Attenzione: l’articolo contiene spoiler sulla serie tv Untamed.
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In un panorama televisivo saturo di thriller, investigazioni e colpi di scena, Untamed si impone con la forza dell’inaspettato. Non tanto per ciò che accade – e accade molto – ma per come accade. Perché, in fondo, la vera tensione non sta nei cadaveri trovati nei boschi o nelle indagini sempre più serrate. Sta nei silenzi, nei traumi che covano sotto la superficie, nelle verità i personaggi hanno cercato di ignorare per troppo tempo. Firmata da Mark L. Smith (potete guardarla qui), regista e sceneggiatore già noto per opere ad alta densità emotiva e visiva come Martyrs, The Revenant e The Midnight Sky, Untamed è un crime che scava sotto la pelle. Una serie che, episodio dopo episodio, svela la mappa di un dolore antico, intrecciando l’indagine poliziesca a un dramma familiare senza filtri e senza vie d’uscita semplici.
Fin dalle prime inquadrature, Untamed ci porta in un’America dimenticata. Così è il mondo che racconta: scolpito tra le pareti rocciose e le foreste infinite dello Yosemite National Park, un luogo in cui la natura non è semplice scenario ma personaggio vivo, consapevole, feroce. La riserva naturale è una forza viva, dominante, che ti sovrasta e ti inghiotte. E ti restituisce a te stesso, che tu lo voglia o meno. I colori sono troppo vividi per cancellare i ricordi, il cielo troppo grande per potergli sfuggire. E la natura, così libera e incontaminata, è la prigione più severa. Perché non puoi domarla e, soprattutto, non puoi usarla per scappare da te stesso. Untamed è una serie che ha compreso profondamente una verità: nella natura selvaggia, l’essere umano si rivela. Qui, dove sembra che nessuno ti guardi, le persone fanno qualunque cosa. È nel silenzio dei boschi, tra i burroni e le cime scoscese, che emergono i segreti, le colpe, i crimini. È qui che si consuma la morte su cui ruota la trama: una giovane donna precipita da El Capitan. Un incidente? Un suicidio? O qualcos’altro?
Un mistero all’apparenza estremamente complesso.

L’agente Kyle Turner, interpretato con intensità da Eric Bana, viene incaricato di indagare (qui la nostra recensione di Untamed). Non per senso del dovere, non per desiderio di giustizia. Più semplicemente, perché è lì. Perché è la sua zona. E forse, perché sta cercando un modo per perdersi ancora una volta in quel luogo che lo ha già distrutto. Turner è un uomo che si porta dietro un dolore enorme: la perdita di un figlio, rapito e ucciso proprio in quello stesso parco che ora dovrebbe proteggere. Il trauma non si è mai rimarginato, e lui è solo un’anima che vaga. E indagare sulla morte della ragazza sembra essere l’unica cosa che lo trattiene in vita. Ben presto diventa chiaro che la morte della ragazza non è solo un episodio isolato. La sua identità è legata a doppio filo al passato del parco, ai suoi dipendenti, a storie mai raccontate. Emergono nuovi frammenti, dettagli sepolti, verità rimosse. Ciò che sembrava un semplice incidente apre una voragine: segreti, bugie, abusi.
La trama si fa quindi doppia: da un lato il mistero da risolvere, dall’altro il percorso emotivo e psicologico dei personaggi.
In Untamed la natura è viva e spietata. Sfumata e subdola. Alleata e nemica, rifugio e trappola. Ogni scorcio dello Yosemite – i cieli infiniti, le cime frastagliate, i fitti boschi – diventa metafora dello stato emotivo dei personaggi. E il cuore tematico della serie non è l’omicidio. È la fuga, e il fallimento della fuga. Ogni personaggio è lì per scappare da qualcosa: dal lutto, dalla colpa, dalla rabbia, dalla paura. Ma la montagna, invece di nascondere, rivela. La natura selvaggia è come una lama che scava, e che riporta a galla tutto ciò che ormai era sepolto da tempo. E proprio per questo diventa anche un possibile luogo di redenzione. Kyle Turner inizia a riconoscere che la verità può essere una forma di giustizia, anche se non ha il potere di guarire vecchie ferite. I sei episodi di Untamed scorrono con fluidità: ogni puntata è costruita per svelare qualcosa di nuovo, senza affidarsi a cliffhanger facili.

A prima vista, Untamed potrebbe sembrare “una delle tante”: una famiglia distrutta, un’indagine, un mistero che affonda le radici nel passato. Ma è il modo in cui ogni singolo elemento viene portato in scena a fare la differenza. Non veniamo accompagnati all’interno della storia: veniamo scaraventati dentro a un’atmosfera cupa ma meravigliosamente attraente, dove i segreti non sono mai veramente sepolti, e le ferite familiari smettono presto di essere solo metaforiche. La tensione non esplode in colpi di scena rumorosi, ma si insinua lentamente. In conclusione, Untamed è molto più di una serie crime. È una riflessione potente sul dolore, sulla perdita, sull’identità e sulla colpa. Un racconto visivamente magnetico e narrativamente stratificato, che si muove tra silenzi profondi e verità celate, come una frana lungo un sentiero troppo a lungo trascurato. Mark L. Smith firma un’opera che ha la densità emotiva di un dramma intimo e l’intensità tesa del miglior thriller psicologico, mantenendo un forte legame con l’ambiente: uno spazio che non è solo sfondo, ma forza attiva, personaggio a sé.
In un panorama televisivo saturo di crime spesso prevedibili o eccessivamente costruiti, Untamed sorprende con il suo equilibrio tra tensione narrativa e profondità emotiva. Non offre solo colpi di scena, ma una vera immersione in un mondo dove la natura e la psiche umana si intrecciano in modo viscerale. Nel cuore selvaggio di uno dei luoghi più maestosi e indifferenti d’America, il viaggio di Kyle Tuner è un percorso duro e spietato, ma necessario. E a confermare l’impatto di questa narrazione potente è arrivata anche la decisione – inaspettata ma perfettamente comprensibile – di rinnovare Untamed per una seconda stagione. La serie ha conquistato pubblico e critica a tal punto da convincere Netflix a investire ancora su questo universo narrativo. Un azzardo? Forse. Ma se Smith riuscirà a mantenere lo stesso livello di scrittura e intensità, allora ci aspetta un secondo capitolo ancora più selvaggio. E forse, ancora più indimenticabile.


