che è la serie di Corrado Guzzanti, non ci resta che da dire essenzialmente due cose: la prima è che se non avete ancora visto Dov’è Mario?, su Sky On Demand la serie è ancora interamente disponibile e dovreste correre a guardarla: questi ultimi sei anni non sembrano davvero passati. La seconda è che, se l’avete vista – e se siete nostalgici de Il caso Scafroglia, L’ottavo nano, Aniene e compagnia bella, dovete per forza averla vista – e avvertite come una sensazione di tristezza mista a rimpianto all’altezza del petto, dovreste comunque correre a guardarla di nuovo. Ne sarà valsa ancora una volta la pena. Dopotutto, quando in scena c’è Corrado Guzzanti, non si ha voglia di guardare più nient’altro. Non più.

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