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Il vero significato della quinta stagione di Bojack Horseman

Tu dici che vuoi stare meglio, ma non sai come fare“. È questa la tag-line scelta per la quinta stagione di BoJack Horseman e, anche se è pronunciata da Diane verso BoJack, è chiaro che si tratta di una conclusione a cui tutti i personaggi (e, forse tutti noi) giungono impotenti. Come sempre BoJack Horseman, attraverso la sapiente penna di Raphael Bob-Waksberg, riesce a trattare numerose tematiche durante le sue puntate. La quinta stagione non si sottrae a questa regola ma prova evidentemente a concentrarsi su alcune più che su altre. In questo senso, cosa c’entrano Nietzsche, Bukowski e il concetto di fantasma con la storia dell’uomo-cavallo?

Come spesso accade, per trovare le risposte alle domande più complesse è necessario partire dalla fine. La puntata 5×11, come da tradizione in BoJack Horseman, è il picco emozionale dell’intera stagione, nonché il punto più basso toccato da BoJack. La tematica del parallelismo con il personaggio che interpreta, Philbert, già evidenziato nella prima puntata, degenera completamente in The Showstopper, in quanto si unisce a quella, collegata, della persecuzione.

bojack horseman

La risposta ad entrambi gli aspetti, tuttavia, è la stessa: se stesso. Chi è Philbert? È BoJack. Da chi è perseguitato BoJack? Da BoJack.

La sovrapposizione tra la serie e la realtà, stimolata dall’effetto dello sconsiderato uso degli antidolorifici che l’attore fa, comporta conseguenze disastrose, culminate nel tentativo di strangolamento di Gina.

In molti, vedendo, la stagione, possono aver pensato che la svolta narrativa sia giunta nel momento in cui Diane e BoJack litigano alla première di Philbert. In realtà, la vera svolta avviene prima, nella puntata 5×07, INT. SUB, episodio in cui Diane decide di vendicarsi di BoJack facendogli rivivere uno dei suoi incubi (la disavventura in New Mexico) nello script della serie. Da quel momento BoJack diventa sempre più dipendente dalle pillole e sempre più perseguitato dal fantasma di Philbert che, come nella serie, si rivela essere se stesso.

Nella 5×11, infatti, alla fine della scalinata frutto del suo viaggio mentale stimolato dai medicinali, BoJack trova il gigantesco pupazzo fluttuante che rappresenta se stesso nei panni del detective della serie. BoJack scopre che il suo fantasma è se stesso.

Scoprire che l’origine di tutti i problemi della nostra vita siamo noi assomiglia al concetto del serpente che si morde la coda. Chi ha masticato un po’ di filosofia saprà che Nietzsche ha fatto sua questa idea per argomentare una delle principali teorie della sua opera: l’eterno ritorno. In diverse puntate, nello studio di Flip notiamo una lavagna in cui sono scritti alcuni spunti per la storia di Philbert, e tra questi c’è il nome Nietzsche cerchiato in rosso: un chiaro messaggio non solo per Philbert, ma anche per BoJack.

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Secondo Nietzsche (che riprende una concezione già elaborata dallo stoicismo) l’universo è scandito da cicli temporali fissi, che si ripetono eternamente e comportano, dunque, che sia sempre uguale a se stesso. La scommessa dell’Oltreuomo è riuscire ad astrarsi da questo ciclo e osservarlo dall’esterno:

“Ogni cosa che l’uomo crederà di aver creato sarà già stata creata, e non una volta, ma infinite volte. Se però vediamo l’altra faccia dell’eterno ritorno vedremo che ogni nostra piccola scelta entrerà nell’eternità del tempo, continuerà in eterno a vivere oltre la nostra vita. Ogni nostra opera sarà un frammento dell’eternità”.

Questa parte di Così parlò Zarathustra ricorderà, ai più attenti, il presupposto filosofico da cui parte Rust Cohle in True Detective per spiegare ai detective il suo modo di vedere il mondo e il tempo. “Il tempo come cerchio piatto” è un’idea che spinge l’uomo ad arrendersi di fronte all’impossibilità non solo di cambiare gli eventi, ma soprattutto di evitare di ripetere cose che, all’infinito, sono state già fatte.

In questo senso, BoJack Horseman compie un eterno ritorno a se stesso: continua a distruggere la sua vita, se stesso, le persone che lo amano. Quando sembra che abbia imparato la lezione, torna a commettere all’infinito le cose che lo hanno reso miserabile fino a quel momento. Come risponde la quinta stagione? Pragmaticamente con il ricorso alla riabilitazione per tossico-dipendenti. Astrattamente, però, questo non cambierà le cose. Lo stesso BoJack afferma che se riuscirà a disintossicarsi sarà comunque “stronzo, ma sobrio. Ciò che ritorna è dunque la domanda della 1×11:

“Diane, è troppo tardi per me? Sono condannato ad essere la persona di quel libro?”.

Ma c’è un’ulteriore svolta che ci viene proposta: per la seconda stagione di BoJack Horseman, dalla lavagna Nietzsche viene cancellato e al suo posto troviamo scritto “Bukowski“.

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La tematica Bukowski può sottintendere diversi messaggi in realtà, ed è complesso comprendere cosa gli autori di BoJack Horseman volessero dirci con questa mossa. Charles Bukowski è considerato uno dei più tormentati poeti contemporanei, e si dice che molte delle sue opere facessero riferimento al suo modo di essere e di vivere. Dipendenza dall’alcol, rapporti difficili con le donne, la ludopatia (in particolare amava le corse dei cavalli, curioso no?), sono alcune delle caratteristiche che hanno reso Bukowski uno degli autori più popolari dell’ultimo secolo.

Ma il sostituirsi a Nietzsche, forse, può far presupporre una maggiore aderenza a concetti terreni, carnali, rispetto alle analisi del filosofo tedesco? A livello metafisico, BoJack può affidarsi al triste eterno ritorno della sua impossibilità di cambiare, ma a livello pragmatico, andando in riabilitazione, può provare a risolvere almeno una parte dei suoi problemi: è questo è il passaggio da Nietzsche a Bukowski?

BoJack, dunque, non ha perso completamente le speranze. Lo vediamo anche nella puntata capolavoro, Free Churro (5×06), in cui durante il funerale che lui crede essere della madre, dichiara tutta la sua umana vulnerabilità affermando di aver sperato fino all’ultimo di avere una parola, uno sguardo di riconoscenza dalla madre. Ha avuto solo un I.C.U., inizialmente interpretato come “I see you“, ma poi preso per quello che tristemente è: la sigla del reparto di terapia intensiva che la madre deve aver letto nei suoi ultimi istanti. Questo è BoJack Horseman: crudo, intenso e disarmante realismo.

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