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A proposito degli AA di Boris e del caso 30 Rock.
“Signori, voi conoscete già i miei avvocati per cui salterei le presentazioni e andrei subito al dunque. Allora, la questione è questa: gli ascolti di Occhi del cuore che sono stati pubblicati da un sito internet hanno evidenziato delle curve molto, molto negative sul mio personaggio. Allora io ho avviato subito una ricerca molto meticolosa che purtroppo ha confermato i miei sospetti: Stanis La Rochelle non piace più agli AA”. AA? Alcolisti anonimi? Macché, gli “abbronzati e abbienti”. I “notai”, direbbe l’improbabile protagonista di Occhi del cuore. Altro che i BB, i “bisognosi e balordi”, replicherebbe Lopez. Stanis era preoccupatissimo e temeva di “commettere gli stessi errori della Telefunken”: “Renato, io non piaccio ai ricchi! Io non piaccio più ai ricchi, d’accordo? Io… io vado ancora forte con i BB, con le massaie, le casalinghe, i carpentieri, gli operai, quella gente lì, ma io mi sono perso i ricchi”.

Vabbè, fermiamoci qui: Boris è attinente a qualunque tema possibile, e non ci sentiamo di escludere che a un certo punto abbia raccontato la nostra vita futura in una puntata di quindici anni fa. Vale un po’ per tutto, e ovviamente vale parecchio quando si parla delle serie tv. E allora spostiamoci dall’Italia agli Stati Uniti: da una comedy all’altra, andata in onda più o meno nello stesso periodo. Una comedy eccezionale, acclamata dalla critica e con un fandom solido che ne ha fatto una delle serie più influenti degli ultimi vent’anni.
E no: non stiamo ancora parlando di Boris, bensì di 30 Rock.
Una delle comedy migliori che con ogni probabilità non avete mai visto, a meno che non siate “abbronzati e abbienti”. Chiaramente si esagera e prendete il filtro ironico per quello che è, ma la realtà non è distante: parliamo, infatti, di una serie che piaceva tantissimo alle élite, ma non ha mai avuto una diffusione di massa davvero rilevante. Insomma, è una serie in cui Stanis La Rochelle avrebbe recitato volentieri, prima di rovinare tutto.
30 Rock, infatti, è uno di quei casi in cui il successo e l’iconicità non vanno di pari passo con l’apprezzamento globale di un pubblico trasversale.
Altro che Boris, una comedy che ha fatto le sue maggiori fortune dalla diffusione dal basso: non ci torneremo ora perché ne abbiamo parlato qualche tempo fa in un articolo dedicato, ma è interessante portare avanti ancora per un po’ i parallelismi con 30 Rock, comedy con la quale presenta in effetti più di un’affinità. Entrambe le serie, infatti, non ebbero un successo immediato: Boris, andata in onda inizialmente sulla Fox italiana, era destinata a un target molto specifico di addetti ai lavori e appassionati dal gusto comico raffinato. Un pubblico preparato: non necessariamente abbiente o abbronzato, ma preparato.
Poi è successo quello che è successo: Boris, oggi, è popolare nel midollo, e ha saputo combinare i presupposti iniziali, “elitari”, con un linguaggio accessibile e trovate irresistibili per il grande pubblico. 30 Rock, invece, è ancora oggi uno straordinario successo… di nicchia. Molto esposto in alcuni ambiti, ma anche dimenticata rapidamente dal pubblico di massa.
Nemmeno la diffusione in streaming, elemento centrale per l’ascesa di Boris, ha contribuito granché alla sua riscoperta: 30 Rock è ancora un oggetto misterioso per i più. Acclamata più sulla fiducia che dopo un’effettiva diffusione.
Ciò è un problema? No, affatto. E ne parleremo tra poco. Prima di procedere, però, alcuni dati utili per rendere meglio l’idea.

