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Black Mirror – Cos’ha realmente voluto dirci Charlie Brooker con Bandersnatch

Charlie Brooker ha colpito ancora, stavolta regalandoci Bandersnatch per Natale. Un singolo episodio di Black Mirror che, proprio come White Christmas alcuni anni fa, è stato un pugno nello stomaco più potente dello zampone di fine anno. Certo, Black Mirror ci ha abituati già da molto a inquietanti sessioni di entertainment dalle quali si esce pieni di rinnovata fiducia nel genere umano. Tuttavia, stavolta Brooker ha voluto fare qualcosa in più per renderci partecipi alla sua distopia. Bandersnatch infatti si presenta come un film interattivo per la tv, in cui lo spettatore può decidere le sorti della vicenda con una scelta multipla che gli viene posta sullo schermo. Non qualcosa di nuovo per gli appassionati di videogame, ma assolutamente intrigante per molti altri.

Black Mirror

Tuttavia, per quanto insolito, Bandersnatch si mantiene su una linea narrativa coerente con il messaggio che Brooker ha cercato di mandarci quasi in ogni episodio di Black Mirror.

Ognuno di questi, infatti, nella sua distopica esposizione di una realtà futura, tanto cruda quanto probabile, non punta semplicemente a mostrarci le implicazioni del progresso tecnologico. Ogni puntata, a suo modo, sottolinea il contrasto tra uomo e macchina mostrandoci l’intima essenza di ciò che li differenzia: il libero arbitrio. Ci sono stati episodi come “Be right back” che hanno mostrato questo contrasto esplicitamente, e molti altri che lo hanno fatto in maniera sottile. Ma tutti loro hanno cercato di veicolarci lo stesso messaggio: lo strumento tecnologico, per quanto potente, non è l’essere umano, dotato (seppur nella sua fallibilità) di coscienza e capacità di discernimento. La differenza tra i mezzi tecnologici (di qualunque natura essi siano) e l’essere umano, è quella componente vivida e senziente del nostro essere che ci rende consapevoli dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Black Mirror ci mostra la tecnologia per quello che è: servo inconsapevole di azioni per le quali noi, come uomini e società, siamo pienamente responsabili. Il che ci rende altrettanto responsabili di tutte le eventuali implicazioni.

Black Mirror
Black Mirror non punta il dito contro il progresso tecnologico mostrandoci a cosa andremmo incontro con esso. Critica il modo in cui noi decidiamo di servircene.

La serie di Charlie Brooker ha sempre voluto porre l’accento sul libero arbitrio di cui siamo titolari. Bandersnatch ne ha semplicemente fatto un messaggio più esplicito, in cui l’interattività diventa strumento accessorio, interessante ai fini della narrazione e della riflessione che ne risulta, ma non fine ultimo. Non punta ad aggiungere “azione” alla narrazione. Non a caso uno dei possibili finali in cui la psicoterapeuta di Stefan gli domanda perché colui che manipola le sue scelte non dovrebbe aggiungere azione alla sua vita, mostra quanto inutile questa sia ai fini della storia. Brooker ci ha raccontato per anni una distopia che ha sempre ruotato attorno alle più svariate emozioni negative dei protagonisti coinvolti. Ansia, impotenza, disperazione. In questo episodio ha utilizzato l’interattività per renderci protagonisti della sua distopia.

Black Mirror

Ci ha resi partecipi di quelle emozioni, permettendoci di provare in prima persona la stessa claustrofobia che fino a Black Museum potevamo percepire solo indirettamente. Che fosse nella scelta dei cereali o in quella di far saltare Colin o Stefan.

L’interattività è stata solo lo strumento con cui Black Mirror – Bandersnatch ha voluto raccontarci la parabola del libero arbitrio. Ci ricorda che siamo pur sempre noi, nella nostra imperfezione, gli autori del nostro destino.
E su quest’ultimo concetto si pone il sottile punto interrogativo proposto da Brooker. Esiste un destino? Abbiamo potuto constatare, assistendo a più finali, che qualunque fosse la nostra scelta, il destino di Stefan non ha mai conosciuto un lieto fine. In un modo o nell’altro, il giovane programmatore è sempre caduto in un drammatico vortice al cui centro si pone un tragico finale. Forse Stefan era “destinato” a vivere in una gabbia, che fosse la morte prematura, il carcere, la malattia mentale o la “semplice” infelicità. Forse esiste un destino che ci permette attraverso il libero arbitrio “solo” di poter scegliere il modo in cui entrare nella nostra gabbia. O forse non esiste alcun destino se non quello che decidiamo noi per la nostra persona quando ogni mattina apriamo gli occhi.

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La ripetitiva scena della sveglia che dà inizio alla giornata di Stefan sulle note di Relax (canzone scelta non a caso e non solo per gli anni in cui l’episodio è ambientato) ci manda un messaggio chiaro a tal proposito.

La versione nerd di quella frase di Voltaire tanto amata da molti utenti di Facebook: “La più coraggiosa decisione che puoi prendere ogni giorno è quella di essere di buon umore”. Forse Stefan non è il soggetto di un destino già scritto, ma solo un ragazzo che non è riuscito a spezzare le proprie catene.
Destino, tecnologia, distorsione della realtà. Potremmo armarci di teorie stravaganti e facile complottismo e dirne mille e una su quante cose non ci è dato sapere sul futuro del genere umano. E Black Mirror ci ha fornito nel tempo molti spunti di riflessione al riguardo. Ma quello più importante, su cui dovremmo soffermarci, è quel messaggio che Brooker ha cercato di inviarci più prepotentemente con Bandersnatch. Un messaggio che, contrariamente ai secolari toni inquietanti di Black Mirror, potrebbe risultare perfino positivo se visto con i giusti occhi. La potenza del libero arbitrio. Quello che per la figlia di Colin, che in Bandersnatch riprende il gioco una volta adulta, è “solo” un argomento interessante.

Black Mirror

Il libero arbitrio resterà sempre e comunque ciò che ci permette di decidere quanto oscuro può essere il nostro futuro.

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