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C’è poco da dire: Call me Kat non ce l’ha fatta

Qualche giorno fa, ho passato un’intera giornata a guardare Call me Kat, sitcom della Fox con protagonista Mayim Bialik. Da persona completamente innamorata del genere comedy e nello specifico della sitcom, avevo proprio bisogno di qualcosa di nuovo da guardare per non finire – per l’ennesima volta – a fare rewatch di Seinfeld, Friends e della serie con cui spesso viene messa a confronto, How I Met Your Mother come se l’industria seriale non abbia sfornato dopo di loro un’infinità di altri titoli. E così, grazie a un suggerimento dall’alto, ho incrociato sul mio percorso Call me Kat. E non avevo nessuna idea della sua esistenza, motivo per il quale l’ho guardata con tanto entusiasmo e senza pregiudizi di alcun tipo. Non ho letto neppure la trama, mi ci sono tuffata di testa e – lasciate che ve lo dica – non mi sono accorta di essermi tuffata direttamente su uno scoglio.

Ebbene sì, Call me Kat è – purtroppo – fatta davvero, ma davvero male. Così, dopo aver guardato tutti e tredici gli episodi della prima stagione, dopo aver sentito la necessità di prendermi dei giorni di tempo per elaborare cosa avessi appena visto, ho sentito necessario doverne parlare qui e spiegarvi perché Call me Kat purtroppo non ce l’ha fatta. Mi dispiace Fox, mi dispiace Mayim Bialik, ma è la verità.

C’è un principio fondamentale che bisogna sempre tenere a mente quando si guarda o si scrive una serie comedy e – a maggior ragione – una sitcom e questo principio è che non bisogna strafare. Nella comicità il troppo stroppia sempre. Cosa vuol dire questo? Non bisogna provarci troppo, la battuta non deve essere il fine ultimo della serie. Creare una situazione assurda e cercare in ogni modo di trovare uno spunto divertente e ingigantirlo per provocare a tutti i costi una risata, non funziona mai. E vi dirò di più, al 90% quella battuta risulterà molto imbarazzante e capace di farvi provare la stessa sensazione di disagio e smarrimento di quando fate il sogno ricorrente di ritrovarvi nudi davanti a una platea.

Ecco, Call me Kat fa proprio questo. Prende le battute più stupide e idiote che si possano pensare, unisce un numero spropositato di freddure che ti fanno sentire il gelo nelle ossa come succederebbe se fossi al Polo Sud, ci aggiunge troppe battute sull’essere zitella a quarant’anni e ci unisce un numero di giochi di parole che – per omaggiare il Mago Forrest a LOL Chi Ride è fuori – di solito fanno solo male fisicamente agli organi ed ecco a voi la comicità di Call me Kat. Che poi chiamarla comicità, farebbe bruciare il fegato a chiunque.

call me kat
Call me Kat (640×359)

Call me Kat non fa ridere perché è tremendamente disperata e piuttosto ti fa sentire in imbarazzo. I giochi di parole e le battute sui gatti poi sono tra le cose meno divertenti che io abbia mai visto, per non parlare dell’orribile scelta di far parlare direttamente Kat, la protagonista interpretata da Mayim Bialik, con il pubblico. Comincia a farlo nella prima scena del pilot e per qualche istante pensi pure che sia un’espediente interessante, che possa – in qualche modo – rifarsi a un elemento delle sitcom un po’ vecchio e superato anche per la Fox, ma che forse potrebbe funzionare. Peccato che se si fosse limitato alla prima e forse all’ultima scena sarebbe stato meglio, perché riportare lo stesso espediente in tutto l’episodio con questa che dal nulla parla allo spettatore anche piuttosto velocemente, non è affatto divertente, ma distrae solo.

Non è una relazione con il pubblico furba, non sa sfruttare la rottura della quarta parete, sa solo uscire dal momento drammatico che sta vivendo provando a strappare una risata che però non può arrivare perché – appunto – spezza la costruzione dell’empatia dello spettatore verso il personaggio. Ed è la cosa più sbagliata che si possa fare.

