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The Last of Us e la morale aristotelica: il miglior videogame è la nostra anima

Lo giuro

Joel, The Last of Us.

Il fondamento di una promessa è la verità del suo contenuto. Joel, il protagonista di The Last of Us, ribalta completamente tale assunto e costruisce una sua verità, una verità più confacente al suo mondo e non a quello di tutti gli altri. Gli altri, appunto. Sia nel videogioco che nella fedele trasposizione a cura di HBO, tutti i personaggi di questa incredibile storia forzano il concetto di verità – e soprattutto di morale – al fine di sopravvivere, rappresentazione diametralmente opposta al vivere secondo virtù aristotelica. Proveremo, con questo approfondimento, a indagare il rapporto (e l’eventuale apporto) tra la morale aristotelica e le scelte dei protagonisti di questa grande storia.

Nell’Etica Nicomachea, Aristotele due categorie di virtù: le virtù cosiddette morali/dianoetiche riguardano l’intuizione intellettuale (la νόησις del filosofo) che, pertanto, rientra nella più ampia area della razionalità. Le virtù etiche, invece, attengono alla sfera più pragmatica della ragione, e sono esemplificabili nei concetti di giustizia o di coraggio. Se provassimo ad applicare queste categorie, superficialmente considerate nella incredibile mole del lavoro del filosofo stagirita, ai protagonisti di un mondo post-apocalittico come The Last of Us, possiamo subito notare che non c’è unicamente virtù nelle loro scelte.

Per arrivare alla scelta finale di Joel dovremo, in realtà, fare alcune deviazioni, perché le dinamiche di The Last of Us incrociano temi ulteriori e differenti rispetto al “salvare Ellie e contemporaneamente condannare il mondo”.

Partiamo, inevitabilmente, da una delle scene più strazianti, quella che coinvolge i due protagonisti e i due fratelli Henry e Sam. Dopo essere sfuggiti a un’orda di infetti e alle milizie di Kansas City, il gruppo trova rifugio in una casa abbandonata, apparentemente al sicuro. Tuttavia, il piccolo Sam è stato morso durante il tumulto e il suo destino è segnato. Qui videogioco e serie tv divergono leggermente, ma l’effetto rimane identico: nel gioco nessuno, a parte il videogiocatore, sa del morso subìto da Sam; nella serie, invece, la Ellie di Bella Ramsay ne è a conoscenza e, in una scena dolcemente tragica, prova a curarlo spalmando sulla ferita il suo sangue immune. Ovviamente, l’esperimento non sortisce effetti e la mattina dopo Sam è ormai un runner: il piccolo aggredisce Ellie, svegliando Joel ed Henry, e prima che Joel possa fare qualcosa, Henry si impossessa della pistola e la punta contro l’uomo, indeciso sul da farsi e in preda al panico. Qual è la scelta migliore, se ne esiste una? Salvare Ellie, uccidendo il fratellino ormai senza speranza, oppure “proteggere” Sam da Joel, uccidendo l’uomo e non riuscendo quindi a togliere la vita a Sam? Si potrebbe dire che Henry mostra, secondo le categorie aristoteliche, il coraggio che appartiene alla virtù etica, scegliendo di fare la cosa giusta, uccidendo il povero Sam. Subito dopo, travolto dal dolore e dall’assurdità di ciò che era stato costretto a fare, distrugge la sua razionalità (la sua virtù dianoetica) e si toglie la vita.

Gli esempi di tutti i casi in cui i personaggi effettuano scelte che affermano e al contempo tradiscono il concetto di virtù e quindi di morale aristotelica sono molteplici, ma non si può non pensare alla scena finale in ospedale. Si badi, inoltre, che questo è uno di quei casi in cui il videogiocatore (e lo spettatore) creano e assistono inerti al destino del personaggio. Joel, infatti, dopo aver disintegrato ogni moralità per portare a termine la “missione Ellie” che, nel frattempo è diventata qualcosa più di un “cargo“, scopre che la speranza della salvezza dell’umanità passa attraverso la morte della amata ragazzina. Senza intervenire sul cervello, causando la morte di Ellie, infatti, ogni possibilità di creazione di una cura è inesistente. Perciò Joel ha di fronte una scelta: salvare il suo mondo, che ha ritrovato pace e speranza tramite il rapporto con Ellie, oppure salvare il mondo di tutti sacrificando il suo e, quindi, lasciando che la ragazzina muoia per un bene superiore.

Rinviando a questo approfondimento per le riflessioni sull’impatto su Ellie delle scelte di Joel, in questa sede si può certamente notare che Joel chiude ogni porta alla razionalità e agisce secondo la sua personalissima giustizia, rifiutando quindi sia la virtù dianoetica che quella etica: l’uomo, infatti, non accetta l’idea di sacrificare Ellie nè nel piano astratto della νόησις, nè su quello pratico dell’etica, risultando dunque coerente con la sua scelta, diversamente da Henry che, si è visto, opera un’involontaria scissione tra il sapere cosa fare e la totalità delle sue azioni (salvare Ellie era la cosa giusta, suicidarsi no, per banalizzare un momento così drammatico a un’operazione scientifica).

Cosa significa, allora, “il miglior videogame è la nostra anima“? A causa dell’estremismo del mondo rappresentato in The Last of Us, affermare “questa scelta è quella giusta” con filosofica oggettività è estremamente complesso. Ci sono svariati fattori che incidono sul concetto di “giustizia”, dal contesto al personaggio che effettua la scelta, dalle ragioni del caso singolo a quelle del più ampio quadro generale. Forse nessuno può davvero dire che Joel abbia sbagliato, come nessuno può dire che con certezza che egli abbia fatto la cosa giusta. Ma noi spettatori, noi videogiocatori, davanti a emozioni così forti possiamo applicare la nostra virtù etica e chiederci cosa avremmo fatto. Perché la nostra anima si lascia veicolare dall’arte, e le sensazioni che quest’ultima provoca sono il fulcro di ciò che la nostra personale morale può percepire. The Last of Us, il videogioco o la serie, è una forma di arte audiovisiva: nessuno meglio della nostra anima può farci sentire più vicini o più lontani dalle scelte dei suoi protagonisti.

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