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Ho visto con diversi anni di ritardo il primo episodio di Dark

Da quando nel 2017 è uscita la prima stagione di Dark, della serie si è sentito parlare tanto e il più delle volte bene. Anche dopo la sua conclusione con la terza stagione non è mai stata dimenticata e la recente uscita (con annessa repentina cancellazione da parte di Netflix) di 1899 non ha fatto altro che ricordare al suo pubblico sparso in tutto il mondo quanto questa serie fosse un gioiello. Eppure, come ho già avuto modo di ammettere con pentimento e un mea culpa grande quanto una casa, io del pubblico della più famosa tra le serie tedesche, ideata e diretta da Baran bo Odar, non faccio parte. O meglio, non ne facevo parte fino a ieri.

Anno nuovo vita nuova, si dice. E io mi sono detta anche un’altra cosa: “Martina, sei convinta di volerti perdere una serie cult di cui ti hanno parlato solo bene e che sembra proprio essere nelle tue corde? Perché continui a procrastinare questa visione?” E quindi eccomi qui, appena entrata con un ritardo di soli sei anni in un universo narrativo dal quale per tanto tempo mi sono inutilmente tenuta fuori. E ora che ci sono dentro – anche se da sole tre puntate – già non so come farò a uscirne.

Cominciare una serie uscita tanto tempo fa significa non godere del privilegio di non saperne niente

Soprattutto se nella vita ti interessi di serie tv – a maggior ragione se te ne occupi – è impossibile iniziare una serie datata 2017 senza avere qualche spoiler sul suo svolgimento. Nel mio caso, però, le informazioni di partenza che avevo su Dark, una delle serie tedesche per eccellenza, per fortuna non erano tantissime. Sapevo già che ci sarebbe stata un’ulteriore scomparsa oltre a quella di Erik e sapevo anche che il colpevole non è un “semplice” rapitore seriale di bambini. Per il resto, però, le mie conoscenze erano più o meno le stesse di una persona che ne ha affrontato la visione al momento giusto.

Dark
Mikkel Nielsen (640×360)

Solo pochi minuti dopo aver premuto play e dato inizio alla visione del primo episodio di questo cult Netflix ho detto a me stessa “Ok, bene, sei appena entrata in un’altra serie dalla quale uscirai con una buona dose di sindrome da abbandono”. Per spiegarmi meglio, io chiamo sindrome da abbandono da serie tv quella sensazione di vuoto interiore che si prova quando ci si appassiona tanto a una serie, ci si affeziona ai personaggi, ai luoghi, insomma a qualunque cosa la riguardi e poi questa serie, come è normale che sia, finisce. Ecco, al minuto dieci della prima puntata di Dark ho già immaginato me stessa quando fra qualche giorno o alla peggio fra qualche settimana la finirò, stesa sul mio letto con il sottofondo musicale di The Sound of Silence. Cominciamo bene.

Tutto ciò per dire che Dark ci ha messo davvero poco ad appassionarmi.

Non si può certamente dire che il primo episodio proceda a rilento. Se è vero che l’inizio di una serie deve necessariamente essere un po’ più descrittivo delle puntate successive, per far entrare gli spettatori in un contesto nuovo e farglielo conoscere abbastanza da non farlo sentire spaesato, è altrettanto vero che di cose ne succedono eccome. Neanche il tempo di partire e abbiamo già un suicidio, per poi passare subito a una relazione extraconiugale, una quantità abbastanza elevata di pillole e calmanti e, dulcis in fundo, la scomparsa di un bambino. A proposito di questo, qualcuno dia il Premio fratello dell’anno a Magnus, che in piena sera decide di portare il suo fratellino a rubare della droga con lui e i suoi amici.

Insomma, non ci facciamo mancare niente. Ma ciò che davvero cattura lo spettatore e lo induce, dopo il finale, a guardare subito la puntata numero 2 è – oltre ovviamente alla volontà di conoscere il destino del piccolo Mikkel – la presenza di dubbi e curiosità messe sul piatto e alle quali non viene ovviamente data ancora risposta. Cosa succede nella centrale nucleare? Cosa c’è scritto nella lettera lasciata dal padre di Jonas prima di impiccarsi? Chiaramente non vedo l’ora di scoprirlo.

Dark (640×360)

E proprio la presenza della centrale mi permette di notare alcune similitudini tra il primo episodio della serie creata da Baran bo Odar e Jantje Friese e l’inizio di un’altra serie dei record. Parlo ovviamente di Stranger Things. E la centrale nella quale avvengono cose palesemente losche non è l’unica cosa in comune che hanno le due serie Netflix in questione. La ricerca di un bambino scomparso, l’ambientazione in una cittadina noiosa e immersa nel nulla e la presenza di dimensioni passate (sì, l’ho detto, non ce l’ho fatta a limitarmi alla prima puntata) sono elementi ricorrenti in entrambe le storie. E, lungi dal pensare che possano essere due serie fotocopia, queste somiglianze con Stranger Things non fanno altro che aumentare in me la voglia (già parecchia, devo dire) di continuare a scoprire dove questa storia mi porterà.

Mistero, inquietudine e stranezze proprio non mancano in questa prima puntata

Ammetto di non essere una grande conoscitrice delle serie tedesche, ma da ora in poi prometto di guardarle con una fiducia diversa. I tasselli per creare una serie drammatica bella e di successo ci sono tutti, e sono tutti perfettamente ordinati. Non ho ancora la più pallida idea di cosa stia succedendo né di dove l’idea di Baran bo Odar mi farà arrivare, ma già so che sarà tutto estremamente complesso e intricato. E mi piace. So anche che probabilmente diventerò, come buona parte di coloro che l’hanno vista, una grande fan di Dark, una di quelle che ne parla a cena con gli amici e la consiglia a chi ancora non l’ha vista. Magari avrò anche un’aria saccente e dirò qualcosa come “No, ma come hai fatto a perdertela in tutti questi anni, devi assolutamente vederla”, più che altro per cercare di dimenticare le mie stesse scellerate scelte seriali. E continuerò a pentirmi di non averla vista prima.

Jonas Kahnwald (640×360)

Beh, indietro ormai non posso tornare, ma quello che posso fare è recuperare il tempo perduto. E quindi mi sa che è arrivato il momento di chiudere WordPress e aprire Netflix, ho un’altra puntata che mi aspetta.