Perché, lo spettatore delle sitcom e nello specifico di questa sitcom della Fox con protagonista Mayim Bialik, per ritrovarsi a ridere di una battuta, deve essere immerso nella scena, sentirsene quasi partecipe ma non coinvolto in prima persona.

Si ride delle disgrazie altrui, proprio perché – seppur familiari con situazioni reali – in quel momento non ti riguardano. Intervenendo a chiamare direttamente lo spettatore nella situazione in questione non si susciterà la risata empatica, ma solo un grande imbarazzo di chi guarda nei confronti di chi agisce. Tremendo, terribile, assolutamente da non rifare se chiedete a me.

E no, seppure il rompere la quarta parete funzioni per altre serie tv, in Call me Kat avrebbero solamente dovuto evitare perché risulta forzato come è forzata la tua risata quando un amico incapace di dire barzellette te ne dice una e alla fine ti da una gomitata scherzosa ridendo per farti capire che sta arrivando la conclusione e dopo si ride. Non ridi perché è divertente, fingi di ridere perché sembra così fiero della sua battuta che potresti fornirgli materiale per la psicoterapia per i successivi quindici anni se non lo facessi, ecco. Perciò ridi e speri che non si accorga che stai fingendo.

call me kat
Call me Kat (640×358)

Ma di base, di cosa parla Call me Kat? Questa storia della Fox parla di una donna di quasi quarant’anni, interpretata da Mayim Bialik, che vive da qualche parte in Kentucky, che possiede un cat-café (che – per la cronaca – tutto sembra tranne che un cat-café) e subisce le pressioni di sua madre perché non ha un compagno. Lo slogan della sua locandina è “Delude sua madre dal 1982“, un tentativo disperato – se chiedete a me – di provare a far avvicinare il pubblico alla serie con qualcosa in cui tutti possono ritrovarsi. Ma l’ho trovato profondamente stupido come il resto della serie a dire il vero.

Stando a quanto ho letto successivamente, quando – dopo aver guardato un’intera stagione di questa che si mette in ridicolo in tutti i modi possibili – mi sono ritrovata a guardare la sua pagina Wikipedia per provare a capire un po’ di più sulla sua origine e ho scoperto che è basata sulla sitcom britannica Miranda. Adesso, io non so come sia Miranda, ho visto solo qualche spezzone di episodio perché era una delle tante serie in cui ha recitato Tom Ellis e di cui non ci si ricorda ai tempi in cui ero ossessionata da Lucifer e non mi è sembrato granché divertente nemmeno quello, ma spero comunque sia diversa da Call me Kat. Per fortuna già la trama sembra portare su strade diverse, il che è super positivo, l’unica somiglianza che mi sembra di cogliere più superficialmente è quella di Mayim Bialik con la protagonista inglese.

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Call me Kat (639×360)

Perché pensate dover guardare un’altra serie tv che prova a convincerti che può farti ridere con ottocentomila battute sui gatti, nomi di bevande con riferimenti ai gatti, battute che dovrebbero essere irriverenti, ma che diventano volgari e idiote quasi al pari di quelle dei cinepanettoni e l’infinità di stereotipi che propina, insomma, è una tortura. E riguardo le battute volgari, ma ancora più che volgari stupide e da barzelletta di Pierino raccontata dai compagni delle medie, voglio solo ricordare al mondo che i doppi sensi sulla parola “palle” non sono divertenti se hai più di tredici anni, così come non lo è la parola diarrea. Cacca, culo, scoregge, insomma “parlare sporco” – come direbbe il maestro Lenny Bruce – non è divertente se non si sa come farlo, anzi diventa patetico.

Questa serie della Fox non ce l’ha fatta. Non ce l’ha fatta e non capisco come abbia potuto ottenere il rinnovo per una seconda stagione quando già il primo episodio doveva essere indicativo di quanto facesse pena e di quanto il mondo non avesse bisogno di questa serie tv. Anzi, forse avrebbero dovuto risparmiare i soldi della produzione e investirli di qualcosa di sicuramente più utile come ad esempio, un corso su come sceneggiare le comedy e nello specifico le sitcom o semplicemente reindirizzare i fondi per un’altra storia di sicuro più valida di questa.