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Banshee: il male in tutte le sue sfumature di grigio

“Ogni vita nasconde, e protegge, dentro di sé tutte le altre che non si sono realizzate, che sono rimaste solo potenziali. E così ogni individuo conserva al suo interno, come clandestini su una nave di notte, le ombre di tutte le altre persone che sarebbe potuto diventare”

Questo è il fulcro del libro “4 3 2 1” di Paul Auster, e penso che sia perfetto per descrivere anche Banshee – La città del male (sottotitolo italiano azzeccatissimo, al contrario dei titoli di queste serie tv tradotti). Tutti i personaggi che vivono a Banshee, fittizia città della Pennsylvania, infatti, avrebbero potuto avere vite diverse. Partendo dal protagonista, Lucas Hood (Antony Starr), di cui non conosceremo mai il vero nome, che ha cambiato totalmente la sua vita appena ha messo piede a Banshee, passando da essere un carcerato appena uscito di prigione dopo 15 anni, a sceriffo della città (ruolo rubato al vero Lucas Hood, rimasto ucciso in una sparatoria).

La sua vita è cambiata decidendo di impossessarsi dell’identità di uno sconosciuto, appena morto, solo per rimanere in città sperando di poter riallacciare i rapporti con la sua ex amante e complice Ana (ora Carrie). Se non si fosse mai trovato, per puro caso, in quel luogo, avrebbe potuto vivere una delle tante vite potenziali che non si sono mai realizzate, a causa di quell’unica e determinante decisione. D’altronde, lui voleva solo ritrovare la sua fidanzata, non si sarebbe certo aspettato di ritrovarsi a ricoprire un ruolo tanto importante, come non si sarebbe mai aspettato che gli sarebbe maledettamente piaciuto ricoprire quel ruolo.

Banshee fin da subito ti ruba l’anima: è una città sospesa nel tempo, in cui sembra che peccato e redenzione si fondino in una cosa sola. Non c’è peccato senza redenzione, non c’è redenzione senza peccato.

Gli abitanti di Banshee non sono buoni né cattivi. Non c’è una distinzione netta in loro, nessuno è bianco o nero. Hanno tante sfumature di grigio, nascondendo in loro luce e ombra, amore e odio, azioni giuste e azioni sbagliate. Sono pieni di ambiguità e mutevolezza, e per questo difficili da condannare o da assolvere. Non c’è bontà in un neonazista, eppure Kurt Bunker è diventato agente di polizia, pentito delle sue azioni passate e volto a destinare tutte le sue azioni future a distruggere la Confraternita di cui faceva parte. Non c’è cattiveria in un Amish, eppure un’insegnante della comunità picchiava i suoi alunni per pur godimento.

Ogni personaggio racchiude in sé tante sfaccettature diverse: lo vediamo in Gordon, marito di Carrie, procuratore distrettuale di giorno, volto a ripulire la città di Banshee dai criminali, frequentatore assiduo di night club e prostitute di notte. Lo vediamo in Rebecca, ex ragazza amish, prima desiderosa di libertà come una qualsiasi adolescente, poi donna spietata e assetata di potere. E lo vediamo anche in Lucas Hood, ladro senza scrupoli e incline alla violenza, che in realtà nasconde (neanche troppo bene) un animo buono, gentile e volto alla giustizia.

Anche il villan della serie per eccellenza, Kai Proctor, non è né tutto bianco, né tutto nero: non riesci ad odiarlo né ad amarlo, per lui provi sentimenti contrastanti. È un boss criminale violento, incestuoso, sadico, eppure suscita una qualche simpatia, anzi, empatia, pensando che è una persona estremamente sola, dal momento che gli unici legami che si è creato negli anni, dopo aver lasciato la comunità amish, sono solo di affari (loschi).

Banshee (640x360)
I protagonisti di Banshee

A Banshee nessuno è quello che sembra, e il filo che lega quasi tutti i personaggi è la consapevolezza che nessuno può cambiare veramente, ma può solo sperare di migliorare.

Lo dice Siobhan a Hood dopo una notte passata insieme, lo realizza Kai Proctor dopo la morte della madre. Il peso del passato e della responsabilità delle scelte che hanno compiuto tutti i personaggi continua a ripercuotersi su di loro per tutte e 4 le stagioni: non è possibile cancellare il passato, ma si può sperare di migliorare per il futuro. Nemmeno il finale è bianco o nero: c’è sempre uno strato di grigiore che nell’ultima stagione è ancora più evidente. E’ vero, i cattivi muoiono (Kai, Burton, Calvin), i buoni vivono. Ma erano tutti – indistintamente – talmente tanto rotti, spezzati, che vita e morte non hanno più importanza. Quelli che alla fine vivono, in realtà sopravvivono, consci di non poter chiedere altro che la fine delle loro sofferenze.

Se Lucas Hood non avesse mai messo piede a Banshee, la sua vita sarebbe stata diversa. Se non avesse mai derubato Rabbit, se non avesse mai salvato Job, la sua vita sarebbe stata diversa. Come quella di tutti. Se Proctor non avesse mai abbandonato la comunità Amish, come sua nipote Rebecca, se Siobhan non avesse mai iniziato una relazione con Hood, se Kurt non fosse mai entrato nella Confraternita, se Sugar non avesse picchiato a morte il suo avversario sul ring: sono tutte possibili vite potenziali che i personaggi hanno lasciato tali, continuando a pagarne il prezzo. Continuando a vivere sospesi nel grigio, che dopotutto, è il modo migliore per andare avanti. E a proposito di moralità dubbie, vi presentiamo una lista dei 10 migliori antieroi nella storia delle serie tv.