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Charlie Brooker, non mollare: abbiamo bisogno di Black Mirror più che mai

Charlie Brooker, showrunner e creatore di Black Mirror, avrebbe accantonato per il momento la stesura di una sesta stagione. Perché:

Il mondo è già abbastanza triste per vedere storie su società che vanno a pezzi.

In questo momento si starebbe concentrando più sulla sua vena comica, che avevamo in effetti intravisto in episodi come USS Callister o Rachel, Jack e Ashley Too (che noi però abbiamo smontato qui).

Black Mirror

Black Mirror si è avvicinata troppo alla realtà da rischiare di imitarla o peggio, ispirarla? Non abbiamo la presunzione di dire ciò. Quello che è certo è che abbiamo bisogno di ridere tanto quanto abbiamo bisogno di riflettere. E Black Mirror, soprattutto quella delle origini, di Channel 4, aveva la straordinaria capacità di essere una cartina di tornasole per le nostre debolezze, i nostri vizi di società sull’orlo di una crisi che, puntualmente, si è verificata.

Il nodo, in realtà, non è una presunta crisi creativa di Brooker o la volontà di intristire i suoi spettatori, già sufficientemente provati dalla quarantena: il problema con cui una sesta stagione andrebbe a scontrarsi è la sempre più impercettibile vicinanza tra reale e immaginario.

In uno scenario del genere, immaginare una sesta stagione che trattasse i temi della pericolosa gemellanza con la tecnologia, come se niente fosse successo, sarebbe impossibile. Black Mirror si è sempre nutrita degli umori della società, aggiornandosi in base alle mode del momento e in alcuni casi anticipandole.

Black Mirror

Black Mirror potrebbe essere, di nuovo, lo specchio deformante della nostra società.

Il materiale, anche senza sforzarsi troppo, c’è tutto: un virus letale, il confinamento che rende indispensabile l’orgia di tecnologia (unico vettore con l’esterno), app che tracciano gli spostamenti e monitorano lo stato di salute delle persone, la paranoia e la diffidenza verso gli altri. Insomma, il pane quotidiano dell’opera distopica acquisita da Netflix c’è tutto.

Forse Brooker teme la concorrenza con la realtà.

Facile immaginare società future in cui i diritti umani sono un vago ricordo, meno semplice è ipotizzare una realtà in cui, con la scusa della pandemia, la tecnologia diventa un’arma per violare i più basilari diritti umani (come stanno facendo in Cina ma anche nella più vicina Ungheria).

Ma ciò non cambia il fatto che non abbiamo mai avuto più bisogno di Black Mirror, per capire il mondo e crearci gli anticorpi per vivere in esso.

STRANGER THINGS BLACK MIRROR

Proprio come in The Walking Dead, in cui gli zombie sono un pretesto per mostrare la perversione ma anche l’ingegno della natura umana posta in condizioni estreme, in Black Mirror la tecnologia è sempre stata il mezzo, non il fine. Personalmente, l’episodio che mi ha sempre fatto una certa impressione è Messaggio al Primo Ministro: forse quello meno ingordo di tecnologia, ma quello che mostra meglio i rapporti umani e la degenerazione delle persone quando il virus (che sia tecnologico o pandemico, poco cambia) si mette in mezzo.

Una sesta stagione di Black Mirror sui temi suscitati da questo lockdown potrebbe essere il coronamento di un percorso che, con alti e bassi, ha sempre riflesso il volto più inquietante della società. E nessuno vieta a Charlie Brooker di inserire un elemento di comicità o di speranza: se ne sono visti anche durante questa pandemia. Non snaturerebbe la serie, che comunque aveva già intrapreso una strada molto più politically correct dall’acquisizione da parte di Netflix.

Perciò, Charlie Brooker non mollare: abbiamo bisogno più che mai del genio distopico di Black Mirror. Se non altro per immaginare soltanto, e non più vivere, il peggiore dei mondi possibili.

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