Siete nella vostra camera? Bene. Possiedete ancora i libri della quinta liceo? Ottimo. Ecco, andate allo scaffale e prendete quello di Storia. Fatto?
Bruciatelo.
Sì, perché sono tutte frottole quelle che vi hanno raccontato. Nulla di ciò che vi è scritto è vero, almeno a partire dagli anni ’40. Lo sbarco in Normandia non è mai avvenuto, i russi non hanno mai invaso Berlino e, soprattutto, gli americani non hanno mai sganciato la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Anzi, semmai è stato il Reich del caro vecchio zio Adolf a sprigionare un bel fungone nucleare sul cielo di Washington.
Non sono gli incredibili scoop della prossima puntata di Mistero (anche se mi sento molto Daniele Bossari a scrivere queste righe), ma la trama di The Man in the High Castle, Serie targata Amazon Studios che altro non è che la trasposizione televisiva del libro La svastica sul Sole di Philip K. Dick.
Nazisti, giapponesi e… in mezzo The Man in the High Castle
Contestualizziamo un attimo, perché di carne al fuoco ce n’è parecchia (in tutti i sensi).
Nordamerica, 1962. Gli Stati Uniti non esistono più, schiacciati dalla superiorità della Germania e colpiti al cuore – come dicevamo prima – da un pacco regalo piovuto dal cielo da parte della Luftwaffe. Le forze dell’Asse hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, e come tutti i vincitori che si rispettino si sono spartite la torta dei nemici. Sulla costa ovest, con base strategica a New York, si è instaurato il Grande Reich Nazista; nella East Coast hanno preso posto gli Stati Giapponesi del Pacifico, capitale San Francisco. In mezzo, a fare da cuscinetto, una Zona Neutrale delimitata dalle Montagne Rocciose.
Già così ci sono gli estremi per una bella bocca aperta, ma andiamo avanti.
Ovviamente, sia ad Est che ad Ovest si sono organizzate forze di resistenza, ben affrontate dalle reciproche polizie segrete: il Kempeitai e le onnipresenti SS. I ribelli però ci sono, in gran parte si nascondono nella Zona Neutrale e fanno riferimento a un fantomatico Uomo del Castello (da qui il titolo). Una figura misteriosa, custode di segreti inconfessabili e collezionista di strani video raffiguranti Yankee esultanti nelle isole del pacifico e grassoni inglesi col sigaro in bocca intenti a fare il gesto della Vittoria con le dita. Mah…
La situazione tra le due superpotenze è oltremodo tesa. Il Giappone fatica, soprattutto tecnologicamente, a stare al passo coi vecchi alleati, che dal canto loro aspettano il momento giusto per azzannare e fare proprie le colonie dell’Imperatore. Cosa attendono? La – molto prossima – dipartita dell’unico garante della pace tra le Superpotenze: esatto, proprio lui, il baffetto.
Chi l’avrebbe mai detto eh?!?
La prima cosa che colpisce, guardando il pilot di The Man in the high Castle, è la credibilità delle ambientazioni. La cura dei dettagli è scrupolosa, capace di rendere plausibile l’invasione politica e socio-culturale.
I tedeschi sono come ci si aspetta: cattivi, spietati e freddi, incredibilmente freddi. Sono i nazisti di tutti i giorni, quelli che siamo abituati a vedere in decine di film. Non tradiscono le attese, anche se invece di Muller o Schwarz si chiamano Smith e Connolly. A sorprendere, invece, sono i figli del Sol Levante.
Dimenticate lo stereotipo del giapponese educato fino all’ossessione e pacifico. I gialli non scherzano per niente, e per certi versi sono anche più infidi dei crucchi. Mentre questi si sono fusi con i nipoti dello zio Sam, assimilandoli e convincendoli che il Nazismo è la loro casa, gli asiatici trattano gli autoctoni da cittadini di Serie B, sudditi da spremere come da manuale del perfetto colonialista.
Ricordano da vicino gli antagonisti di quei vecchi lungometraggi bellici con John Wayne, quando la Guerra sul Pacifico era appena finita e la ferita di Pearl Harbor sanguinava ancora nelle vene degli americani. Sono così infami da riuscire a far passare definitivamente la voglia di Sushi. Per almeno un quarto d’ora.
Scusate, sto divagando. Del resto queste cose non sono mai accadute no?
Invasori ed invasi
Torniamo a noi. I protagonisti di The MAn in the high Castle, all’interno di questa società orwelliana sono due, un ragazzo e una ragazza (chi l’avrebbe mai detto?); uno dell’Ovest e una dell’Est (ma va??); uno infiltrato nella Resistenza dai nazisti e una ostinata a seguire fino al tizio del Castello le tracce lasciate dalla defunta sorella (…mmm, già va meglio).
Signori, vi presento Joe Blake (scusate, DOVEVO scriverla) e Juliana Crain. Passato oscuro, una certa bella presenza che non fa mai male e mille dubbi. Sul proprio ruolo, sul mondo che li circonda e sulla bontà delle rispettive scelte.
Eviterò di raccontare le loro disavventure per non incorrere in fastidiosi Spoiler ma davvero, l’ordito e la trama non sono per niente male. Certo, il fatto di derivare da una sceneggiatura non originale aiuta, ma la Serie nel suo complesso è decisamente godibile.
A una seconda occhiata, oltretutto, The Man in the High Castle lascia anche qualche interrogativo sulla società moderna. Vedere la Grande Mela tappezzata di svastiche è oltremodo inquietante, vero, mentre onestamente la San Francisco made in Japan non fa lo stesso effetto. Le insegne esotiche e la società multietnica ormai sono entrate così in profondità nell’immaginario collettivo da non stonare nemmeno per un attimo.
In sostanza, l’invasione c’è stata comunque, anche senza la forza, e probabilmente gli americani non se ne sono nemmeno accorti. Curioso che un messaggio del genere venga lanciato a pochi mesi da una campagna elettorale dove l’immigrazione è un tema tutt’altro che secondario (soprattutto se avete un nido di rondini al posto dei capelli).
Il potere dei Media, inoltre, è evidenziato in modo clamoroso. La Tv decide quello che devi seguire, la Radio ti indica chi sostenere. Fino all’altroieri guardavi il Baseball? Oggi c’è il Sumo, e se non lo segui non capisci niente. Se domani tutti i telegiornali e le testate online si mettessero d’accordo per raccontare fandonie alla Nazione, chi potrebbe giurare con certezza che dicono il falso? Così facendo puoi far credere qualsiasi cosa.
Anche l’esito di una guerra…
Simone Viscardi