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The Serpent: il fascino del male, quello vero

Quando pensiamo a Charles Sobhraj nella nostra mente si staglia l’immagine del male e ci attanaglia un senso di inquietudine che difficilmente si dimentica. Questa è la percezione di “disagio” che lo spettatore mantiene ogni volta che The Serpent compare nell’inquadratura della miniserie Netflix

Composta da otto episodi e ambientata a Bangkok negli anni Settanta, mette in luce il periodo più prolifico del nostro serial killer senza rimorsi. E’ sicuramente questo l’aspetto che più attira chi guarda. Siamo di fronte ad un uomo enigmatico, che agisce rare volte d’impulso. Sobharaj, infatti, segue uno schema ben definito, è crudo, sleale, apatico e autoritario. L’inquietudine non è legata solo al suo aspetto psicologico/caratteriale, ma anche alla sua conformazione fisica, o meglio, ai dettagli. Come tutti i cattivi sul piccolo schermo, indossa degli occhiali con montatura classica e vintage che contribuiscono ad incupirlo. In aggiunta a ciò che abbiamo già elencato, il tratto più marcato di Sobhraj è sicuramente quello del manipolatore. Si presenta a tutti come Alain Gautier, commerciante di gemme, in modo da avvicinare chiunque sia interessato al suo giro d’affari, conquistarne la fiducia per poi derubarlo e sbarazzarsene

È un uomo alto, ben vestito e con uno charme oscuro ma, a tutti gli effetti e per quanto sbagliato, intrigante. E’ con questo savoir-faire che conquista Marie-Andrée Leclerc, la sua compagna. 

La relazione con Marie-Andrée diventa fondamentale per tracciare un profilo psicologico ancora più accurato del serpente.

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Charles e Marie-Andrée

Inizialmente, Marie-Andrée è il suo lasciapassare, il biglietto da visita in pubblico per mostrarsi rispettabile e, soprattutto, affidabile. Poi, suo malgrado, la donna diventa il volto delle feste organizzate nella Kanit House perché, tra i due, è sicuramente la più degna di fiducia. È una ragazza per bene, con il viso pulito, ben vestita ma non troppo sofisticata, alla mano ma non esuberante, che riesce a raggirare molte coppie che si affidano a lei. La sua complicità, insieme a quella di Ajay, renderà il “lavoro” del compagno più facile. Tuttavia non sappiamo se Marie-Andrée sia consapevole del suo ruolo, o comunque, non del tutto. Crede di essere un pezzo fondamentale nella partita a scacchi di Charles quando, in realtà, è solo un pedone da sacrificare in caso di necessità. Questa visione è plausibile anche osservando il loro rapporto, totalmente sbilanciato; abbiamo già detto che The Serpent usa la compagna, ma non abbiamo ancora detto come a volte con lei diventi autoritario e violento. Non esiste più il confine tra le altre vittime e la persona con cui vive; non ha pietà neanche per la donna a cui regala un anello. Sembra totalmente incapace di provare qualsiasi tipo di sentimento romantico. 

Tuttavia, a noi come spettatori, non dispiace per Marie-Andrée che, messa di fronte alla realtà della furia omicida di Charles, dopo un primo tentennamento, decide comunque di aiutarlo. È alla fine della fiera, quando The Serpent è ormai dietro le sbarre, che Marie-Andrée deciderà di dichiararsi vittima innocente nelle mani del suo amato manipolatore senza scrupoli.

Ma com’è Charles con gli “amici”?

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Sicuramente non meno malvagio. A questo proposito, interessante per chi guarda è il rapporto tra l’aguzzino e il suo braccio destro Ajay. Anche qui la relazione è di dipendenza e subordinazione; il ragazzo pende letteralmente dalle labbra di Charles. Il serpente lo sa e sposta l’asticella della fedeltà sempre più in alto fino al momento in cui il ragazzo diventa un’arma nelle sue mani, arrivando ad uccidere e bruciare il corpo di due hippy. Così si delinea ancor più nettamente quella che è la dura realtà: anche questo legalmente è totalmente sbilanciato, è solo Ajay a considerare Charles un amico e non viceversa. Tant’è che il serpente non esiterà a condurlo ad un appuntamento con l’inganno per abbandonarlo in mezzo al nulla nel momento in cui non ne avrà più bisogno. 

Comunque, a noi non dispiace nemmeno per Ajay, nonostante la fine infame. Anche lui è complice ed è colpevole tanto quanto; non dimentichiamo i viaggi nella notte con i cadaveri dei ragazzi da gettare nel fiume. E rincariamo la dose, perché non dispiace nemmeno aver visto un personaggio, molto simile a quello di Marie-Andrée, che spreca la propria vita pur di far felice qualcuno che rispetta, ma soprattutto teme. 

Ok, viste le premesse, The Serpent non sembra capace di provare emozioni.

Ma, non è del tutto esatto, perché il discorso assume una valenza diversa quando si tratta di uno dei pochi sentimenti a cui è realmente interessato; la sfida nei confronti della polizia e, nello specifico, del diplomatico olandese Knippenberg. Dalla sua, The Serpent, ha la certezza che nessuno cercherebbe degli europei figli dei fiori spariti in una vacanza esotica, ma non ha considerato la tenacia del suo avversario. Nell’accostamento indiretto con questo personaggio, perché effettivamente non si incontrano quasi mai, vediamo come l’astuzia sia un’altra sfaccettatura della sua indole. Alain Gautier, infatti, vive indisturbato alla luce del sole, avendo creato già una reputazione invidiabile, si approccia agli altri con modi educati; è a tutti gli effetti insospettabile. Il suo essere astuto va di pari passo con l’essere metodico, è concentrato a non commettere il minimo errore per evitare di farsi terra bruciata intorno, almeno finché riesce a mantenere il controllo. Controllo che sfugge nel momento in cui pecca di megalomania: la scia di cadaveri che si lascia alle spalle, dal Nepal alla Francia, è così lunga da non passare inosservata, specialmente agli occhi di una persona come Knippenberg. 

A proposito del diplomatico, potremmo dire che non fa parte dei personaggi che lo spettatore salverebbe. Non simpatizziamo o empatizziamo nemmeno con lui. La sua pecca più grande è quella di aver fatto la fine di Marie-Andrée e Ajay: getta via credibilità a lavoro, amici e famiglia per non essere stato in grado di capire quale fosse il confine da non attraversare tra dovere ed ossessione. 

E’ evidente, quindi, come il male pervada tutta la serie sporcando anche il dualismo, solitamente netto, tra i soggetti che salveremmo e quelli che odiamo irrimediabilmente. La crudeltà si mostra a partire dai personaggi che sono, tra l’altro, tutti vittime di Charles. 

Però una gioia c’è: anche il serpente è vittima di se stesso. Infatti, a tradirlo e a mettere fine alla fuga è una bugia raccontata e smentita da una sua stessa deposizione di anni prima. L’errore è clamoroso, vediamo crollare la sua onnipotenza e tiriamo un sospiro di sollievo convinti che abbia meritato di cadere. 

A posteriori, però, nonostante questa piccola vittoria, il nostro senso di smarrimento resta forte per tutte le giovani vittime non identificate e per tutte quelle che non sono state mai trovate.

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