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The Handmaid’s Tale – Zia Lydia e la banalità del male

Il personaggio in assoluto più misterioso e odiato di The Handmaid’s Tale è sicuramente lei, Zia Lydia. Ormai la seconda stagione volge alla sua chiusura e non abbiamo ancora avuto un flashback con lei come protagonista. Una finestra sulla sua vita passata, che ci mostri chi era prima di diventare una Zia. Anzi, La Zia. Perché Zia Lydia è il Göring del regime di Gilead, la numero due nella gerarchia degli antagonisti di June e di tutte le Ancelle. Cosa si nasconderà mai dietro quel viso segnato, un po’ materno e un po’ da Signorina Trinciabue, indossato magistralmente dalla sua interprete, Ann Dowd?

The Handmaid's Tale

Per ora possiamo solo immaginarlo, a meno che le ultime puntate di The Handmaid’s Tale non ci nascondano una gradita sorpresa. Però possiamo elaborare delle teorie, basate chiaramente sull’analisi del personaggio. Cosa possiamo dedurre della Zia Lydia del passato, vedendo quella del presente?

Cominciamo intanto col dire che Zia Lydia non è “cattiva” nel senso più puro del termine. Non è sadica per il gusto di esserlo, nonostante sottoponga le sue protette a torture fisiche e psicologiche devastanti per piegarle alle regole di Gilead. Cava un occhio a Janine nel corso della sua prima notte al Centro Rosso, eppure lei non la odia. Anzi, spesso ricerca la sua protezione come una bambina spaventata. Non è solo perché Janine è evidentemente un po’ fragile di mente (e come darle torto?), ma forse perché nella sua ingenuità ha capito perfettamente la sua natura. Zia Lydia crede in quello che fa; tutte le atrocità che compie sulle ragazze sono per il loro bene; lei, alla favola della donna perduta da recuperare, ci crede fermamente.

Zia Lydia assomiglia a quei gerarchi nazisti della Seconda Guerra Mondiale, meravigliosamente delineati da Hannah Arendt nel suo La banalità del male, che alla domanda, semplice e cristallina, “perché hai fatto tutto questo?”, rispondevano “perché me l’hanno ordinato”. Lei aggiungerebbe, forse, “perché ci credo”. È questo a renderla così pericolosa: puoi sradicare dalla mente di una persona l’attitudine a obbedire, ma non potrai mai sradicare un’idea. E Zia Lydia ha un’idea, una visione del presente e del futuro di Gilead, ed è disposta a tutto per realizzarla.

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Un’altra delle caratteristiche di Zia Lydia che la rende così spaventosamente simile a un nazista è la sua abitudine a vedere le donne che educa come delle non-persone. Un esempio evidente di questa mentalità lo abbiamo nella scena in cui mostra a June le conseguenze della sua disobbedienza. La famiglia che l’aveva ospitata durante la sua fuga è stata smembrata: la moglie obbligata a servire come Ancella, il bimbo affidato a un’altra famiglia e il padre penzola dal Muro, impiccato.

Di fronte allo shock della donna, Zia Lydia la consola dicendole che è stata June a fare queste cose, non Offred: così facendo, spazza via la responsabilità dalle spalle della sua ancella, perché un oggetto, Offred, non può avere colpe. June è morta e sepolta, esiste solo Offred, e Offred è un utero che cammina. Offred obbedisce, Offred non è una persona. Offred non ha colpe o responsabilità, ma solo doveri.

Disumanizzare un essere umano è il primo passo per compiere su di lui le più atroci torture: se guardi negli occhi la tua vittima e non vedi un essere umano, piegarlo e distruggerlo sarà facile come accartocciare un foglio di carta.

Eppure il personaggio di Zia Lydia, finora presentato come una donna tutta d’un pezzo, bigotta, violenta, sadica, in questa seconda stagione di The Handmaid’s Tale ha saputo stupirci. Soprattutto nell’ultima puntata, la 2×08, l’esasperazione del microcosmo di Gilead, che comunque contiene la chiave per scardinare tutti gli equilibri psicologici dei personaggi e per terminare il percorso di allineamento delle pedine sulla scacchiera rappresentato da questa seconda stagione.

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In questa puntata Zia Lydia rompe tutte le regole di Gilead. Non solo approva che una Marta, ex dottoressa neonatologa, visiti la piccola Angela, in fin di vita, ma accompagna la sua madre biologica, Janine, a darle un ultimo saluto. Zia Lydia in questi momenti appare sinceramente vicina al tormento di Janine; sembra essere lì più per starle vicina che per controllarla. Si preoccupa per la salute mentale della sua protetta, dicendo a June che se questa cosa la distruggerà definitivamente la colpa sarà sua. Se Janine sarà annientata, la colpa sarà di Offred. Di nuovo la chiave sta nel nome, come vi avevamo già detto in questo meraviglioso articolo. Zia Lydia si preoccupa di Janine, la chiama per nome, con il suo VERO nome. D’altra parte incolpa Offred, la senza nome, la senza colpa.

Zia Lydia mostra un primo, vero, barlume di umanità.

Si commuove per la sorte della bambina; si preoccupa per l’incolumità mentale di colei che dovrebbe essere solo un oggetto. E quando Zia Lydia vede Janine cullare la sua bambina, spogliata dei vestiti rossi e delle protezioni mediche, libera finalmente di farle annusare il profumo dei suoi capelli indomabili, la commozione è reale. Eccolo, l’essere umano. Eccola, la donna. Eccola, forse, la madre. Chissà se Zia Lydia è stata madre. Verrebbe da pensarlo, a giudicare dalla sua reazione verso questa palese violazione di ogni principio di pudicizia e di onore di Gilead. Eppure non batte ciglio, è felice per la bambina e anche per Janine. La mano che le ha tolto un occhio e la dignità le regala una simbolica carezza.

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La forza di The Handmaid’s Tale sta tutta in questa puntata. La 2×08, nella sua modestia di cantico delle piccole cose, ha il coraggio di mostrarci la complessità dell’animo umano. Prima la silenziosa alleanza tra moglie e ancella, spezzata dalle botte del Comandante; poi l’orgoglio di Serena, la miopia che non le fa vedere la sua vicinanza con la sua serva. Il dolore di June, di nuovo da sola dopo aver cercato di avvicinarsi alla sua padrona ferita. Poi questo: le regole di Gilead infrante per il sorriso di una bambina. L’acciaio di un personaggio che si infrange contro la delicatezza di una carezza.

Grazie, The Handmaid’s Tale: non perché ci dici che anche un personaggio come Zia Lydia può essere buono, ma per farci credere che nel profondo, anche nel più sanguinario dei gerarchi, può celarsi una parte di umanità. E che la banalità del male può tramutarsi, di tanto in tanto, in straordinarietà del bene.

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