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Your Name: il lieto fine ha un nome nuovo

La leggenda del filo rosso, nata in Cina e poi diffusasi in Giappone, affascina chiunque creda nell’anima gemella: sembra che alla nascita, ognuno di noi abbia un invisibile filo scarlatto che lo lega all’anima della persona con cui siamo destinati a condividere la nostra vita e proprio grazie a questo filo riusciremo a trovare (o ritrovare) tale persona. Ma esiste davvero un’anima gemella? Ed è possibile trovarla in qualsiasi circostanza? Anche, addirittura, quando le linee temporali sono distorte? Your Name, film d’animazione giapponese del 2016 (presente anche nella nostra lista dei migliori film romantici da guardare su Netflix), scritto e diretto da Makoto Shinkai, non solo cerca di rispondere a questa domanda rielaborando la stessa leggenda del filo rosso, ma – in un certo senso – fa un passo in più, perché riscrive le regole del lieto fine. Ed è proprio per questo che Your Name ha avuto successo: tratta un argomento delicato e complesso come quello del destino in modo non banale, facendone percepire tutta la drammaticità allo spettatore. Perché se è vero – secondo la leggenda – che siamo legati a un’altra persona con questo filo invisibile, non è detto che trovarla sarà una passeggiata: magari ci capiterà di passarle accanto… e perderla.

Ma in che modo Your Name riesce a far percepire e capire tutto questo allo spettatore?

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La prima carta giocata dai creatori dell’anime è quella del climax: lo spettatore non viene subito catapultato in un’atmosfera drammatica, alla ricerca del significato del destino e con l’arduo compito di decifrare i diversi piani temporali. Al contrario, la situazione in cui si ritrovano Taki e Mitsuha, i due protagonisti, sembra un grottesco gioco dalle regole bizzarre, anche divertenti, ma – per il momento – non drammatiche. I due ragazzi, infatti, scoprono che nel corso di alcune notti sono in grado, inconsapevolmente, di scambiarsi di corpo e al risveglio affrontano l’uno la giornata dell’altro. Un gioco imprevisto per certi versi imbarazzante, visto che la prima preoccupazione di entrambi è quella di scoprirsi in un corpo del sesso opposto, e quindi pieno di misteri, più difficile da governare. Ma quando entrambi cominciano a capire quel che succede davvero in quegli incredibili momenti, tutto diventa (forse) più semplice.

Taki, nel corpo di Mitsuha, impara a convivere con la nonna e la sorellina della ragazza e conosce i suoi migliori amici, che notano strani comportamenti in quella che pensano sia la vera Mitsuha. Ma si tratta di deviazioni dal normale atteggiamento della ragazza che andranno via via a ridursi, quando i due protagonisti inizieranno ad aiutarci a vicenda, lasciandosi indicazioni su come agire. Mitsuha, invece, quando ricopre i panni di Taki, riesce a guadagnare un appuntamento con la ragazza per cui lui ha una cotta, anche se nel frattempo si diverte a sperperare i risparmi dello studente per assaggiare tutti i dolci che al suo paesino non può mangiare.

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L’atmosfera iniziale di Your Name, quindi, è leggera e ironica: lo spettatore aspetta il prossimo passo falso di uno dei due protagonisti quando è nel corpo dell’altro e cerca di capire come e perché accada qualcosa del genere a Taki e Mitsuha. Anche se in background resta la sensazione che dietro ci sia qualcosa di più intenso e serio, soprattutto per via dei momenti in cui i due protagonisti, soli, si dichiarano alla ricerca di qualcosa o qualcuno. E in questi flash da momenti indefiniti della storia vediamo l’incontro tra i due (il primo? l’ultimo?) in metropolitana, dove Mitsuha lancia il proprio filo rosso – un nastro per capelli – al ragazzo, che lo afferra e ne farà un bracciale.

La non linearità del tempo in Your Name è un altro elemento caratteristico del film, che aggiunge drammaticità agli eventi.

La consapevolezza di questo non è immediata né per gli spettatori, né per i protagonisti. Ma le tinte dell’atmosfera cominciano a mutare quando Taki e Mitsuha non vedono più gli eventi come un gioco. Scambiarsi di corpo, vivere un pezzetto della vita di un’altra persona calandosi letteralmente nella sua pelle non è qualcosa che può lasciare indifferenti. Ecco perché mentre Mitsuha porta a termine la sua missione per far avvicinare Taki alla ragazza per cui ha una cotta, si accorge che qualcosa non va. Lacrime inaspettate le scendono sul viso, come un segnale fisico di qualcosa che a livello astratto la ragazza ancora non ha compreso. Lacrime che, poco dopo, vedremo anche sul volto di Taki.

