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Black Mirror ha davvero un buon motivo per essere “più ottimista”?

Sì, lo so che state pensando: l’ennesimo articolo in cui ci si lamenta di Black Mirror, discutendo su quanto sia peggiorato negli anni e in cui si dipingono i peggiori scenari. Se non siete d’accordo con noi su questa breve, esagerata, ma veritiera premessa, potete subito rassegnarvi: si parlerà proprio di quello.

Come un amante insoddisfatto cerca qualsiasi occasione per lamentarsi dell’oggetto del proprio amore con chiunque gli capiti a tiro, qui verrà fatto lo stesso con Black Mirror. Perché la verità è che non c’è mai stata un’altra serie capace di sconvolgerci così tanto, di ribaltarci le viscere, di impressionarci a un livello così epidermico. Per questo ci dispiace che il fantasma del conformismo, dell’obbligo a capitalizzare, della mancanza di idee abbia lambito anche lei.

Del declino di Black Mirror vi abbiamo parlato approfonditamente in più occasioni. Abbiamo tragicamente sancito la sua “morte” qui, abbiamo provato a spiegare le ragioni del suo declino, abbiamo detto la nostra riguardo il recente esperimento di Netflix Italia, Black Game. Di recente Charlie Brooker ha dichiarato che la sua creatura sarebbe diventata più ottimista. E la cosa, francamente, ci lascia interdetti. Più ottimista di quanto lo fossero alcuni episodi dell’ultima stagione?

Vuole rendere Black Mirror La casa nella prateria?

black mirror

Spiazzati, ci siamo domandati cosa intendesse Charlie Brooker con “più ottimista”. Secondo la definizione dello stesso creatore dello show, la volontà è di creare episodi radicalmente diversi da quelli delle prime due stagioni, non solo distopici e oscuri. I risultati sono sotto i nostri occhi. Dalla penultima stagione si è sensibilmente alzato il livello dell’ottimismo, i finali sono diventati meno machiavellici e senza uscita, la morale meno cinica.

A discapito, rileviamo, di ciò che rendeva Black Mirror se stessa, ovvero l’induzione al ragionamento, l’urgenza del domandarsi perché. L’impossibilità di farne indigestione, la necessità di centellinarla, per fare sì che ogni episodio sedimentasse in noi una riflessione. Il deterioramento della serie è tutto qua: puntate senza più l’anima di una volta, che ti gasano invece di metterti un’ansia senza risposta.

Ma Black Mirror non è solo decadenza, sprofondamento in se stessa. Con la penultima stagione, occasione che ha segnato l’entrata in scena del colosso Netflix, la serie ha avuto benefici da subito evidenti. Un notevole innalzamento del budget, innanzitutto. Non che le prime stagioni fossero amatoriali, ma il tocco magico del colosso dello streaming ha alzato ulteriormente il livello degli effetti speciali, per dirne una. Una puntata come USS Callister, nella vecchia Black Mirror, sarebbe stata probabilmente impensabile.

Parimenti all’aumento del budget sono iniziate anche le comparsate di attori conosciuti e importanti, o meglio sono esponenzialmente aumentate. Se prima avevamo “la creatura di Penny Dreadful“, ora abbiamo “Bronn del Trono di Spade“, “la Madre” e presto avremo “Hanna Montana”.

Black Mirror

L’ammorbidimento di Black Mirror, il restyling emotivo a cui si è sottoposto, non è un male a tutti gli effetti. Consente alla serie di arrivare a tutti, di essere vista, commentata, interagita da milioni di fan in più. Senza una marcia indietro sulla linea oltranzista della vecchia Black Mirror, non avremmo avuto Bandersnatch, prima (e unica) puntata interattiva. Ci si può interrogare sulla riuscita o meno dell’episodio, ma resta innegabile l’apporto in pubblicità e il ritorno economico generato dalla puntata speciale.

In sintesi, Black Mirror è cresciuta, ha smesso i panni dell’adolescente vestito di nero e dedito alla lettura di Schopenhauer e al disegno della frase No future sui muri. Ora indossa quelli di un giovane uomo moderato, salottiero e pronto a negoziare sulle proprie posizioni. Da un punto di vista smaccatamente purista potremmo dire: Charlie Brooker ha sbagliato. Black Mirror non ha nessun motivo di essere più ottimista, Black Mirror è “morta”.

No future.

Invece vogliamo dimostrare di essere comprensivi. Capiamo le ragioni per cui Charlie Brooker si è messo alla macchina da scrivere (ci piace immaginarlo così), e ha scritto due stagioni e una puntata speciale un po’ meh. Non lo critichiamo per aver scelto l’esposizione mediatica massiccia, il forte afflusso di denaro in cassa, gli accordi prestigiosi con Netflix, al di sopra della sua poetica.

Dopotutto, è la Black Mirror che amiamo che ci ha insegnato a essere cinici, a non fidarsi di nessuno, a non credere nel cambiamento. E coerenti con la serie che abbiamo amato, o meglio con il suo fantasma, diciamo: vai, Charlie Brooker, e fai grandi cose. Il mondo ha bisogno della tua morale, della morale di Black Mirror, seppure annacquata e diluita con ettolitri di buonismo. Viviamo in tali tempi oscuri, da aggrapparci anche a una flebile luce di speranza.

Una luce che arriva a noi da una stella forse ormai morta, ma che spande ancora per l’universo la sua forza.

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