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The Lost Symbol ha tutti i difetti di Dan Brown e pochi dei suoi pregi

Dopo cinque anni dall’ultimo adattamento di un libro di Dan Brown, Inferno, terzo capitolo cinematografico diretto da Ron Howard, come i precedenti Il codice Da Vinci e Angeli e demoni, Robert Langdon è tornato protagonista di nuove avventure, questa volta seriali. L’8 novembre 2021 infatti è sbarcata su Sky una serie tv ispirata a uno dei romanzi dello scrittore statunitense intitolata Dan Brown – The Lost Symbol che è stata prodotta da Universal Television in collaborazione con Imagine Television Studios e CBS Studios. Sebbene il testo originario di Brown sia ambientato dopo le vicende della trilogia, il personaggio del Prof. Langdon subisce in Il simbolo perduto un ritorno al passato e viene ricollocato nel periodo della sua giovinezza, la serie è dunque uno spin-off della trilogia cinematografica. L’operazione svolta dai creatori di The Lost Symbol è stata quindi sia quella di sviluppare un prequel, sia di rivitalizzare il personaggio e le atmosfere di Brown in una nuova edizione seriale, con la speranza di rinnovare il successo raggiunto con gli adattamenti cinematografici.

Una speranza che rimane vana a causa di alcune scelte narrative discutibili e della trascuratezza nei confronti del nuovo formato adottato. Composta da dieci episodi, Dan Brown – Il simbolo perduto vede Robert Langdon trovarsi invischiato in una serie di enigmi per cercare di salvare la vita al vecchio mentore Peter Solomon. La sua ricerca sarà in qualche modo alternata a quella condotta dalla CIA, convinta che dietro questo rapimento ci sia una cospirazione molto più grande, che, alla stregua dei film, affonda le proprie radici nella leggenda. Ad aiutare Langdon a trovare il bandolo della matassa in cui si trova coinvolto c’è Katherine, figlia di Solomon che sembra essere ammaliata dal carisma e dall’intelligenza del giovane Robert. Su tutto incombe la misteriosa figura di Mal’akh che è l’entità che ha spinto Robert Langdon a iniziare il pericoloso gioco che sancirà la vita o la morte per il mentore del professore di Harvard.

The Lost Symbol: i pregi

Come per i film, anche per quanto riguarda la produzione televisiva elementi come religione, mito, leggenda, antichi credo e origini segrete si mescolano in una storia avvincente e ricca di colpi di scena che fa egregiamente il proprio lavoro. La serialità rispetto ai film tratti dai romanzi di Brown e spesso criticati, permette di avere più spazio per sviluppare e adattare la controparte cartacea, e Dan Brown – Il simbolo perduto ne è un buon esempio, andando a svelare allo spettatore fan della saga più smaliziato il background del prof. Langdon e come sia diventato l’icona e la leggenda che poi sarà. La tematica molto cara a Dan Brown che ancora una volta viene portata alla luce nel serial è la dicotomia tra scienza e fede, agli antipodi ma in realtà non poi così tanto. Dan Brown – The Lost Symbol riporta anche il tema religioso delle credenze più ancestrali e radicate, qui viste sotto un punto di vista nuovo che pone interessanti interrogativi e mostra una nuova cospirazione che va indietro nei secoli e nei millenni.

La serie è perfetta per quella nicchia di appassionati del genere avventura, simbolismo e misteri. Si tratta di una storia di ricerca della verità e di ciò in cui crediamo oggi, con un protagonista efficace che ben eredita il ruolo da Tom Hanks. Ashley Zukerman infatti si cala perfettamente nei panni del professore di simbologia religiosa. Per concludere, possiamo dire che la serie tv cerca di fare leva sugli elementi che hanno sancito il successo de Il codice da Vinci. Lo spettatore si trova così di fronte a un racconto che procede per enigmi, per misteri che solo una mente particolarmente acculturata può sperare di risolvere. Questo fa sì che l’esperienza di visione passi soprattutto attraverso la curiosità e la voglia di scoprire non tanto come evolverà la storia, ma soprattutto come farà Robert Langdon a risolvere gli ostacoli che gli si porranno sulla strada. Ed è proprio in Robert Langdon, sia come protagonista che come anima della serie tv, che si può ricercare forse l’elemento migliore della produzione televisiva e quello più vicino ai temi di successo sviluppati nei libri dello scrittore.

I difetti della serie tv tratta dal romanzo di Dan Brown

Veniamo ora alle note dolenti, a quelle che, in pratica, hanno sancito la cancellazione della seconda ipotetica stagione della produzione. Tanto per la messa in scena quanto per le dinamiche dei protagonisti, la serie tv disponibile su Sky non brilla certo per originalità e non offre idee stravolgenti che colgono di sorpresa lo spettatore, che riesce facilmente a indovinare alcune strutture narrative sin dal primo episodio. Se la sceneggiatura contiene al suo interno diversi spunti interessanti, lo stesso non si può dire per la messa in scena, che risulta piuttosto piatta nella maggior parte degli episodi. Si fatica a trovare al loro interno una identità visiva univoca e questa assenza è forse dovuta alla volontà di costruire un’estetica che accompagni la serie per la sua intera durata ma che alla fine dei conti non riesce nell’intento.

L’assenza di un punto di vista ben strutturato si percepisce soprattutto quando la serie ci porta all’interno degli edifici storici in cui Langdon mette piede. Nonostante questi abbiano un ruolo importante all’interno della vicenda, la macchina da presa non è in grado di far risaltare i loro aspetti caratteristici e di disegnare la maestosità dei luoghi. Questa è forse la più grande occasione persa di questo prodotto, che avrebbe potuto utilizzare la spiccata identità delle stanze che i protagonisti attraversano per creare la necessaria atmosfera di suspense, che in più di un’occasione è invece totalmente assente. Capitolo villain, forse la questione che caratterizza in negativo tutte le trasposizioni delle opere di Dan Brown. Tutti i vari nemici di Langdon risultano essere molto soft. Non sono delineati, profondi e pensati: sono ombre, fantasmi di cui non conosciamo la storia e i motivi delle loro scelte. E anche in questo caso il principale antagonista della serie tv Mal’akh, interpretato da Beau Knapp, non brilla di certo per carisma. In questo non è particolarmente aiutato dalla scrittura che, tramite i pochi dialoghi a cui prende parte, non gli consente di sviluppare una propria identità e lo fa sembrare un cattivo generico.

Last but not least, le tematiche. Esattamente come il suo argomento, The Lost Symbol è una serie che sembra fuori tempo. È una buona serie nel suo genere, che dieci anni fa sarebbe stata un fiore all’occhiello, oggi risulta una Relic Hunter/The Librarians prodotta negli anni ’20. La serie tv non spicca per qualità, né per capacità di incuriosire le masse, piuttosto è quella tipologia d’intrattenimento che vedi quasi per caso e poi magari ti appassioni e recuperi le puntate giusto se ti avanza tempo. Si tratta di una produzione che ti cattura con la simbologia, con il fascino del mistero, ma non ti trattiene e finisci quasi per dimenticartene. Una vera occasione sprecata.

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