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Se ci fosse una frase capace di riassumere le storie raccontate in The Last Dance sarebbe “sky is the limit”. Può sembrare una frase fatta, da canzone che si sente in discoteca, ma rappresenta davvero lo spirito che si respira in questa docu-serie uscita ad Aprile su Netflix. Sky is the limit, il limite è il cielo, perché nella vita terrena i protagonisti di The Last Dance, giocatori NBA di grande fama, di limiti non se ne sono posti. Il loro obiettivo è stato puntare sempre più in alto, persino più in alto del cerchio di ferro del canestro. The Last Dance infatti non è solo il racconto delle carriere di mostri sacri come Michael Jordan, Dennis Rodman e Scottie Pippen: The Last Dance è una storia di sudore, dedizione, sacrificio e vittoria.

The Last Dance

È vero, il mondo del basket e la carriera dei cestisti possono non essere motivo di interesse per tutti, e magari c’è qualcuno che ora sta leggendo che non sa cosa sia l’NBA.

Ma non disperate: se non siete in possesso di conoscenze di base sulla storia della pallacanestro, questa docu-serie vi fornirà una cultura pazzesca. Partiamo dalle basi: avete presente Michael Jordan, il mostro sacro della storia del basket, il giocatore imbattibile nei secoli dei secoli? Ecco, la sua è una delle prime storie che vengono raccontate. Mike proviene da una famiglia afroamericana dove il padre spronava in continuazione i figli. La competitività che lo contraddistingue è nata proprio nella sua famiglia, quando faceva i primi tiri a canestro con suo fratello. Le loro partitelle, per quanto giocate solo tra loro due, avevano un unico obiettivo: la vittoria di uno sull’altro. Non che uno dei due dovesse soccombere, ma lì Jordan racconta di aver iniziato a capire una cosa fondamentale che segnerà la sua carriera. Si gioca per vincere, e unicamente per questo.

L’obiettivo deve essere sempre la vittoria, perché questo fa in modo che chi gioca dia sempre il massimo. Questo pensiero è fondamentale per capire un giocatore come Michael Jordan, che vediamo non arrendersi mai in partita. Nemmeno quando le condizioni erano sfavorevoli, nemmeno all’inizio della sua carriera con i Chicago Bulls, squadra che prima di lui non aveva collezionato molte vittorie. Nemmeno quando, per motivi legati a vari screzi all’interno della squadra, Mike si ritrova senza il suo braccio destro, cioè Scottie Pippen.

Si sa, un grande numero uno come Mike non sarebbe stato tale senza un grande numero due, cioè Scottie.

The Last Dance

Ed ecco un’altra cosa che The Last Dance insegna: non ci possono essere grandi vittorie senza il gioco di squadra. È vero, Jordan era praticamente one man band, l’uomo che da solo teneva le redini di tutto il gioco, quello che segnava il 90% di punti che portavano alla vittoria. Ma il suo braccio destro, Scottie Pippen, era fondamentale per lui. Per semplificare il loro rapporto sul campo di gioco, è sufficiente dire che Scottie era il giocatore che passava a Jordan la palla perfetta che andava a finire dentro il canestro. Scottie metteva in atto quelle azioni preliminari che permettevano a Jordan di segnare tutti i punti che lo hanno reso invincibile: per questo la loro sintonia era totale. Ma nonostante il ruolo fondamentale di Pippen, la sua carriera non è stata così rosea.

Pippen ha lasciato i Chicago Bulls perché, incredibilmente, era uno dei giocatori tra i più forti sul mercato ma anche tra i meno pagati. Scottie ha abbandonato la squadra proprio per questo: non accettava che il suo grandissimo valore di atleta e giocatore venisse così declassato. A malincuore, questa è una lezione di vita che The Last Dance ci mostra. A volte si può essere estremamente bravi nel fare qualcosa, ma non è automatico che tutti lo riconoscano.

Resta fondamentale invece conoscere il proprio valore, e non lasciarsi influenzare da situazioni che non lo riconoscano a pieno.

Dopo l’addio di Pippen, per Mike non è stato facile, e per un periodo senza il suo braccio destro si è davvero ritrovato a essere one man band. Ma fare tutto da solo era impossibile, proprio perché non è il giocatore che vince la partita ma l’intera squadra. Qui entra in gioco Dennis Rodman.

Dennis Rodman in compagnia di Madonna

Dennis è ricordato come uno dei giocatori più esuberanti e mondani del mondo dell’NBA, al contrario di quelli che come Mike e Scottie erano concentrati al 100% unicamente sul basket. Dennis proveniva da una realtà povera e degradata, ma aveva lavorato sodo per arrivare dov’era. Poteva fare baldoria la sera prima, ma il giorno dopo si allenava più duramente degli altri. Il suo ruolo, difensore, era quello di fare il lavoro “sporco”, a costo di prendersi gomitate pur di difendere la palla. E quando il gioco di Dennis ha iniziato a incastrarsi perfettamente con quello di Mike, i Chicago Bulls hanno ricominciato a vincere, ritrovando il loro splendore.

C’è un messaggio, più forte di tutti gli altri, che The Last Dance ci trasmette.

The Last Dance

Non importa da dove vieni: Jordan, Rodman e Pippen, citando solo 3 dei mostri sacri di cui la serie parla, provenivano da realtà completamente diverse. Pippen aveva una storia familiare tragica, due componenti della sua famiglia infatti erano disabili, mentre Rodman proveniva dal ghetto. Non importa da dove vieni, perché se hai talento e dedizione in ciò che fai avrai l’occasione di emergere. Ed è l’uomo che rende l’occasione tale. Se vuoi avere successo, fare carriera in ciò ami, se vuoi veramente qualcosa devi andare a prendertela. Non ci sarà qualcuno che, dal nulla, ti prenderà sottobraccio e stenderà un tappeto rosso per il tuo talento. Se vuoi veramente qualcosa, la devi conquistare. Con il sudore, la fatica, gli scontri come alcuni di questi giocatori hanno fatto. Perché i limiti sono solo mentali e se sei talentuoso il limite è solo uno: il cielo.

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