L’unico modo per salvarsi da quel senso di malinconia, da quella sofferenza che piano piano attanaglia i cuori e le anime dei due ragazzi – che nell’inconscio sentono qualcosa di più forte, un legame inspiegabile, come due estremità di un filo che non avranno pace finché non saranno riannodate insieme – è quello di incontrarsi. Ma Your Name, ormai, ha lasciato da parte la cornice fiabesca dell’inizio e quando Taki si mette in viaggio alla ricerca di Mitsuha, con un disegno come unico indizio, le sensazioni positive hanno lasciato il posto a quelle negative.

La drammaticità emerge già dal gesto stesso di recarsi in un posto senza sapere esattamente cosa si stia cercando. Cosa si può fare brandendo solo un disegno? Eppure, quando un signore riconosce il paesino di Itomori sul foglio, nasce una scintilla di speranza… che si spegnerà poco dopo, quando Taki scoprirà che Mitsuha è morta tre anni prima, dopo che una Cometa si è abbattuta sul villaggio durante una festa di paese.

Quello strano intrecciarsi del tempo è un altro imprevisto che mai Taki avrebbe immaginato di dover affrontare: le carte in tavola vengono rimescolate, anzi, vengono spazzate via. Non c’è davvero più speranza? Quegli scambi di corpo, quel modo di comunicare, la percezione che dietro ci sia qualcosa di più, non sono valsi a nulla?

Per qualcosa di così ineffabile, di ultraterreno, l’unica risposta sembra quella di ricorrere a qualcosa di altrettanto mistico.

Quando Taki decide di recarsi al santuario del dio protettore locale Musubi, l’ultimo posto in cui il ragazzo era stato con il corpo di Mitsuha, è ormai chiaro che la vicenda ha assunto dei contorni sfumati, delicati, al di là di ogni concretezza e ragione. Perché il destino è così, imprevedibile. Ma il legame tra i due ragazzi sarà più forte di tutto questo?

Ancora una volta protagonisti e pubblico accendono una fiamma di speranza quando Taki e Mitsuha riescono a incontrarsi nel momento antecedente la caduta della fantomatica Cometa. Ma non è questa la fine di Your Name. Non può essere così semplice. Quando il tempo tornerà a svolgere il suo viaggio consueto, il rischio di non ricordarsi più l’uno dell’altro busserà alla porta dei protagonisti. I ragazzi cercano di sottrarsi a questo straziante pericolo decidendo di scrivere i propri nomi sulla mano, ma invano.

L’atmosfera ha raggiunto l’apice di tristezza e sofferenza quando Taki e Mitsuha, ognuno nella propria linea temporale, ognuno nel proprio mondo, cercando di tenere a mente il nome dell’altro urlandolo. Ma il ricordo svanisce per entrambi, inesorabile. Il tentativo di ripristinare gli eventi, dunque, è stato vano? Non è proprio possibile riallacciare le due estremità del filo rosso? E per quale motivo? Il legame costruito dal filo delle leggende non porta già con sé il lieto fine?

Ma, in fin dei conti, cos’è il lieto fine? Forse la storia ci sembra scivolare dentro il dramma più oscuro perché sbagliamo a intendere il lieto fine.

Your Name

Otto anni dopo la Cometa – e dopo che Mitsuha, questa volta, è riuscita a salvare il villaggio – e cinque anni dopo la linea temporale di Taki, i due si vedono dalle porte di due metro diverse. Non si ricordano l’uno dell’altra. O forse sì? Entrambi sentono qualcosa. Quella sensazione che sconvolge l’equilibrio, la sensazione di essere vicinissimi a ciò che si cercava. E così scendono dalle metro, corrono, si cercano. Noi tratteniamo il fiato, perché non sappiamo cosa succederà. Si inseguono, si incontrano. Si passano accanto più volte, oltrepassandosi. E ogni volta ci si stringe lo stomaco. Ci sarà o no questo lieto fine?

Poi finalmente si fermano. Ci fermiamo anche noi. Si guardano, si parlano: ci siamo già visti?

Sipario, il film finisce. Resta il dubbio, perché non sappiamo se a Taki e Mitsuha tornerà d’un tratto la memoria, se ricorderanno tutto quello che abbiamo vissuto. Ma proprio questo dubbio è il lieto fine: ci sono infinite possibilità. E quello che conta, del resto, non è necessariamente il ricordo. Memoria o meno, Taki e Mitsuha sono di nuovo insieme, l’uno accanto all’altra, in barba al tempo o al destino. E va benissimo così.

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