Andata in onda sulla NBC dal 2006 al 2013, 30 Rock vanta sette stagioni e 138 episodi. Ideata e sviluppata da Tina Fey, di cui è anche protagonista, vanta un grande cast composto, tra gli altri, da Alec Baldwin, Tracy Morgan e Jane Krakowski, oltre a un’impressionante lista di guest star che sono comparsi nel tempo in cameo più o meno estesi, talvolta per più puntate. Una lista invidiabile, associabile a quella recentemente riportata da The Studio, serie che per certi versi è una sua erede (nonché associabile a Boris, ma avevamo promesso di fermarci coi paragoni). La trama: ambientata dietro le quinte di uno show televisivo comico dal vivo, la sceneggiatrice Liz Lemon cerca di tenere insieme un cast caotico e un capo imprevedibile. Tra satira dell’industria, battute fulminanti e meta-televisione, la serie esplora il mondo assurdo della tv americana.
Tutto molto interessante, e non è un caso che 30 Rock abbia raccolto nel tempo approvazioni davvero notevoli: per intenderci, stiamo parlando di una serie nominata addirittura 103 volte agli Emmy con 16 vittorie, vincendo per tre anni di fila (2006-2009) il premio destinato alla Miglior comedy.
Insomma, non è esagerato definirlo un vero e proprio cult della tv. Non vi basta? Un’altra curiosità: l’autorevole Variety l’ha addirittura inserita al 22esimo posto tra le cento migliori serie tv del XXI secolo. Il punto, però, rimane: quanti l’avevano effettivamente vista? Beh, pochi. Fin dalla prima stagione, gli ascolti sulla NBC non furono granché positivi. Dopo un ottimo esordio col pilot, capace di raccogliere 8,13 milioni di spettatori, 30 Rock si assestò su ascolti in calo: dalla prima alla settima stagione le medie scesero da 5,8 a 4,6 milioni. Niente di che. Anche Studio 60 on the Sunset Strip, pur pensata per un pubblico simile e inizialmente favorita per tono e ambizioni, fu cancellata dopo una sola stagione dalla stessa NBC: costava troppo e non portava ascolti.
Le medie, di per sé poco leggibili per il pubblico meno abituato ad analisi del genere, diventano più chiare se si inserisce 30 Rock nelle classifiche delle serie tv più viste del periodo: erano al di sotto dei numeri registrati nella top 100. Occhio: non la top 10, la top 100. Per carità: andava in onda in un affollato tardo prime time, ma erano comunque numeri apparentemente insoddisfacenti. Specie se inseriti nel contesto di un network come la NBC, a lungo re incontrastato delle comedy con innumerevoli titoli d’altissimo successo. Tuttavia… 30 Rock piaceva agli AA tanto cari a Stanis: nel 2007, per esempio, il pubblico medio aveva un reddito di 65 000 $/anno, uno dei più alti tra le comedy trasmesse. Nella seconda stagione, fu invece il quarto show più visto da adulti con reddito superiore a 100.000 $.
Il punto, allora, sarebbe questo: piaceva ai “ricchi” o ai “laureati”, e ciò bastava alla NBC per mantenerla in onda.

Tutto sommato, è in gran parte vero. Dobbiamo necessariamente estendere il concetto al pubblico più preparato sul piano tecnico, alla ricerca di un prodotto sofisticato e ricercato, non immediato e bisognoso di un maggiore impegno nella visione rispetto a una sit-com popolarissima come The Office, in onda negli stessi anni sulla NBC con un pubblico ben maggiore che si è poi dilatato esponenzialmente negli anni della pandemia e, più in generale, nell’era dello streaming. 30 Rock, però, era un’altra cosa.
L’umorismo rapidissimo, i riferimenti politici e televisivi americani molto specifici, le battute che non funzionano fuori contesto o fuori lingua: tutto questo ha impedito a 30 Rock di essere davvero “esportabile” su larga scala, ma è stato più che sufficiente per creare un fandom molto affezionato e solido nel tempo, a diventare il ponte ideale per traghettare il network nel mondo della prestige tv. La tv da golden age, in pratica. Una tv che occupa un ruolo culturale e si riflette anche in una centralità negli anni successivi alla messa in onda, pur non essendo necessariamente foriera di un pubblico davvero cospicuo.
Per una rete come la NBC, che puntava anche a vendere pubblicità a target premium e a consolidare il suo prestigio culturale, 30 Rock era più utile come simbolo di qualità che come macchina da share. E questo, paradossalmente, ha garantito alla serie più longevità di tante comedy ben più popolari. E della già citata Studio 60 on the Sunset Strip, dramedy in anticipo sui tempi che fu cancellata un anno prima per una questione di costi, pur riferendosi potenzialmente a un target altrettanto “elitario”.
In definitiva: se state cercando la storia di un successo romantico, questo non è il posto giusto.
Tina Fey ha poi confermato nel tempo di essere un’autrice eccezionale, ancora oggi tra le migliori in circolazione, mentre gran parte del cast ha portato avanti carriere importanti, di tutto rispetto. 30 Rock, però, è rimasta là dove si era posizionata inizialmente. Forse dove non aveva intenzione di stare, ma dove ha avuto la possibilità di esprimersi per sette anni con alti standard qualitativi. Finendo per generare una definizione che suona paradossale: è un “cult invisibile” del piccolo schermo. Piace a tutti, ma pochi sanno davvero perché.
30 Rock non è mai diventata una serie per tutti. Non è mai diventata virale. Non è mai stata riscoperta in massa. È rimasta una perla per pochi, un’icona per addetti ai lavori e appassionati. E proprio questo ne ha garantito la purezza, l’unicità e l’integrità, finendo per non essere dimenticata manco da chi non l’ha mai ricordata. Capiamo meglio il buon Stanis, allora: “È una cosa spaventosa per una multinazionale come me! Perché, signori, io per reddito annuo e per mentalità sono una multinazionale, eh? Questo è un danno grandissimo, una cosa tremenda”. Ah, se lo dice lui…
Antonio Casu



