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Cosa è andato storto nell’ultima stagione di 13 Reasons Why?

ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler sulla quarta stagione di 13 Reasons Why

Quando si parla di 13 Reasons Why ormai si fa prima a dire cosa ha funzionato piuttosto che ciò che è andato storto. La serie ideata da Brian Yorkey ha debuttato nel 2017 con una grandiosa prima stagione. Poi si è snaturata. Ha perso la sua forza narrativa, esaurita con l’ultima puntata, ma ha tentato di cavalcare comunque l’onda del successo, finendo per alterarne e stravolgerne il senso. Probabilmente gli autori avevano pensato a un’unica tranche di episodi, ma Netflix ama i prodotti con più stagioni e, soprattutto, li ama il pubblico. Così 13 Reasons Why si è inevitabilmente trasformata. Non che sia più o meno bella, più o meno coerente, ma ha scelto un pubblico preciso a cui rivolgersi e a quel pubblico ha finito per parlare.

Il problema di chi discute della qualità di questa serie è che non la contestualizza. 13 Reasons Why è diventata un teen drama e, come tale, operando una scelta ben definita, ha deciso di indirizzarsi al pubblico dei più giovani, per i quali rimane comunque una bella serie.

La stagione appena andata in onda è stata anche l’ultima, il capitolo conclusivo di una storia che è iniziata nel 2017 e che è andata avanti per quattro stagioni, forse anche troppe.

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Ma veniamo a cosa è andato storto nella quarta parte di 13 Reasons Why.

Quello che meno convince dell’ultimo capitolo di questa serie si può riassumere in tre punti principali, che possono essere così sintetizzati: eccesso di autocommiserazione, scrittura con troppi sbalzi, il personaggio di Ani.

Eccesso di autocommiserazione.

È uno degli aspetti che più appesantiscono la trama. È vero che stiamo parlando di uno show che fa del dramma il suo punto di forza. È vero anche che l’obiettivo cardine degli sceneggiatori è quello di penetrare nel profondo dell’animo di ciascun personaggio, metterne a nudo le debolezze, mostrare i buchi neri, i vortici nei quali ognuno di loro finisce per sprofondare. Ma dopo quattro stagioni di strazio, di cadute senza risalita, questa impostazione narrativa finisce per sfiancare chi guarda.

Scrittura con troppi sbalzi.

La quarta stagione di 13 Reasons Why è quella più confusionaria da questo punto di vista. Troppi filoni narrativi secondari, troppe storie singole da approfondire, troppi risvolti su cui soffermarsi. Risultato? Si lasciano un’infinità di cose indietro, ci si concentra su una cosa, per poi abbandonarla a metà strada e riprenderla più tardi. Basti pensare ai casini con la squadra di football, che all’inizio sembrano essere il vero problema dei protagonisti, per poi dileguarsi sullo sfondo lasciando spazio ad altro. L’obiettivo si sposta poi su Tyler, Clay finisce in un reparto di psichiatria, Zach rimane vittima di un incidente e di un pestaggio, Justin perde la madre, Winston appare come il grande antagonista di questa stagione.

Presupposti importanti, sganciati come bombe nel bel mezzo della trama e poi semplicemente accantonati, alcuni per sempre, altri per buona parte delle puntate.

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Il personaggio di Ani.

Già la terza stagione ha mostrato di non avere le idee molto chiare sul ruolo di questo personaggio. Ma gli episodi appena andati in onda ci mostrano ancor di più che gli sceneggiatori non sapevano bene che uso farne. E che non sapevano neppure come liberarsene. All’inizio Ani ci viene presentata come la ragazza di Clay, diventata ormai parte integrante del gruppo. È sempre lei quella più saggia, più lucida, meno condizionata dall’imprevedibilità degli eventi della Liberty High. Siamo portati a credere che possa essere lei il freno al crollo emotivo dei personaggi, ma poi all’improvviso sparisce dalla scena. Senza nessuna ragione precisa, semplicemente viene momentaneamente parcheggiata in panchina per poi essere riesumata nelle puntate finali.

Così la domanda sorge spontanea: era davvero necessaria la presenza di questo personaggio?

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L’impressione finale che si ha dell’ultima stagione di 13 Reasons Why è che si sia buttata in qualcosa di troppo più grande. E abbia finito con l’esagerare. Parecchio. Basti pensare all’esercitazione nella scuola, al “complotto” degli adulti che si organizzano per tracciare i movimenti e le conversazioni dei figli, alla rivolta degli studenti contro i poliziotti.
Le aspirazioni degli sceneggiatori hanno puntato troppo in alto.

L’obiettivo era quello di dare un quadro generale di tutti i problemi che un adolescente potrebbe trovarsi ad affrontare: il superamento dei traumi, la morte, la discriminazione razziale, gli abusi degli agenti in divisa, l’annoso problema delle armi nelle scuole, la libertà sessuale, l’omosessualità, la droga, l’alcol, gli omicidi, i sensi di colpa, il bullismo, l’emancipazione femminile e così via. Ma approfondirli tutti bilanciando messaggi morali e fluidità narrativa è davvero un’impresa immane.

13 Reasons Why è diventato un teen drama che difficilmente consiglierei a un teenager, sebbene non tutto in questa stagione sia per forza andato storto.

Il ritmo è buono, in alcuni tratti ai limiti del thriller. L’incipit in media res crea quel giusto mix di curiosità e attesa che ci permette di andare avanti episodio dopo episodio. E l’ultima puntata ci regala davvero un gran bel finale.

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