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Diamo a 24 quel che è di 24

2001. La televisione è ancora “televisione”, e deve sottostare a regole ben precise: stagioni di 24 episodi per riempire la programmazione, costi relativamente contenuti e rispetto degli spazi pubblicitari. Due autori, Joel Surnow e Robert Cochran, hanno appena terminato la loro Serie, Nikita, prodotta in Canada, trasmessa in suolo statunitense da USA Network e ovviamente tratta dal film di Luc Besson. Così vanno a parlare negli studi della Fox con quest’idea: una Serie Tv in tempo reale, che sfrutti le regole imposte dai network a proprio vantaggio. Come? 24 episodi, come le 24 ore di un giorno, così che ogni stagione sia in realtà il racconto di un’intera giornata di una fittizia agenzia federale, composta da vari agenti e varie sottotrame raccontate tramite un uso continuo dello split screen, utilizzando gli spazi pubblicitari per presentare un orologio digitale che rinfreschi lo spettatore sul tempo effettivamente trascorso.

La Fox dà il via libera e i due mettono in campo un team enorme di sceneggiatori, capeggiati da Howard Gordon (collaboratore di Joss Whedon soprattutto in Angel, e in futuro creatore di Homeland) con cui creare una trama così ampia e coesa da coprire coerentemente 16 ore di messa in onda che raccontino 24 ore “reali” di un agente federale in un giorno infausto.

Il tema della sicurezza nazionale è molto sentito (e lo sarà sempre di più, a partire dall’ultimo trimestre di quell’anno) e attuale: così ci troviamo nel CTU (Control Terrorism Unit) di Los Angeles dove ci viene presentato il nostro supereroe, il nostro Chuck Norris, l’unico e inimitabile Jack Bauer (se non lo conoscete, ve lo raccontiamo in questo articolo)! Unico punto in comune delle stagioni… pardon, dei “giorni” che compongono 24 è lui, mentre assistiamo a vari salti temporali e cambi di cast tra una stagione e l’altra, senza rinunciare a reinserire personaggi regolari o a sfruttarli adeguatamente tra un giorno e il successivo.

Jack Bauer

Kiefer Sutherland interpreta magistralmente il ruolo della vita, che gli varrà anche un Golden Globe, e viene accompagnato da un cast in stato di grazia (anche Elisha Cuthbert deve il lancio della sua breve carriera –seriamente, ma che fine ha fatto?– a questa Serie).

Ma il grande merito di 24 è quello di aver parlato d’attualità inserendo in anticipo temi controversi che nel giro di pochi anni sarebbero diventati reali argomenti di discussione: l’elezione del primo presidente di colore, l’elezione della prima presidente donna, il terrorismo islamico, i rapporti tesi con il governo cinese, le armi chimiche, lo spionaggio informatico russo, la guerra alla droga con i cartelli messicani, e molto altro.

Kiefer Sutherland arrivò a dichiarare, a metà tra il serio e il faceto, che Howard Gordon avesse doti profetiche nell’indovinare esattamente quale sarebbe stata la minaccia dell’anno successivo, tanto da scrivere con nove mesi di anticipo una stagione sempre attuale coi problemi da affrontare durante la messa in onda.

24 è stato, almeno negli Stati Uniti, un fenomeno mediatico per tutti gli anni 2000, capace di ispirare spin-off in vari media (ne parliamo in questo articolo) ed essere citato da tutte le principali serie comedy, dai Simpson a South Park.

Perfino nella nostra Boris, nell’episodio della seconda stagione Usa la forza, Ferretti (quello in cui Arianna accetta l’invito a cena di Stanis La Rochelle mentre René è alla ricerca di Tarzanetto) viene visualizzato il celebre orologio digitale di 24 e fatto un largo uso del tipico split screen.

Ma certamente a rendere l’idea dell’imponenza di questo personaggio nell’immaginario collettivo, ci sono le parole del capo della polizia di New York Ray Kelly che, dopo aver catturato il responsabile del fallito attentato terroristico a Times Square del 1 maggio 2010 in sole 53 ore, disse:

«Jack Bauer lo avrebbe fatto in 24, ma 53 non è male»

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